Un partenariato, cinque grandi obiettivi. È quanto propongono i vescovi europei e africani che, con un documento congiunto, guardano con attenzione al summit tra Unione europea (Ue) e Unione Africana (Ua) annunciato per il prossimo ottobre.
Il testo – pubblicato in inglese, 11 pagine – chiede che le due sponde del Mediterraneo si avvicinino mediante una stretta cooperazione ispirata a: sviluppo umano integrale; ecologia integrale; sicurezza e promozione della pace; tutela dei migranti; rispetto per la diversità religiosa e culturale.
Il testo, recapitato ai leader di Ue e Ua, porta le firme dei presidenti di Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea) e Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar), rispettivamente il card. Jean-Claude Hollerich e il card. Philippe Nakellentuba Ouédraogo.
Appare subito evidente la preoccupazione con la quale la Chiesa cattolica dei due continenti guardi al futuro, certamente segnato dalla crisi generata dal Covid-19 e accompagnato da problemi endemici che contrassegnano soprattutto l’Africa (ma non solo): povertà, guerre, instabilità democratica, debole tutela dei diritti individuali e collettivi, vere e proprie persecuzioni etniche e religiose. Ai quali si aggiungono forme di neocolonialismo economico e politico provenienti dalla stessa Europa e, più ancora, dai big mondiali come Cina, Stati Uniti, Russia.
“In un momento in cui il mondo è colpito dalla pandemia e dalle sue pesanti conseguenze” – scrivono i cardinali Hollerich e Nakellentuba Ouédraogo nell’introduzione al documento intitolato “Fiorisca la giustizia e abbondi la pace per sempre” (Salmo 72) – i decisori politici europei e africani orientino “i loro lavori preparatori sui principi della dignità umana, responsabilità e solidarietà, sottolineando al contempo l’opzione preferenziale per i poveri, la salvaguardia del Creato e la ricerca del bene comune”.
Il testo diffuso da Comece e Secam si caratterizza in particolare per una diffusa parte dedicata a “raccomandazioni politiche specifiche”, volte a “rimodellare le relazioni politiche ed economiche intercontinentali per stabilire un partenariato equo e responsabile incentrato sui cittadini”.
Nel primo capitolo, dedicato alla realizzazione di una “partnership per uno sviluppo umano integrale”, si legge a titolo d’esempio tra le numerose raccomandazioni: “dare la priorità alle azioni comuni che consentono a tutte le persone di avere accesso senza ostacoli ai servizi sociali di base, assistenza sanitaria adeguata, istruzione, alimentazione, acqua potabile e servizi igienico-sanitari, nonché alloggi dignitosi”; promuovere le condizioni socio-economiche per lo sviluppo delle famiglie come fondamenti della società; “riconoscere il potenziale dei giovani e delle donne come motori di processi trasformativi” della vita economica, culturale, comunitaria, sociale e politica.
Il capitolo due riguarda l’ecologia integrale, con un’eco evidente alla Laudato si’ di papa Francesco. Vi figurano altri suggerimenti ai referenti politici di Ue e Ua. Ad esempio: “incoraggiare il passaggio da una logica di sfruttamento a una dinamica economica virtuosa dedicata alla produzione locale e garantendo un’equa distribuzione di risorse e profitti”; promuovere l’accesso alle risorse naturali, passaggio essenziale per combattere disuguaglianza e povertà; adottare una legislazione vincolante per le imprese al fine di tutelare i diritti umani e la dignità dei lavoratori; definire precise normative per la protezione dell’ambiente.
Il terzo capitolo verte sulla costruzione della pace. Qui prevale il tema della “costruzione della pace preventiva”, ovvero il contesto necessario per ogni forma di sviluppo, di convivenza, di promozione umana. A questo proposito è necessario “prevedere azioni lungimiranti, multisettoriali e coerenti in cui le premesse di un qualsiasi conflitto potenzialmente violento possano essere trasformate e gestite in modo sostenibile”.
Altri aspetti essenziali: interrompere il commercio di armi e lavorare per un progressivo disarmo; sostenere la creazione di piattaforme e programmi per facilitare un in
contro e un dialogo inclusivi che coinvolgano attori locali e regionali, compresi i responsabili politici, la società civile, le Chiese, le comunità etniche e religiose; promuovere un ambiente democratico e uno spazio civico partecipativo. Non si trascurano ulteriori elementi: evitare “nuove forme di colonizzazione”; garantire il diritto fondamentale alla libertà religiosa.
Una partnership “per le persone in movimento” è l’essenza del quarto capitolo. “Poiché i migranti e i richiedenti asilo diventano spesso vittime della proficua ma criminale attività della tratta di esseri umani, sia nei Paesi di transito che di destinazione, occorre adottare contromisure audaci, assicurare la responsabilità degli autori e fornire assistenza alle vittime”; vanno inoltre affrontate “le cause profonde dei forzati flussi migratori”, mentre nei Paesi di arrivo – e qui il richiamo è soprattutto all’Europa – vanno accolti i migranti e le loro famiglie “con generosità”, proteggendo i loro diritti e integrandoli nelle società di accoglienza.
Non ultimo (quinto capitolo), si tocca il tema della collaborazione con le comunità religiose, così da assicurare, nella più ampia definizione di un partenariato Europa-Africa, che la diversità religiosa e culturale sia rispettata, preservata e promossa “come fonte di forza, fiducia e arricchimento reciproco”. Comece e Secam chiedono in primis alle stesse comunità religiose di “promuovere l’alfabetizzazione religiosa e culturale al fine di migliorare la conoscenza e la comprensione reciproche”, nonché, ai politici, di “riconoscere il contributo spirituale, storico, artistico, economico e sociale del patrimonio religioso e rafforzare le politiche volte alla sua promozione e protezione, in particolare nelle aree di conflitto”.
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