Anna Tommasi, laica, classe 1944,  è missionaria delle FALMI, (Francescane Ausiliarie Laiche Missionarie dell’ Immacolata). Dopo aver vissuto per molti anni a Roma nella direzione dell’istituto, dal 2002 lavora a Blantyre, in Malawi, dove svolge un eccezionale lavoro di cura con i carcerati e nei villaggi con le scuole materne. Ci ha raccontato quello che fa.

Anna, partiamo dal carcere di Chichiri, uno dei due carceri di Blantyre dove lavori. Spiegaci cosa fai…
Nel carcere di Chichiri, alla periferia di  Blantyre,  in Malawi, ci sono 1987 detenuti. Nel carcere c’è la scuola, a cominciare dalla prima elementare fino  alla quinta  superiore. Alcuni hanno avuto risultati brillanti e abbiamo dei laureati che sono usciti da questa  scuola di Chichiri.
La scuola, la formazione educativa io  la chiamo “l’autostrada per il cambiamento”: se una persona si impegna a studiare e arriva a fare gli esami di maturità con dei risultati buoni nelle condizioni difficili del carcere vuol dire che ha ripensato alla sua vita e vuole cambiare.

C’è stato un miglioramento in questi ultimi anni?
Fino all’anno scorso molte delle classi dovevano apprendere sotto il sole e scappare quando pioveva. Non avevamo nemmeno una tettoia dove ripararci. Poi c’è stato l’intervento di benefattori italiani e di altre nazioni e della CEI con i fondi dell’otto per mille.  Con questi aiuti abbiamo potuto costruire delle semplici strutture in muratura, che di sicuro stanno danno un grandissimo aiuto. Abbiamo 260 studenti tra la primaria e la secondaria, abbiamo 27 professori volontari, ovvero carcerati che insegnano a carcerati. Abbiamo anche 6 ufficiali, guardie,  che ci assistono nel processo formativo. Ma non c’è solo la scuola nel carcere di Chichiri…

Spiegaci…
Voglio dire che non si può obbligare una persona a vent’anni a rimettersi sui libri o a cominciare da zero. Se uno non vuole può sempre iniziare un corso di formazione professionale, in alternativa allo stare sui banchi di scuola. Abbiamo, ad esempio,  una sartoria, qui al Chichiri: io faccio fare qui dentro tanti vestitini, pantaloncini, camicie per i bambini dei nostri asili. Abbiamo due ragazzi che sono  maglieristi,  fanno pullover e gillet per due scuole superiori della città: l’ordinazione viene fatta alla nostra cooperativa e noi portiamo il lavoro qui. Loro ricevono un piccolo compenso, cosicché quando escono hanno una somma  per iniziare a fare qualcosa, a comprarsi gli attrezzi per mettersi in proprio, oppure un po’ di commercio. Questo è quello che facciamo: piccole cose sempre per la promozione della persona, perché vivere in carcere non sia solo un ozio ma diventi anche una attività. Alcuni li prendiamo che non sanno nemmeno cucire, così possono apprendere un mestiere.

Oltre al Chichiri segui anche il carcere di Bvumbwe, dove sono tutti giovani.
Bvumbwe è un carcere che attualmente ospita 300 ragazzi tra i 18 e i 22 anni. Di questi giovani  la metà non sono  mai andati a scuola e  forse solo due sono arrivati alle superiori. Di conseguenza  in questo carcere non si può reperire all’interno, tra i carcerati, personale che possa insegnare.  Per questo  abbiamo 12 insegnanti esterni che vengono tutti i giorni e seguono i programmi scolastici del Ministero dell’Istruzione del Malawi.

Immagino che anche qui non tutti vogliano studiare
Si  e per questi abbiamo una falegnameria e altre attività da offrire. In questi anni abbiamo cercato di curare l’ambiente di questo carcere. Il fatto di avere un ambiente “bello” aiuta a trasformare la persona: se vivi in un ambiente miserabile anche la tua vita te la senti miserabile, se l’ambiente è favorevole,  accogliente, ti aiuta a migliorare la vita. E, quindi non chiamiamolo più carcere… tante scuole in Malawi sono peggio di questo carcere. La struttura adesso c’è, l’importante è continuare con questo pensiero positivo: pensare e vivere in positivo. Quello che dico sempre loro è:  “se non cambiate mentre  siete dentro, non cambierete quando uscite, il cambiamento deve avvenire all’interno del carcere mentre state qui”.

