La fraternità è stata scelta da papa Francesco come parola chiave per interpretare la realtà ed esprimere il sogno di una società vivibile nell’oggi e nel domani. Essa è stata preferita ad altre che grande rilievo hanno nel pensiero sociale della Chiesa. La solidarietà, ad esempio, virtù da sempre additata come fondamentale per la convivenza e divenuta di uso comune nel discorso sociale. Francesco fin dall’inizio del suo pontificato l’ha usata con riserva, mettendo in luce la possibile ambiguità del termine, dichiarando in svariate occasioni che molti la considerano una parola impronunciabile, una ‘parolaccia’ addirittura (si veda ad esempio qui, in Fratelli tutti al n 116)!
Le ragioni del papa si possono spiegare così: un atteggiamento che è meglio lasciare da parte quando si tratta di cose serie, come sono gli affari, un pungolo alla coscienza che è meglio mettere a tacere se si vuole stare oggi al mondo; oppure, anche, un’espressione abusata dentro cui può starci di tutto: un vago sentimento di umanità, un fugace senso di commozione davanti ad una scena di miseria, un’affrettata elemosina che ci fa sentire buoni. Sentimenti ed azioni che non cambiano nulla, né dentro né fuori di noi. La solidarietà ha invece trovato delle definizioni molto pregnanti nei documenti sociali che ne hanno declinato la fecondità in ogni ambito, dai rapporti tra le parti sociali a quelli tra i popoli.
La Rerum novarum la evocava a proposito dell’unione dei lavoratori che li spinge a lottare per i propri diritti. Non è inutile ricordare infatti che fu la rivoluzione industriale, ossia il nuovo modo di lavorare fianco a fianco di migliaia di persone, a far prendere coscienza del profondo legame che unisce gli individui, costituendoli in società. La solidarietà consiste dunque in primo luogo nella constatazione dell’interdipendenza, il sentimento che ‘siamo tutti nella stessa barca’, che ‘o ci salviamo insieme o insieme tutti andiamo a fondo’, espressioni che sovente ritornano per descrivere questo tempo di pandemia. Da situazione, essa può diventare scelta, secondo la felice definizione di Sollecitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (1987): Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come ‘virtù’, è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti (N°38).
Passaggio cruciale ed assai ben presente in tutto il magistero sociale di papa Francesco e nel documento che stiamo considerando, la cui chiave di lettura rimane la medesima: Riconosci il legame che ti unisce agli altri, prendi coscienza che hai dei fratelli ed agisci da fratello, considerando amici i fratelli! L’amicizia sociale che già si trova nel sottotitolo può dunque con buona ragione ritenersi sinonimo di solidarietà, di cui si parla in più parti in maniera esplicita (es. 114-117). Essa è virtù morale e atteggiamento sociale, deve venire educata nelle persone fin dalla famiglia, porta nella sua radice etimologica l’idea di solidità, per cui viverla è contrastare il rischio della dissoluzione dei legami e contribuire a una costruzione sociale sicura e salda (nota 88); si rivolge a tutti e in particolare ai più fragili e sono spesso i poveri, gli ultimi, a darcene ottimi esempi; è in atto anche nella cura della casa comune, perché si estende ad ogni creatura ed invita a pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni (116).
Tra i principi della Dottrina sociale, la solidarietà è spesso associata alla sussidiarietà. Essa può essere così definita: non è vero aiuto agli altri sostituirli in ciò che essi stessi possono fare; non è giusto richiedere da un livello superiore di autorità ciò che il singolo o il gruppo inferiore possono raggiungere con le proprie forze. Principio rispettoso della dignità di ogni singola persona e dei corpi sociali intermedi, che ricorda come la solidarietà universale si può costruire soltanto dal basso e con il contributo e l’impegno di ognuno. Un campo fecondo per l’applicazione dei due principi è il rapporto tra globale e locale, oggi molto dibattuto. L’evidente interdipendenza tra individui, gruppi e popoli, ha preso oggi il nome di globalizzazione. Sui vantaggi e gli svantaggi di tale sistema siamo ormai tutti edotti. Se esso permette a livelli mai prima raggiunti di sentirci abitanti di un unico mondo e dunque potenzialmente più simili e fratelli, rischia tuttavia di tradursi in universalismo autoritario e astratto (100). Se da un lato estende potenzialmente a tutti i benefici delle scoperte scientifiche e dei moderni mezzi tecnologici, sappiamo dall’altra che non ha eradicato bensì accentuato le disuguaglianze tra regioni del mondo e classi sociali e lo sfruttamento sia delle risorse naturali che del lavoro umano. Se da una parte permette potenzialmente a tutti l’accesso all’informazione e al sapere universale, dall’altra diffonde modelli culturali irrispettosi dell’originalità e della varietà delle culture dei popoli a cui tutti devono adeguarsi. Ecco perché la globalizzazione non è un fenomeno ineludibile a cui non resta che adeguarsi: va invece governato armonizzando l’apertura universale con la fedeltà alla dimensione locale.
Francesco già aveva esposto questo con chiarezza in EG nel quarto assioma del viver sociale: il tutto è superiore alla parte. Non si può vivere rinchiusi nei propri limitati orizzonti o alzare barriere insormontabili a difesa delle proprie tradizioni. La cultura è viva in quanto si alimenta nell’apertura alle novità della storia e agli altri gruppi sociali. Allo stesso modo, nulla si costruisce di autentico ad un livello più ampio se non si basa sul rispetto delle radici di ciascuno, sulle proprie peculiarità, sui valori di cui ogni gruppo sociale è portatore. Non c’è da scegliere tra globale e locale, le due dimensioni devono crescere insieme. Il risultato finale sarà, ancora nella felice immagine già introdotta da Evangelii Gaudium, non la sfera dove tutto è appiattito e si annullano le differenze, ma il poliedro dove le diversità vanno ad arricchire di forme e colori la costruzione comune. A questa luce si giustifica la grande attenzione data (si veda anche Laudato si’ e Querida Amazonia) ai popoli originari: essi sono portatori di una saggezza così antica e legata ai ritmi della natura da poter in modo decisivo contribuire ad una cultura odierna globale sì ma povera in umanità. La dialettica locale/globale si dimostra particolarmente fruttuosa anche nella sua applicazione politica: se in evidente crisi si trovano oggi gli organismi internazionali, succubi così spesso di logiche imperialistiche che sempre si riaffacciano, si stanno facendo strada in tutti i continenti nuovi accordi a livello di regioni geografiche, più capaci di quelli di offrire occasioni di concreta collaborazione economica e politica tra i paesi, ponendosi come esempi concreti di una ricostruzione dal basso della società mondiale. Francesco conclude questa parte dell’enciclica (142-153) proprio sottolineando il valore dell’amore per il vicino, primo esercizio indispensabile per ottenere una sana integrazione universale (151).