<<La nostra barca nei pressi di Lesbo ha iniziato a imbarcare acqua; era buio, pioveva e faceva freddo.

Mi sono aggrappato ad una tanica della benzina. Poi mi sono addormentato sognando Gesù che mi abbracciava aprendo un ombrello giallo. Al mio risveglio avevamo raggiunto Lesbo>>.

E’ il racconto finale dell’odissea di Alì Ehsani, afghano, autore del libro autobiografico ‘Stanotte guardiamo le stelle’. Alì è intervenuto oggi al festival della missione di Brescia, al panel ‘I migranti in casa’ con suor Raquel Soria della consolata e suor Giovanna Minardi, missionaria dell’Immacolatahanno.

Nato nel 1989 in un villaggio vicino Kabul, Alì ha dovuto lasciare il Paese quando aveva appena otto anni.

Casa sua venne rasa al suolo da un bombardamento: <<quel giorno tornato da scuola ho visto casa mia distrutta. Ma non pensavo che sotto le macerie ci fossero i miei genitori>>. Lo shoc di un bambino rimasto orfano e senza più radici, si trasformerà in paura e neccessità di partire.

<<Mio fratello, che all’epoca aveva 17 anni ha deciso che dovevamo andar via e il nostro viaggio è durato 5 anni>>.

I due fratelli approderanno in Iran, poi passeranno per la Turchia e per la Grecia: settemila chilometri di strada per arrivare in Italia. Un viaggio pieno di pericoli, insidie, ostacoli. Tanto che Mohammed morira’ in mare su un gommone diretto in Grecia.<<Io mi dicevo: non sono libero. che razza di umanità è questa?>>.

Il suo racconto è rappresentativo delle storie dei tanti ragazzi che ogni giorno arrivano sulle nostre coste e non ricevono l’accoglienza che meritano. Suor Raquel, che invece in Sicilia, assieme a suor Giovanna Minardi portano avanti una missione trasversale, tra Modica e Noto, hanno raccontato la loro esperienza.

Il centro di aggregazione giovanile, i corsi di italiano, l’assistenza legale e sanitaria per i migranti appena giunti in Italia sono l’ultima forma di missionarietà necessaria: <<nella città di Pachino abbiamo un presidio con una presenza costante sul territorio.

Per questi ragazzi è fondamentale sentirsi chiamare per nome. Accogliere l’altro è strapparlo all’anonimato>>, ha detto suor Raquel.

E ha aggiunto che la disponibilità è anzitutto interiore: <<il nostro primo impegno è far spazio dentro di noi per accogliere il fratello. Il primo vangelo da annunciare è quello della comunione. Non si finisce mai di imparare questa lezione>>.