«Circa dieci giorni dopo che ero qui in Uganda mi hanno invitato ad una festa in un villaggio: ad un certo punto è arrivata da me questa bambina che mi ha fatto conoscere la bellezza di Dio!».
Inizia così la testimonianza di Nunziella Cucuzza, insegnante di religione e moglie di Tito Squillace, medico volontario dell’ospedale di Kalongo, in Uganda.
Il docufilm, realizzato da Luci nel mondo per la Fondazione Missio in occasione dell’Ottobre missionario, si intitola “Quello che Akèch dice, Dio l’ascolta”.
Akèch è una bambina di quattro anni affetta da idrocefalia e la sua vita in Africa sarebbe stata come quella di molti altri coetanei con handicap, isolati e perseguitati. Ma fortunatamente sulla sua strada Akèch ha trovato Nunzia e Tito.
«La bambina mi è subito saltata addosso e mi accarezzava; tornata a casa ho parlato con mio marito: era urgente rintracciarla perché attorno a quell’età i bambini con questo tipo di disabilità, se non curati, muoiono – racconta lei –. Non è stato facile trovare Akèch perché i bambini disabili vengono tenuti nascosti, si pensa che siano posseduti dagli spiriti».
Nunzia riesce a trovarla e ad immaginare un progetto scolastico per lei e per tutti i disabili di Kalongo.
«Grazie ad Akèch tutto questo è nato: in un secondo momento l’abbiamo fatta operare e mi sono chiesta cosa potessi fare per lei. Il modo c’è: farla studiare». Ma come? «Ho pensato che potessimo costruire una casetta vicino alla scuola in modo tale che da lì i bambini disabili potessero arrivare facilmente. Le suore ci hanno donato due stanzette senza bagno. Per ristrutturarle ci volevano 10mila euro ma ne avevamo solo 4mila», racconta la missionaria.
In breve la Provvidenza si è mossa, spiega Nunzia, e i soldi sono arrivati dall’Italia: «I soldi arrivano prima della necessità, noi abbiamo toccato con mano la Provvidenza di Dio. Li ama tanto da superare ogni difficoltà: il Signore ci precede e lo vuole e noi stiamo cercando di seguirlo». Sono arrivati altri 20mila euro in dono, il donatore non ha voluto rendere noto il suo nome, ma ha chiesto che la struttura fosse intestata a don Pino Puglisi. E così è stato.
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