Da qualche mese la popolazione nigerina di Arlit, nella regione di Agadez, estremo nord del Niger, trema al solo pensiero: licenziamento.

La multinazionale francese dell’uranio, Areva, sta per procedere al taglio del personale (oltre 700 persone) e al ridimensionamento della sua attività, che non risulta più così redditizia come un tempo.

Stiamo parlando di un colosso francese, presente in Niger da oltre 50 anni, che dopo aver sfruttato a suo piacimento le miniere d’uranio (materia prima che serve alla Francia per alimentare le centrali nucleari) e spremuto i lavoratori della Somair (Societé des mines del’Air) e della Cominak (le due filiali nigerine di Areva), costantemente a rischio rifiuti radioattivi, ora vuole mollare la presa e produrre di meno.

Per ragioni legate ai prezzi in calo dell’uranio, dice l’azienda.

«I tempi sono duri per Areva in Africa – scrive Le Point Afrique – e in particolare in Niger. L’azienda sta per mettere in atto un piano industriale annunciato a fine ottobre, per far fronte alle difficoltà del mercato».

Un portavoce di Areva ad Arlit, ha dichiarato di recente alla Reuters che «la miniera ridurrà la produzione annua di uranio a 1700 tonnellate nel 2018, rispetto alle 2.100 dell’anno appena passato».

«E’ una questione di sopravvivenza», argomentano i dirigenti d’azienda.

E della sopravvivenza di migliaia di famiglie africane che stanno per perdere il lavoro, tra operai, indotto, personale che ruota attorno al bacino, chi se ne occupa?

La forza negoziale di sindacati e ong è molto debole, sebbene da anni ci siano attivisti africani ed internazionali che denunciano una situazione grave, dal punto di vista sia dell’ambiente, che della sicurezza e dello sfruttamento degli operai.

In particolare la Ong AGHIRIN’MAN si batte per gli interessi della gente: la sua attività sul campo, scrive Mediapart, ha permesso in questi anni di svelare una situazione molto grave, relativa al materiale radioattivo lasciato in strada e nelle abitazioni nel comune di Arlit, con decine di milioni di tonnellate di residui radioattivi a cielo aperto, senza protezione.

La Ong denuncia, che dopo aver inquinato, messo a rischio e provocato malattie, ora la Francia decide una exit strategy dal settore per motivi prettamente legati al profitto.

Anche Greenpeace ha denunciato l’immissione sul mercato di Arlit di materiale radioattivo e i rischi enormi che corrono non solo gli operai in miniera, ma l’intera popolazione della regione africana.

Il Niger è in questo momento nell’occhio del ciclone per quanto riguarda la politica europea in Africa: gli europei guidati dalla Francia di Emmanuel Macron, hanno lanciato un’operazione militare euro-africana varata al vertice di Celle Saint Cloud, ufficialmente volta a combattere il jihadismo nella regione, in accordo con i cinque Paesi africani – G5 Sahel – target del terrorismo (Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania).

Il tutto dopo l’approvazione del Consiglio di Sicurezza Onu del 21 giugno scorso.

L’Italia partecipa all’operazione tramite la ‘missione’ nigerina, appena varata, al seguito di Parigi. In realtà tutta questa operazione servirà principalmente a tenere lontano l’esodo di migranti africani dai loro Paesi, diventati una trappola sia a causa del terrorismo che naturalmente per motivi economici e politici.

L’Europa, come abbiamo visto nel caso di Areva, non solo non ha intenzione di aiutare le popolazioni con la tradizionale Cooperazione allo sviluppo (che nei fatti è morta o si è trasformata in aiuto alle imprese europee che delocalizzano in Africa), ma, dopo averle impoverite e sfruttate per anni (il caso uranio è solo uno dei tanti), ora intende impedire che lascino il proprio Paese per tentare di salvarsi la vita all’estero, arrivando sulle nostre coste.

(FOTO: PIERRE VERDY / AFP FILES / AFP)