Il “fratello universale” è santo. Charles de Foucauld, l’irrequieto visconte alsaziano (1852 – 1916) diventato fratel Carlo di Gesù tra i Tuareg del Sahara algerino, è stato canonizzato ieri durante il Concistoro ordinario da papa Francesco, dopo la beatificazione sancita da Benedetto XVI il 13 novembre 2005. Insieme a lui sono stati proclamati santi altri sei beati: Luigi Maria Palazzolo (1827-86), Anna Maria Rubatto (suor Maria Francesca di Gesù, 1844-1904), Giustino Russolillo (1891-1955), Maria Domenica Mantovani (1862-1934), César de Bus (1544-1607), e il laico indiano Devasahayam Pillai (detto Lazzaro 1712-1752).
Ufficiale dell’esercito, Charles spende la sua irrequieta giovinezza tra mondanità e viaggi, garantito dal patrimonio di famiglia che aveva ereditato alla morte del nonno. Viene inviato in Algeria con la sua guarnigione nel 1880 e da allora si innamora di quei Paesi ma soprattutto delle genti che incontra. Lasciata la carriera militare, sotto la guida dell’abate Huvelin, a 28 anni scopre Dio in fondo al suo orizzonte di ricerca. Scrive nei suoi diari «Io che sono stato così dubbioso, non ho creduto tutto in un solo giorno. A volte i miracoli del Vangelo mi sembravano incredibili; a volte volevo intercalare dei passaggi del Corano nelle mie preghiere. Ma la grazia divina e i consigli del mio confessore hanno dissipato queste nubi».
Da qui il viaggio spirituale di Charles prosegue dritto. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, dal 1890 passa sette anni come monaco prima nell’abazia trappista di Nostra Signora delle Nevi in Francia, poi nella Trappa di Akbès in Siria e presso le clarisse di Nazareth. La povertà, l’adorazione, la preghiera e il silenzio sono la nuova vita di fratel Carlo di Gesù, il suo nome dopo l’ordinazione sacerdotale a 43 anni nel 1901. Vive nel deserto algerino, prima a Beni Abbès, poi a Tamanrasset in territorio Tuareg, i misteriosi Uomini Blu figli del deserto. Nel suo diario scrive: «In questo momento sono nomade, vado da un accampamento all’altro, cercando di creare delle relazioni di familiarità, di amicizia… Questa vita nomade ha il vantaggio di farmi conoscere molte persone, di farmi visitare la regione».
Charles vive nel sentimento di nascondimento di fare il bene, quasi senza fare rumore, vuole «passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte, poveramente, laboriosamente, umilmente…» come scrive nel 1904. Questa era la sua volontà. Per questo aveva scelto di vivere nel deserto, come luogo in cui ci si ritrova in silenzio al cospetto di Dio, ma anche come realtà geografica, in terra d’islam per essere “fratello universale” di ogni uomo, di ogni credente. Qui viene ucciso da razziatori nomadi nel 1916 e la sua morte sembra cancellare sotto la sabbia le tracce di un grande testimone del Vangelo, un martire arrivato “in solitaria” fino alle frontiere più estreme dell’evangelizzazione.
Ma in questa testimonianza c’è tutta la profezia di un grande santo dei tempi moderni. Al momento della morte la sua presenza tra i musulmani non ha generato nessuna conversione. Nessuna delle migliaia di pagine dei suoi diari scritti «ai piedi di Gesù» è stata pubblicata. Il chicco di grano gettato nell’arido deserto sembra essere morto senza dare frutto. Eppure 20 anni dopo viene raccolto e seminato da un uomo e una donna Renè Voillaume e Madeleine Hutin. Curano l’edizione dell’opera omnia di De Foucauld e fondano i due rami delle congregazioni dei Piccoli Fratelli e delle Piccole Sorelle di Gesù, che con il loro stile di servizio hanno anticipato i nuovi orizzonti del Concilio Vaticano II. L’eredità di fratel Charles è viva, e l’uomo del deserto, profeta del dialogo interreligioso e di uno stile di missione che forse solo oggi possiamo capire in tutta la sua rivoluzionaria pienezza, è ancora in cammino. Dovunque lo portino le orme di Dio.