Padre Gianfranco Testa ha vissuto sette anni in Argentina come missionario, al tempo della rivoluzione del dittatore Jorge Rafael Videla: di questi, quattro anni e otto mesi li ha trascorsi in carcere ed ha rischiato più volte di essere ucciso.
«Era un tempo difficile: lavoravo con i contadini, cercando di aiutarli a trovare la strada della giustizia e della verità. La gente fa fatica ad essere libera: è più facile obbedire, che non assumersi le responsabilità. Il mio lavoro di coscientizzazione non è piaciuto a tutti e ad un certo punto sono stato arrestato», racconta padre Testa nella video-intervista realizzata da Luci nel Mondo per la Fondazione Missio e diffusa per l’animazione dell’Ottobre.
Oltre all’Argentina, padre Testa, missionario della Consolata, ha operato in Nicaragua ai tempi della rivoluzione sandinista, e in Colombia. Per l’esperienza vissuta, anche in prima persona, ha sviluppato una ricca teologia sul perdono e la riconciliazione: concetti che non possono essere confusi, né considerati sinonimi.
«Di fronte ad un fatto gravissimo (l’uccisione di un figlio o la sparizione di un caro: penso ai desaparecidos in Argentina), abbiamo tutto il diritto di arrabbiarci: però vivere di rabbia non serve, non risolve nulla. Il perdono è innanzitutto superare quella rabbia che abbiamo dentro e continuare ad avere amore per la vita, vedere che si può vivere nonostante tutto», confessa padre Testa. E continua: «Quando domino la rabbia attraverso il perdono, io mi libero. Il perdono allora diventa un guadagno per me, perché mi fa stare bene. È difficile, non si fa in pochi giorni, ci vuole tempo (mesi, anni), però è fondamentale sapere che la meta è quella».
Il missionario mette in guardia dal confondere il perdono con la riconciliazione: «Se ho perdonato, non ho odio verso una certa persona. Però non ho ancora avuto il coraggio di andare a bussare alla sua porta. Non bisogna richiedere la riconciliazione troppo in fretta: ci sono condizioni per riconciliarci».
La riconciliazione, infatti, è come costruire «un ponte verso chi ci ha fatto del male: questo ponte ha dei pilastri che lo sostengono» e per costruirlo «dobbiamo camminare tutti e due: se no, meglio accontentarci del perdono che è già un grande guadagno». Per padre Testa, i pilastri della riconciliazione sono la memoria, la verità, la giustizia e il futuro, ovvero la domanda che interroga entrambe le parti: cosa vogliamo fare d’ora in avanti?
Anche per la sua esperienza vissuta, padre Testa non ha dubbi: «Il perdono è un guadagno per se stessi; la riconciliazione è riuscire a sanare la ferita con l’altro». Comprendere e vivere tutto questo «è un lavoro missionario».
E annunciare il Regno di Dio, vivendo da testimoni e profeti, è anche e soprattutto «riuscire continuamente a ricostruire relazioni; è la capacità di guardarsi in faccia con fiducia, non diventare nemici a priori degli altri, ma avere un senso di fiducia nell’altro: questo è il Regno di Dio! Dobbiamo lavorare ovunque per questo».
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