Che bello pensare alla grande apertura al mondo contemporaneo del Concilio Ecumenico Vaticano II, con i suoi documenti che delineano la sempre immutata Chiesa di Gesù, “semplicemente” tradotta nel linguaggio degli uomini e delle donne di oggi! Fin dalla sua apertura nel 1962 il Concilio ha suscitato tra molti fedeli utopie e passioni, senza negare anche le illusioni e le delusioni, tanto nel clero e nelle persone consacrate, quanto nei laici.
In relazione all’impegno missionario della Chiesa, il Concilio ha prodotto il Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes (7 dicembre 1965) nel quale si afferma che «Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui ancora non è radicata». (6)
Il profilo dei missionari
Nello stesso documento viene presentato il profilo dei missionari: sono coloro che nella Chiesa «si assumono come dovere specifico il compito della evangelizzazione che appartiene a tutta quanta la Chiesa. Difatti sono insigniti di una vocazione speciale coloro che, forniti di naturale attitudine e capaci per qualità ed ingegno, si sentono pronti a intraprendere l’attività missionaria, siano essi autoctoni o stranieri: sacerdoti, religiosi e laici». (23) Inoltre si precisa il dovere missionario dei laici: «…Nelle terre già cristiane i laici cooperano all’opera evangelizzatrice sviluppando in sé stessi e negli altri la conoscenza e l’amore per le missioni, suscitando delle vocazioni nella propria famiglia, nelle associazioni cattoliche e nelle scuole, offrendo sussidi di qualsiasi specie, affinché il dono della fede, che han ricevuto gratuitamente, possa essere comunicato anche ad altri». (41)
Per “laici” anche famiglie
In questo richiamo alla “riscossa” missionaria si può ragionevolmente intendere per laici non solo singoli, uomini e donne, ma anche famiglie che, in effetti, nel corso degli anni, hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo dell’attività missionaria già sollecitata nell’enciclica Fidei Donum (1957). Sempre in riferimento al Concilio Vaticano II, nella Costituzione Pastorale La Chiesa nel Mondo contemporaneo, la famiglia è ritenuta «veramente il fondamento della società» e nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium alla famiglia cristiana viene attribuito il significato di «Chiesa domestica», (11) quale cellula vitale non solo della società, ma del popolo di Dio e quindi di una più ampia comunità che è la Chiesa. La natura sacramentale della famiglia costituita nel matrimonio, fa sì che la sua presenza in ambito missionario (come dovrebbe esserlo anche nel contesto della Chiesa di invio!) sia reale espressione di specifici carismi e ministeri laicali, non tanto spiegati attraverso la dottrina, ma più vissuti nella quotidianità delle relazioni che la famiglia riesce ad intessere con le comunità a cui è destinato il suo servizio missionario.
La famiglia da completezza
La presenza della famiglia nella missione costituita con sacerdoti e religiose, dovrebbe dare quindi una certa completezza al quadro dei valori che si intendono testimoniare con l’annuncio del Vangelo.
Eppure, come ben sanno coloro che questo modello di missione l’hanno sperimentato personalmente, non è per niente facile conciliare carismi e ministeri propri di ciascun missionario, religioso o laico che sia, con caratteri, sensibilità e abitudini a volte molto diversi tra loro. Al di là della opportunità o meno di costituire comunità missionarie “miste” (preti, suore e laici/famiglie), che condividono spazi e tempi comuni (pur garantendo margini vitali di autonomia), va da sé che, ad esempio, la presenza di bambini può innescare situazioni di difficoltà relazionali nella comunità degli adulti a scapito anche dell’educazione dei bambini stessi. D’altra parte, però, l’esperienza mi dice che proprio i bambini di una famiglia, sempre destinatari di affetto, di premure e di cura, possono essere un solido collante per la vita di una comunità missionaria spesso alle prese con una programmazione efficientistica e quindi poco gratificante delle tante attività organizzative e gestionali oltre che pastorali. Così come il mancato riconoscimento di ruoli e funzioni della famiglia all’interno delle attività pastorali, o viceversa, il non assolvimento di tali ruoli e funzioni da parte della famiglia, sono spesso motivo di disorientamento e di incomprensioni che portano a una non serena testimonianza di vita cristiana personale, famigliare e comunitaria. Ma qui siamo comunque in un quadro “tradizionale” di missione dove la presenza del sacerdote è garantita H24, nonostante la maggior parte delle comunità cristiane locali possono ricevere la sua visita solo qualche volta all’anno.
Una domanda
Perciò la domanda che mi pongo è: potrebbe essere costituita una missione, laddove vi è carenza assoluta di vita pastorale, con la sola presenza (almeno iniziale) di una famiglia-Chiesa domestica in uscita, “straniera” in terra di missione? Nella mia esperienza all’interno del mondo missionario non ho avuto modo di veder realizzata (ma neppure teorizzata) la promozione di missioni a partire da una famiglia-Chiesa domestica inviata da una diocesi ben dotata di risorse umane ed economiche a sostegno di un’altra diocesi in grave difficoltà nel rispondere ai bisogni pastorali delle proprie comunità cristiane. Capisco che non sia facile dare corpo ad un’ipotesi del genere, non tanto (forse) per motivi di ordine “teologico”, quanto piuttosto per le difficoltà pratiche relative ai costi e alle responsabilità morali che la chiesa di invio deve assumersi, tenuto conto delle prevalenti libertà e dei diritti in ambito civile a cui i laici possono appellarsi a differenza dei ministri ordinati o dei religiosi consacrati. Eppure lo stesso Decreto Ad Gentes, nel paragrafo 17 dedicato ai catechisti («sia uomini che donne»), incoraggia a fare in modo che «quelli che si dedicano completamente a quest’opera bisogna garantire un decoroso tenore di vita e la sicurezza sociale, corrispondendo loro un giusto compenso». Già molte comunità disperse su vasti territori, in Africa come in America Latina (ma, sono certo, anche in Asia ed in Oceania) ricevono la cura nella formazione cristiana da famiglie-Chiesa domestica di catechisti locali, adeguatamente preparati e sostenuti materialmente per questo servizio. Che bella esperienza sarebbe per una “famiglia missionaria” l’incontro e lo scambio nella formazione e nella prassi dell’annuncio missionario attraverso i carismi e i ministeri assegnati a queste famiglie! È uno scambio di doni tra Chiese domestiche che si riversa su tutta la Chiesa universale. Visitando un centro di formazione (poco più di una riproduzione di un comune villaggio rurale) per famiglie di catechisti in Burkina Faso, un paio d’anni fa, ho potuto apprezzare la serietà e la convivialità con cui le circa trenta famiglie presenti si adoperavano per realizzare al meglio la loro formazione teorica e pratica, di preghiera e di lavoro, di scuola e di svago. Tre anni di formazione non per diventare una élite rinchiusa nel proprio Eden privato, ma per ritornare ciascuno al proprio villaggio con l’impegno di restarvi per fare di ogni Chiesa domestica un’unica famiglia, popolo di Dio espressione di vera cattolicità.
Beppe Magri