«Nostro figlio è nato il 27 marzo scorso, mentre fuggivamo dal villaggio di Macomia, a Cabo Delgado. Lo abbiamo chiamato Marcos Cavanis de Horacio». “Cavanis”, proprio come la Congregazione di missionari (Procura delle Missioni Cavanis) delle Case do Menor, che vivono nella zona a nord del Mozambico, ma che sono dovuti scappare, incalzati dai terroristi.
A raccontarlo è la mamma del piccolo Marcos, messa in fuga dai gruppi armati assieme alla mamma di un altro neonato, nato il 28 maggio scorso nella foresta. Nel Nord del Mozambico questa oramai è diventata la prassi. I terroristi attaccano i civili con furia disumana.
«Siamo profughi anche noi come i nostri parrocchiani – ci dicono padre Benjamin Insoni e Jeancy Kayaba – Le nostre necessità sono tante. Solo il Signore può sostenerci». Finora la diocesi di Pemba ha accolto gli sfollati.
In questi mesi la costa settentrionale del Paese, Cabo Delgado, è sotto choc: attaccata di continuo da gruppi armati che non hanno un’identità ben definita, ma un obiettivo chiaro: allontanare con le armi le popolazioni che vivono sulla costa e prendere possesso di quelle terre. Sono postazioni strategiche, queste, per raggiungere i numerosi giacimenti di gas della costa.
«Dal 28 al 30 maggio di quest’anno la nostra missione di Macomia e alcuna altre comunità lontane dalla parrocchia, sono state simultaneamente attaccate dai guerriglieri – ci scrivono – La situazione è molto triste e deprimente. I guerriglieri entrano nei villaggi, nelle case rubando e bruciando tutto».
Questa mattanza, peraltro, arriva a pochi mesi di distanza dal ciclone Kenneth del 25 aprile scorso che ha distrutto case e scuole.
«Anche la nostra casa parrocchiale e la chiesa parrocchiale hanno sofferto danni. Poi, proprio in piena ricostruzione sono arrivati i guerriglieri distruggendo nuovamente tutto e lasciandoci senza speranza di una vita normale. Ora, a completare la nostra impotenza è arrivato anche il virus».
A detta degli stessi missionari gli attacchi armati sono una forma violenta di land grabbing che ha per obiettivo occupare un territorio appetibile.
Benjamin e Jeancy, i padri Cavanis hanno aiutato centinaia di famiglie a scappare (chi nella foresta, chi nei villaggi vicini), e ci hanno raccontato nei dettagli questa storia di morte e paura.
La popolazione si è vista obbligata ad abbandonare case e campi e a «cercare rifugio nelle città e provincie più vicine. Le famiglie che non sono riuscite a fuggire si sono riparate bella foresta e vivono terrorizzate di essere scoperte», dicono ancora i due padri.
La strategia dei rivoltosi, dicono i missionari, è quella di «attaccare ad intervalli di tempo tra un episodio e l’altro, e senza dare il tempo alle persone di rendersi conto di quanto accade, facendole vivere nella costante insicurezza e paura».
Nessuno sa con certezza «chi siano i terroristi e chi è il loro capo, nemmeno il governo del Paese. Non si sa chi sta dietro a questa guerriglia. Il gruppo si autodefinisce islamico, ma gli islamici del Paese non li riconoscono come tali».
La situazione a Cabo Delgado è peggiorata molto durante l’anno, per via della pandemia di Covid. «Purtroppo in questa parte del Mozambico a causa della povertà e della mancanza del minimo necessario è sempre più difficile osservare le indicazioni e le misure rigorose emanate dal governo».
Il governo mozambicano ha deciso di riprendere l’anno scolastico, ma non a Macomia.
«Qui la maggior parte delle scuole sono state distrutte e si vive in un clima di paura e insicurezza contagiosa. I guerriglieri possono sempre ritornare. Molti insegnanti sono fuggiti e lavorano in altre città. Nella nostra regione non si riprenderà l’anno scolastico».