Ma è vero che con il tuo pick up fai anche trasferimento di carcerati da un carcere all’altro o dal carcere al tribunale?
Capita anche questo (e ride!, ndr). A volte le guardie non hanno mezzi per trasferire i detenuti  e allora mi metto a disposizione: salgono sul mio pick up e partiamo. La giustizia in Malawi è complicata, e la maggior parte dei carcerati qui a Blantyre non sono criminali, ma solo poveri che si sono trovati a vivere qualche situazione complicata, senza avere i soldi per sanarla o per pagare un avvocato.
“Battezzati e Inviati” è il tema di questo ottobre missionario. Cosa ti dice questo tema?

Io sono qui come missionaria, inviata in forza del mio battesimo. Io faccio poche prediche, dico a loro:  “Quello che faccio è un segno che Dio vi vuole bene, che Dio ha su ciascuno di voi un progetto stupendo: lo dovete vivere, scoprire, uscire e  viverlo fino in fondo”. Queste sono le mie prediche,  molto brevi, spero che a qualcuno tocchino il cuore. Se pensiamo  alla cooperativa che abbiamo iniziato con ex carcerati, quelli che altri  avrebbero buttato via, si capisce quanto è possibile realizzato grazie alla fede.

Stai parlando della CCC Trust? Cosa vuol dire la sigla?
Si sto parlando di questo. Sono tre parole in chichewa: carità, onestà e progresso. Tre parole scelte insieme ai ragazzi usciti dal carcere, con due obiettivi: offrire lavoro a chi esce dal carcere e recuperare   fondi (invece di chiederli sempre e solo all’estero) per poter aiutare chi è in carcere. Abbiamo iniziato con 7 persone 15 anni fa,  adesso la cooperativa ha 65 dipendenti, con altrettante famiglie sulle spalle. Tra i nostri progetti abbiamo la sartoria, la lavorazione del ferro, le pulizie, la falegnameria e le costruzioni edili. La chiesa anglicana di Blantyre ci commissiona da anni tutti i paramenti, pensa che stiamo costruendo una chiesa di 22 metri per 12! Per questi giovani uomini è un traguardo non da poco!

Paolo Annechini

 

117 ASILI, 6570 BAMBINI, UNA PAROLA: CONDIVISIONE

L’asilo Yankho nel villaggio di Mbosi, interamente musulmano, dove nessuno parla l’inglese ma il chichewa, una delle lingue parlate  in Malawi, è  una delle 117 scuole materne che il gruppo messo in piedi da Anna Tommasi gestisce  in una vasta zona. “Abbiamo in tutto 6570  bambini: è una impresa aiutarli tutti, lo facciamo piano piano a seconda degli aiuti che riceviamo”, afferma Anna. “Però  il fatto che i bambini si ritrovino insieme e che abbiano un inizio di formazione anche intellettuale e comunitaria è indubbiamente  un  passo in avanti molto grande”. “Il governo vuole che in ogni villaggio ci sia una scuola materna, ma ovviamente nella povertà della nostra zona molti bambini si radunano sotto l’albero”. “Nel giro di 15 anni”, continua Anna,  “abbiamo costruito una ottantina di scuole materne,  ovviamente con l’aiuto esterno. La gente del villaggio deve avere i mattoni pronti, la sabbia, devono portare l’acqua: quindi è una collaborazione”. La collaborazione funziona così: Anna porta un contributo economico di circa 4000 euro, che riceve da donazioni (in ricordo di gente defunta, un anniversario di matrimonio, un nascita, un gesto di solidarietà…) e che serve per la costruzione, gestita dalla cooperativa che ha creato. Il villaggio, con il capo villaggio in testa, ci mette il terreno, la gente porta sabbia, acqua, mattoni. Il villaggio forma un comitato di gestione che ha il compito di seguire l’andamento dell’iniziativa. Il villaggio identifica una i più ragazze o mamme che  diventano le insegnanti della scuola. Sono volontarie,  ricevono la formazione dal gruppo di Anna e rimborsi in alimenti dal comitato di gestione e dai genitori dei ragazzi, che non pagano una retta per mandare i figli all’asilo. Il comitato di gestione si incarica di recuperare dai genitori il cibo per i bambini e per le insegnanti. Anna gestisce 117 asili con solo una persona dipendente, la quale coordina un gruppo di volontari, ognuno dei quali segue un certo numero di scuole. Quando sorge un problema, prima viene discusso con il supervisore che, se serve,  attiva il comitato di villaggio. “E’ la visione del progresso a piccoli passi, sostenibile, soprattutto voluto e quindi condiviso con il villaggio”, dice Anna.