Il bilancio delle massacro perpetrato ad Alindao è ancora provvisorio: i morti dichiarati dalle autorità sarebbero 42, ma potrebbero essere molti di più. Le testimonianze comunque sono agghiaccianti. «Quello che mi hanno riferito, è che i caschi blu dell’Onu della Monusco (Missione Onu di stabilizzazione della Repubblica Centrafricana) non hanno difeso la popolazione dai ribelli che hanno assaltato ad Alindao. All’arrivo dei guerriglieri si sono ritirati nella base lasciando la popolazione al suo destino di morte». Sono parole drammatiche e sconcertanti riferite all’agenzia “Fides” da padre Amos Boubas, un sacerdote centrafricano. Com’è noto, giovedì scorso, 15 novembre, i ribelli ex Seleka filo-islamici del generale Ali Darassa, hanno attaccato la cattedrale cattolica di Alindao e il vicino campo di rifugiati. «Dopo aver saccheggiato e incendiato la cattedrale i ribelli si sono diretti al campo dove hanno ucciso almeno 42 sfollati», in prevalenza cristiani ma anche musulmani. Tra le vittime il vicario generale della diocesi di Alindao, Blaise Mada, e il parroco di Mingala, don Celestine Ngoumbango, il cui corpo è stato ritrovato solo ieri dopo esser stato dato per ferito. Stando a fonti missionarie, il massacro sarebbe stato perpetrato come rappresaglia per «l’uccisione di un musulmano» da parte delle milizie anti-Balaka. «Un grave fatto di sangue dietro cui vi potrebbero essere motivazioni politiche dopo che la Francia ha presentato all’Onu una risoluzione per prolungare di un altro anno la missione Monusco» ha concluso Boubas. «Crimini che non possono restare impuniti», è stata l’espressione usata dalla Conferenza episcopale centrafricana per condannare il massacro: i colpevoli «siano condotti davanti alla giustizia», hanno reclamato.
«Profondo cordoglio per le vittime» ha espresso la Presidenza e la Direzione della Fondazione MISSIO, esprimendo solidarietà e comunione ecclesiale alla Conferenza episcopale centrafricana.