Mentre nella Casa madre dei saveriani di Parma è ancora forte il dolore per i tredici confratelli deceduti nei giorni scorsi (solo di Piergiorgio Bettati si ha certezza del contagio da Coronavirus), padre Rosario Giannattasio ci parla delle difficoltà nell’emergenza. E riflette sulle occasioni da cogliere per il futuro della Chiesa.
Per chi rimane nella Casa di Parma – circa 40 persone – il rischio di infezione è ancora molto elevato.
“C’è un nucleo della struttura dove vivono ancora 40/45 ospiti – precisa il superiore dei Saveriani – tra personale attivo, persone che fanno ministero e anziani ammalati. Ma si trovano in luoghi lontani e diversi dall’infermeria. Speriamo davvero che per chi resta le cose vadano per il meglio”.
La verità è che i missionari hanno sempre corso “gli stessi pericoli della gente con cui condividevano la vita. Ci sono padri che vengono dal Congo e dalla Sierra Leone dove i rischi di ebola, di guerra civile, di rivoluzione, di fame sono quotidiani. E anche qui da noi i padri hanno partecipato, alla fine della loro vita, al mistero di morte e resurrezione che stiamo vivendo tutti”, spiega.
La causa del decesso dei 13 missionari, morti uno dietro l’altro, può essere solo dedotta, eccetto una. “Padre Piergiorgio Bettati è mancato il 23 marzo scorso (l’ultimo decesso in ordine di tempo ndr.), ma è il solo al quale è stato fatto il tampone, anche perchè fu tra gli ultimi ad ammalarsi”, precisa il missionario.
“Solo per lui è arrivato un documento comprovante l’infezione da COVID19, ma non possiamo escludere che anche gli altri confratelli abbiano contratto questo stesso virus“, dice.
La paura resta tra quanti sono stati a contatto con i padri: “e chi non ha paura? Anch’io ce l’ho, certo, non sono un eroe – ammette il saveriano – Ho paura per me stesso, come avevo paura in Colombia alla fine della guerra civile, ma quando ci sei dentro la superi la paura“.
Sulle modalità di trasmissione del COVID19 all’interno della struttura, il padre superiore spiega: “Abbiamo applicato le norme di sicurezza quando c’è stato chiesto di applicarle, sia da parte dello Stato che della Chiesa.
Ma prima che si diffondesse l’allarme, in una realtà numerosa di persone come la nostra, molto aperta, il virus è entrato. Questo è abbastanza normale in una Casa madre missionaria. Per di più c’è un santuario all’interno e un via vai continuo di gente“.
Quando hanno iniziato ad ammalarsi i primi padri, a febbraio, non era chiaro cosa stesse accadendo: “chi non conosce la dinamica religiosa, non sa che una Casa come la nostra non è un’azienda – dice – è tutt’altra cosa. Ci si assiste tra di noi e si fa vita comunitaria. Adesso ovviamente no. Adesso è tutto blindato”.
C’è stato anche un “motivo a monte“, dice. “Il personale dell’infermeria è dovuto andare via quando una delle dipendenti è stata trovata infetta da Coronavirus“.
Ma nonostante il dolore per la perdita, spiega padre Giannattasio, sappiamo che “la morte di questi 13 confratelli è in sequenza continua e logica con la loro vita. Una vita donata, tra la gente. Avessero vissuto in cima alla montagna a fare i contemplativi, questo pericolo non ci sarebbe stato”.
Adesso però chiediamoci anche: “cosa sta avvenendo più nel profondo? Interroghiamoci sul rapporto tra ecologia, creazione e uomo”, suggerisce.
Tre sono, secondo padre Rosario, i risvolti positivi di tutta la crisi scatenata dalla pandemia: anzitutto il fatto che ci si interroghi “sul nostro stile di vita, sull’ecologia e sul valore centrale dell’uomo e non dell’economia”.
In secondo luogo, la riscoperta della solidarietà: “saputa la notizia della nostra sofferenza – racconta – si è creata una catena: tutta una rete di amicizia, telefonate, offerte di aiuto che normalmente non sono veicolabili.
Un aspetto di generosità e attenzione alla missione, anche da parte di ambienti lontani dal mondo missionario, davvero inimmaginabile”.
E in terzo luogo la vicinanza ecclesiale: “ci hanno telefonato in tanti, anche vescovi con cui noi saveriani non lavoriamo perché non siamo nella loro diocesi”.
In generale questo periodo di crisi mondiale “pone interrogativi molto profondi, sia agli uomini in genere che a noi credenti: uscire dal piccolo avvenimento per guardare ad una visione ampia che il papa ci pone davanti”.
Anche la missione “trova risposte formidabili e supera la visione fatta solo di aiuti: non è la missione limitata nel piccolo, ma una missione che abbraccia il mondo”, conclude padre Rosario.