«Il virus é entrato in Amazzonia partendo dalle grandi città come Manaus, e Belem in Brasile, o da Iquitos in Perú. Dopo aver flagellato soprattutto le periferie di questi grandi agglomerati urbani, ha iniziato la sua corsa fino ad arrivare alle zone più isolate dove vivono i popoli indigeni risalendo lungo la grande rete fluviale che attraversa tutta l’Amazzonia, come le vene e le arterie nel corpo umano».
Da Iquitos in Perù, dove è rimasta bloccata a metà marzo scorso dal lockdown, suor Laura Valtorta delle Missionarie dell’Immacolata racconta la difficile missione dell’equipe itinerante al servizio delle popolazioni indigene lungo il Rio delle Amazzoni. Insieme ai compagni di viaggio e di missione, suor Laura si trova ora presso il vicariato di San José del Amazonas, dove il virus ha raggiunto alcune comunità. Con conseguenze disastrose. «E’ una storia che si ripete. –spiega la religiosa – Nel periodo coloniale, gli indios sono stati decimati a causa delle malattie portate dall’Europa e ancora oggi un virus che viene dall’altra parte del mondo rischia di diventare causa di un nuovo sterminio. Davi Kopenwa, leader Yanomami, un popolo con pochi contatti al di fuori delle comunità locali, dice: “Tutta questa distruzione non ha il nostro marchio, é l’impronta dei bianchi, la loro scia sulla terra”».
La regione amazzonica continua ad essere l’epicentro della pandemia in America Latina e il virus ha raggiunto i popoli indigeni. Attualmente sono 78 i popoli contaminati e i morti sono centinaia. «Gli indigeni sono specialmente vulnerabili ai virus a causa della mancanza di memoria immunologica – spiega la missionaria –. In molte zone non arriva nessun tipo di medicina, praticano cure tradizionali, l’unica difesa efficace è quella di chiudere le comunità ai contatti esterni. Quando il virus entra, é molto difficile arginarlo e gli anziani, i depositari della lingua, della cultura, dei saperi antichi, sono i primi che vengono colpiti e muoiono».
Suor Laura è arrivata a metà marzo scorso in Perù ed è rimasta bloccata per il lockdown insieme agli altri membri dell’equipe itinerante. Racconta : «Il vicariato di San José del Amazonas si trova nella regione più a Nord del Perù. Il territorio é molto esteso e di difficile accesso, ha una estensione di oltre 150mila chilometri quadrati (metà dell’Italia) con una popolazione prevalentemente indigena di circa 150mila abitanti, dispersi in piccole comunità lungo i quattro principali fiumi che ne attraversano il territorio (Amazonas, Napo, Javarí e Putumayo). Ci sono 16 posti di missione, non in tutti c’é un sacerdote. É una missione al femminile, infatti le donne rappresentano quasi 80% della presenza missionaria che é limitata a circa 55 persone».
L’equipe aveva un programma di quasi un mese e mezzo di itineranza: «Avremmo dovuto partecipare del Forum Sociale Pan-amazzonico in Colombia e tornando in Perú, avremmo dovuto visitare le comunità del fiume Putumayo; più di mille chilometri di frontiera tra Perú e Colombia. Una regione praticamente abbandonata, dove regnano indisturbate le organizzazioni criminali del narcotraffico. Dovevamo anche confrontarci con le altre equipe itineranti nella regione in vista della realizzazione della Rete Itinerante della Pan-amazzonia Repam-Clar (Rete Ecclesiale Pan-amazzonia, Conferenza dei Religiosi/e AmericaLatina e Caraibi). Uno degli obiettivi indicati dal Sinodo. Purtroppo, però, appena arrivati in Iquitos, il vescovo ci ha informati che il governo aveva dichiarato il lockdown e da quasi tre mesi siamo qui in isolamento».
Essere bloccati nella sede del vicariato si è rivelato un evento provvidenziale perché qui i missionari dell’equipe itinerante sul Rio delle Amazzoni ha potuto vedere e vivere lo sforzo di una Chiesa povera «che ha avuto la capacità di unire le forze e canalizzare ogni tipo di aiuto, sia alimentare che medico, per arrivare anche nelle zone più distanti e isolate del vicariato. Fin dall’inizio si é creata una mappa del contagio, cercando informazioni con persone fidate nei differenti punti di missione. Perché, ci si era resi conto che i dati ufficiali non corrispondevano alla realtà. Con questa visione si é iniziato a considerare le necessità di ogni luogo, si sono fatti progetti, articolavano acquisti e spedizioni. La lotta contro il Covid-19 é una lotta contro il tempo e in molti casi, il vicariato é stato più veloce e più attivo dello Stato, sostituendolo. Non dovrebbe essere così, ma l’azione della Chiesa ha costretto lo Stato a guardare alle sue inefficienze, ad assumere le sue responsabilità, a non essere totalmente latitante di fronte al dolore del popolo».
Se la pandemia ha creato barriere tra le persone, la tecnologia ha permesso di mantenere contatti on linecon la Rete Ecclesiale pan-amazzonica, con il Consiglio indigenista missionario e le organizzazioni locali che, sottolinea suor Laura «ci hanno permesso di accompagnare la situazione anche delle piccole comunità, soprattutto in Brasile, dove ora la situazione è particolarmente critica. Non c’é un piano governativo per i popoli indigeni. Il Supremo Tribunale Federale del Brasile ha dovuto intervenire per obbligare il governo a creare un piano emergenziale per gli Yanomami, che già negli anni Novanta erano stati decimati dalla malaria portata dai cercatori di oro illegali».
Il governo brasiliano ha sempre visto i popoli indigeni come un ostacolo allo “sviluppo economico” della regione e del Paese. Suor Laura dice che «per questo il Covid-19 rappresenta il “grande alleato ideale”. La pandemia fa il lavoro sporco di sterminare i popoli indigeni senza la necessità di doversi macchiare le mani di sangue. Il ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, nella riunione ministeriale del 22 aprile scorso ha parlato del virus come “opportunità da sfruttare per ammorbidire le leggi di tutela dell’ambiente”. La politica negazionista del governo brasiliano ha un unico obiettivo, quello di salvare l’economia. Papa Francesco, durante il Regina Coeli di Pentecoste, parlando della querida Amazonia ancora una volta ha denunciato queste politiche criminose: “Curare le persone, non risparmiare per l’economia. Curare le persone, che sono più importanti dell’economia. Noi persone siamo tempio dello Spirito Santo, l’economia no”».