«Dopo decine di migliaia di attacchi aerei, di bombe, di colpi di mortaio e di scontri armati, la situazione in Yemen non è affatto cambiata, anzi va peggiorando. Questa guerra non è solo brutale è anche impossibile da vincere, eppure va avanti». Se il conflitto continuasse fino al 2022 i morti potrebbero arrivare ad oltre mezzo milione di persone, una catastrofe senza precedenti.
La denuncia viene dal Coordinatore Onu per l’Emergenza e gli Affari umanitari, Mark Lowcock che dinanzi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha parlato dello stallo nel processo di pace e ricordato gli oltre 70mila morti e 250mila sfollati. Una tragedia umanitaria che non vede vie d’uscita se non l’immediato cessate il fuoco.
Con disarmante precisione Mark Lowcock ogni mese aggiorna il Consiglio di Sicurezza sull’andamento del conflitto in corso. Stavolta però, in occasione del suo quindicesimo briefing, le sue parole sono un pugno nello stomaco.
«Quando ci si chiede quale sia stato finora l’esito di questi combattimenti (che proseguono dal 2015 ndr.) – ha aggiunto – la risposta è una sola: morte indicibile, distruzione e danni; l’immiserimento di una nazione intera e il frazionamento della sua società civile. Tutto ciò, nel complesso, corrisponde alla peggiore tragedia umanitaria mai vista al mondo».
«La guerra si fa sempre più violenta – dice Lowcock ammettendo l’inutilità del conflitto – ; la situazione sul campo anziché migliorare peggiora».
Il coordinatore per gli aiuti e le Emergenze lo chiama proprio «unwinnable conflict», letteralmente il conflitto invincibile.
Proprio perché da anni non c’è un solo vincitore in Yemen, ma solo decine di migliaia di morti tra i civili. E chiede di tornare ai termini dell’accordo di pace di Stoccolma, siglato il 13 dicembre scorso dalle parti in causa, ma del tutto disatteso.
Difronte ad una platea silente (cinque sono i membri permanenti tra cui Russia, Cina e Stati Uniti), Lowcock è apparso senza più argomenti per convincere i Paesi in questione che dire basta al conflitto è non solo necessario ma decisamente opportuno.
Lowcock dichiara tutta la sua frustrazione, paragonando se stesso al protagonista del film americano Groundhog Day, in italiano ‘Ricomincio da capo’, dove la giornata di un presentatore televisivo continua a ripetersi incessantemente ogni volta, senza mai cambiare.
Lowcock ogni mese denuncia alla stessa platea di Paesi un dramma che si va ripetendo identico di anno in anno, salvo veder aumentare il numero dei morti.
Il punto è che in Yemen, dietro l’etichetta di un conflitto interno tra fazioni, o guerra civile, si cela una guerra personale dell’Arabia Saudita (e Paesi del golfo alleati) per una leadership nell’area mediorientale.
Iran e Russia giocano sullo scacchiere opposto. All’Arabia Saudita inviano armi sia gli Usa che noi europei, compresa l’Italia.
Ma cosa accadrà se la guerra proseguirà ancora anni? Si chiede ad un certo punto Lowcock.
«Ci sono due risposte immediate: anzitutto molte più persone moriranno e le condizioni peggioreranno per coloro che sopravvivono. Secondo uno studio pubblicato dall’Università di Denver, se la guerra prosegue fino al 2022 possiamo aspettarci quasi mezzo milione di morti incluse le oltre 300mila persone che moriranno di fame e di stenti, per mancanza di cure sanitarie. E’ una cifra due volte superiore a quella che si conterebbe se la guerra finisse entro l’anno».
La seconda risposta è che «avremo bisogno di una sempre più estesa e costosa operazione di soccorso ed emergenza».
Lowcock fa capire che non solo la guerra ha un costo in termini di vite umane, ma che richiede cifre inimmaginabili all’intera comunità internazionale.
«I 4,2 miliardi di dollari spesi quest’anno sono già la cifra maggiore mai spesa – ha detto – E rappresenta tre volte tanto quello che abbiamo speso nel 2015. Se i combattimenti proseguono quello che finora è servito per tenere in vita le persone, non sarà che una minima parte di quanto occorrerà per tenerle in vita in futuro».
L’appello è accorato e la conclusione lascia senza parole: «Nulla cambierà in Yemen finchè ognuno di noi non sarà pronto ad agire in modo differente. I passi che ho indicato non sono che un punto di partenza. Se non lo facciamo non possiamo che attenderci cose peggiori rispetto a quelle viste finora. Ossia, più combattimenti. Più morte. Più distruzione. Più fame. Più appelli. Più conferenze di donatori».
Foto di apertura: Hani Al-Ansi/picture-alliance/dpa/AP