Proseguiamo il nostro percorso con una nuova puntata della storia missionaria, andando ad incontrare dei missionari ante litteram: gli uomini e le donne che nel primo secolo d.C. in Palestina scelsero Cristo ed evangelizzarono la cultura politeista.

Nel periodo che va dal 70 fino a tutto il primo secolo d.C., in anticipo rispetto alla “svolta costantiniana”, cominciano a strutturarsi in Palestina e dentro l’Impero Romano, piccole comunità cristiane che sconvolgono totalmente l’ordine sociale dell’epoca.

Queste prime “cellule missionarie” interagiscono sia con il giudaismo che con il paganesimo di stampo ellenistico.

«Era un mondo popolato di dei dell’Olimpo quello – ci spiega il teologo Carmelo Dotolo in questa intervista – con una visione del divino antropomorfa ma anche molto distaccata dall’essere umano e dalle sue miserie».

Dotolo spiega il cammino dei primi divulgatori del Vangelo, alle prese col tentativo di introdurre una inversione delle categorie comunemente accettate in epoca romana.

Con Gesù Cristo i concetti di potere, libertà e schiavitù vengono totalmente ribaltati. Era la grande rivoluzione evangelica.

«Se prendiamo come ipotesi o chiave di lettura l’episodio di Paolo ad Atene – ci spiega Dotolo – negli Atti degli Apostoli (al capitolo 17), ci rendiamo conto che esiste già una curvatura molto interessante: Paolo non nega la validità della religiosità politeistica degli ateniesi, anzi. Ne fa anche una lettura apologetica ma riconosce un dato di fondo: cioè che il Dio che loro adorano non è in grado di produrre un percorso di effettiva liberazione dell’uomo e promuovere un cambiamento culturale nella società».

L’accezione “paganesimo” così come siamo abituati a definirla, «risente di una valutazione negativa, mentre io parlerei di religiosità ellenistica», precisa ancora il teologo.

Ecco a chi si rivolgevano i primi missionari: agli adoratori degli dei dell’Olimpo che difficilmente compresero la svolta evangelica, tanto da ritenere i cristiani una fastidiosa intromissione nell’ordine costituito.

Eppure ci furono anche molte conversioni, persino nelle classi più agiate. Perché? Il Vangelo è una parola globale, per tutti, senza esclusione di alcuno.

«Queste prime comunità guidate in modo assolutamente orizzontale – dice ancora Dotolo – dove non emergevano singole figure dominanti e anche le donne diaconesse avevano un loro ruolo di primo piano, introducono il Vangelo come un potenziale di riscrittura della società, capovolgendo le gerarchie e i rituali».

Il messaggio “scandaloso” che i missionari ante litteram portano dentro l’Impero Romano è la «vicinanza di Dio, il quale si mostra compagno di viaggio dell’uomo, mentre quello del Pantheon greco romano andava venerato ma nell’organizzazione del quotidiano era distante e apatico».

Gli dei dell’Olimpo non producono una trasformazione reale nella vita dell’uomo qualunque ma operano una continuità: «Il cristianesimo è invece una rottura, perciò venne osteggiato all’inizio. Introduce una incrinatura della visione della polis. Nella lettera ai Filippesi Paolo parla ai cristiani di una città dell’Impero ellenistico, dicendo loro: “Non dovete pensare che la vostra fede sia inutile perché il vostro modo di essere modifica la vita”. E così fu.

Il fatto che Gesù mostra un Dio differente che muta se stesso, umanizzandosi, significa assumere nella Storia un annuncio di condivisione. Paolo dice: “Voi siete in grado di essere testimoni. Il cristianesimo in questo processo di apertura produce però una vera crisi”».

Possiamo anche trovare dei nomi di rappresentanti di queste cellule missionarie: Policarpo di Smirne, ad esempio, vissuto tra il 69 e il 155 d.C: fu discepolo di Giovanni e divenne vescovo di Smirne durante il regno di Traiano, era un predicatore e teologo.

Oppure lo stesso Barnaba, originariamente chiamato Giuseppe di Cipro, che fu un apostolo e un predicatore delle prime comunità, tradizionalmente considerato il primo vescovo di Milano. Cosa dicevano alle masse questi primi missionari? Perché erano tanto attraenti e anche tanto pericolosi? L’originalità sta nel fatto che i primi cristiani si rivolgono a tutti gli uomini: questa è la vera rivoluzione antropologica.

«Non c’è più appartenenza per classi ed eredità familiare – spiega Dotolo – poiché Dio stavolta non fa preferenze. Opera anche una iniziale rottura dell’immaginario collettivo rispetto alla donna».

Il ruolo della donna in queste prime cellule missionarie i cui fedeli si riuniscono in casa, non in luoghi di culto pubblici, non è solo quello di «accompagnamento all’uomo» ma di vere e proprie apostole. Questi cristiani sono uomini e donne che hanno avuto il «coraggio di fare scelte diverse.

La letteratura su questo deve ancora fare approfondimenti seri, soprattutto per quanto riguarda le donne». Dotolo spiega che «noi abbiamo riscoperto la fratellanza con san Francesco d’Assisi. Ma all’epoca era davvero un totale sovvertimento! Pensate a cosa potesse essere la condivisione dei beni e la capacità di mettere tutto in comune».

Nel libro “Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli”, Adolf Von Harnack mostra come ci sia tutta una organizzazione sociale ed economica legata a queste prime comunità: «Ad esempio organizzare attività lavorative sul modello delle cooperative per i più poveri – spiega Dotolo – Il cristianesimo diventa organizzazione di un vissuto che consente a chi non ha, di avere quanto basta».

Ma questo processo non inizia subito dopo la morte di Gesù, poiché «fino al 50-55 d.C. le comunità cristiane non avevano consapevolezza di potersi aprire ai Gentili. Questo anche perché non erano accolti bene: i seguaci di Gesù si trovano ad essere stranieri in patria, non erano riconosciuti dentro il giudaismo dell’epoca».

In effetti a quei tempi, anche solo affermare che «Gesù annuncia un Vangelo nuovo (ossia una diversa narrazione del mondo) è una botta nel fianco: quell’uomo morto in croce rappresenta una vittoria differente. Anche il termine Vangelo non è innocuo: la scelta terminologica sta ad indicare che la buona notizia va contestualizzata. Sconvolgeva tutto l’universo dei “grandi” che basavano il loro successo sulla guerra, sul potere, sulla ricchezza. Il Vangelo parla di un nuovo tipo di Signore: che dà attenzione agli ultimi e alle donne. E’ una notizia sconvolgente! E produce un effetto non ininfluente: avvince nella misura in cui umanizza»