Le donne fanno missione con tenerezza. Le donne vivono la missione mescolandosi con le altre donne. Le donne diventano missionarie facendosi mamme con le mamme. Le donne esprimono la missione con l’attenzione e la cura. Insomma, c’è un volto femminile della missione che ha un valore aggiunto e di cui le missionarie sono ben consapevoli. Lo hanno testimoniato con semplicità, ma anche con determinazione e passione, le partecipanti alla Tavola rotonda dal titolo “Il volto femminile della missione” che si è tenuta nel pomeriggio di oggi – venerdì 13 ottobre – all’interno del ricco programma del Festival della Missione, in corso a Brescia in questi giorni.

A moderare gli interventi è stata suor Elisa Kidané, missionaria delle Suore Pie Madri della Nigrizia, scrittrice che ama definirsi «eritrea per nascita, comboniana per vocazione, cittadina del mondo per scelta». Per non dare adito a fraintendimenti, sin dall’inizio dell’incontro suor Kidané ha espresso la sua convinzione: «Mission is possible (richiamando il titolo del Festival, ndr) soprattutto grazie a noi donne», ricordando che sono state le discepole di Gesù le prime ad annunciare la sua Risurrezione. Che la missione sia possibile anche e soprattutto grazie alle donne lo hanno confermato le testimonianze che si sono susseguite.

 

LA MISSIONE E’ ANCHE DIRE DEI SI’

Sara Foschi, 38 anni, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e missionaria da 12 anni in Bangladesh, ha raccontato di essere partita per un’esperienza di missione in India quando era poco più che adolescente, nonostante la fragilità dell’età: «Dovevo ancora capire il senso della mia vita, ma partii lo stesso grazie a don Oreste Benzi, il fondatore della mia Comunità, che mi dette fiducia. In missione mi sono sentita amata ed ho toccato con mano l’amore di Dio tramite le persone che ho incontrato». Per declinare la missione al femminile, Sara Foschi, piuttosto che teorizzarla, ha voluto raccontare alcuni tratti della sua vita: «In Bangladesh ho capito che la missione è dire dei ‘sì’; il primo, l’ho detto ad un bambino orfano che mi ha chiesto di farle da mamma». Questo è stato il “primo mattone” di una casa-famiglia che presto ha preso vita. Sara accompagnava i “suoi” piccoli a scuola e qui si mescolava con le altre mamme che facevano altrettanto con i loro figli. Ma Sara si mescolava anche con le altre donne al mercato, dove con loro faceva le pulizie: un modo per essere missionaria con la vita, condividendo la quotidianità.

 

LA MISSIONE E’ ANCHE MESCOLARSI TRA LA GENTE

Anche suor Angela Bertelli – missionaria saveriana definita da suor Kidané «donna planetaria» per aver girato il mondo tra Africa, America e Asia – ha testimoniato di aver riscoperto la missione in Thailandia, vivendo in mezzo alla gente di una baraccopoli di Bangkok. «Sono stata io a chiedere alla mia congregazione di andare là, per lavorare e pregare potendomi immergere nella povertà. Dal fango della baraccopoli sono rinata». «In una società intrisa di buddismo theravada, dove non esiste il concetto di Dio né quello dell’io, per far conoscere il Signore il linguaggio non può essere usato: non rimane che testimoniarlo con la vita», ha spiegato suor Bertelli. E non si è scoraggiata, anzi: si è rimboccata le maniche in una struttura di accoglienza per bambini disabili dal nome più che simbolico de “La casa degli angeli” (la cui vicenda è raccontata in un libro omonimo scritto dalla suora). Questa realtà non sarebbe nata se non ci fosse stata la condivisione quotidiana del Vangelo: «Il fatto che mamme, in un contesto sociale che non accetta la disabilità, non abbandonino i loro figli in un orfanotrofio ma se ne prendano cura in prima persona, è già una lode a Dio» ha affermato. E questi sono i frutti di una missione che passa dalla condivisione delle azioni quotidiane, come lavare i pavimenti della casa di cura con le mamme dei bambini disabili o stasare i gabinetti.

 

LA MISSIONE E’ ANCHE PROMOZIONE UMANA

La terza testimonianza è stata quella di Aurora Lombardi, che ha raccontato la scelta missionaria della compianta zia, Enrica Lombardi, imprenditrice di Brescia e fondatrice della Fondazione Museke. Una donna straordinaria per la città lombarda e per il mondo intero, che non è partita per una terra di missione ma ha saputo mettere le sue capacità imprenditoriali (da semplice sarta, a proprietaria di una grande industria con 300 dipendenti) a servizio dell’evangelizzazione e della promozione umana (come Enrica Lombardi stessa amava ripetere). Così negli anni ha investito i profitti della sua azienda nella costruzione in Burundi di asili, scuole, sale parto, laboratori sartoriali, ma anche di un convento di clausura in Rwanda. «Il volto femminile della missione di Enrica Lombardi – ha concluso la nipote – è sempre stato molto forte. Il suo operato era finalizzato alle donne, che fossero donne lavoratrici, mamme, suore. Inoltre non avrebbe fatto tutto quello che ha fatto se non fosse stata aiutata da altre donne, sia bresciane, sia africane».

 

Tre storie di vita vissuta, che raccontano che missione è avere il coraggio di leggere la storia, di fare silenti rivoluzioni per cercare di restituire dignità alla persone. Il volto femminile della missione è fare tutto questo con tenerezza, coraggio, forza, determinazione.