«Innamorarsi del Dio dell’impossibile è la condizione necessaria per annunciare il Vangelo. Spesso proviamo sentimenti di inadeguatezza, impotenza, persino sfiducia. Sembra che annunciare il Vangelo sia una missione impossibile, se contiamo solo sulle proprie forze. Ma se capovolgiamo il discorso, ci rendiamo conto che i criteri evangelici non sono i nostri: quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti».
Così monsignor Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, ha cominciato nella mattinata di oggi – domenica 23 aprile – il suo incontro con i 110 futuri sacerdoti arrivati da varie regioni d’Italia al Seminario arcivescovile della città partenopea, per partecipare al Convegno missionario nazionale dei seminaristi.
Organizzato da Missio Consacrati, l’evento ha lo scopo di sensibilizzare i giovani studenti all’apertura missionaria e l’edizione in corso ruota intorno al tema “Di me sarete testimoni: vite che parlano”, slogan dell’ultima Giornata Missionaria Mondiale.
La testimonianza dell’arcivescovo di Napoli ha toccato il cuore del senso della vocazione sacerdotale, che non può essere intesa come un qualcosa di disgiunto dall’essere missionari. «Con gli occhi di Dio – ha aggiunto monsignor Battaglia – la nostra vocazione ci sembrerà una missione possibile, avvincente, degna delle migliori scommesse della nostra gioventù».
Ma nessuno può coltivare il proprio orticello senza sentirsi addosso la responsabilità del giardino del mondo. In altre parole, i problemi dell’umanità devono entrare dentro la propria stanza, perché essi appartengono al presbitero che trova nel Vangelo la sorgente e la forza del suo anelito missionario.
Monsignor Battaglia ha condiviso con i seminaristi gli esempi di tre testimoni di fede e missione centrali per la sua vocazione personale e per la sua azione episcopale. Tre testimoni che ha definito «due padri e un figlio».
Il primo è dom Helder Camara, vescovo brasiliano di Olinda e Recife, che Battaglia incontrò da seminarista durante un evento organizzato dalla Chiesa calabrese per i giovani in formazione: «In quell’uomo – ha confessato l’arcivescovo – colsi il senso di Dio, della giustizia, dell’amore, del Vangelo. Nel suo inaspettato abbraccio, intenso e paterno, partendo dalle mie fragilità compresi che Dio mi confermava, mi dava appuntamento. Da quel momento ho imparato che il sì alla missione nasce da un appuntamento, non programmato, con Dio».
Anche don Tonino Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi (di cui in questi giorni si ricordano i 30 anni dalla morte), ha segnato la vita sacerdotale di monsignor Battaglia: «E’ stato per me testimone della carità, profeta della pace, fratello, amico. Amante della gente, dei poveri soprattutto, del Vangelo. Diceva che è molto difficile parlare di Cristo perché Cristo non accetta di essere raccontato, ma pretende di essere vissuto. Lui mi ha insegnato che prima di ogni alto ideale ci sono i nomi, i volti, le storie: non i poveri generici, ma coloro che incontro; non i malati, ma i volti segnati dal dolore». Don Tonino era afferrato dall’ansia della missione.
Per lui, missionario è chiunque si fa scompaginare da Cristo, nei suoi ideali di ferro, nei suoi calcoli di futuro. «Vi auguro di essere scompaginati da Cristo», ha concluso monsignor Battaglia rivolgendosi ai seminaristi.
Anche di un figlio ha voluto parlare l’arcivescovo di Napoli: «Di un sacerdote della mia diocesi che, quando sono arrivato qui, era già a largo». Si tratta di don Angelo Esposito, missionario napoletano fidei donum, in servizio a Tacanà (Guatemala). A lui l’arcivescovo ha chiesto di scrivere una lettera indirizzata ai partecipanti al Convegno, testo che è stato letto da Battaglia e che ha convinto i seminaristi che essere missionari è spendere la propria vita, tutta e solo per amore: «Non importa dove sarete: importa il perché e il per Chi sarete lì», ha concluso il vescovo.
Ne sono convinti i seminaristi: è facile cogliere la presenza del Signore nei tabernacoli delle chiese, più difficile è farlo nei tabernacoli della sofferenza, della Storia, della povertà. Ma la missione facilita in questo, perché «i missionari ci imparentano con il mondo intero».