Don Isaac Achi è morto a gennaio 2023 durante l’assalto di un gruppo armato alla sua parrocchia in Nigeria. Due studenti cattolici filippini Janine Arenas (18 anni) e Junrey Barbante (24) impegnati nelle attività della Cappellania universitaria della Mindanao State University, sono stati uccisi da una bomba nella palestra dell’Ateneo, dove si stava celebrando una messa. Sono due dei 20 nomi dell’elenco di missionari, operatrici e operatori pastorali cattolici uccisi nel 2023. Il report dell’Agenzia Fides, curato da Stefano Lodigiani fa memoria di loro, riproponendone la testimonianza e la morte avvenuta in circostanze cruente ai quattro angoli del mondo.
Nell’anno appena concluso la loro storia ha lasciato un segno che non può essere dimenticato, come commenta Gianni Valente, direttore dell’Agenzia Fides: «Molti di loro sono stati ammazzati in luoghi e situazioni segnati da conflitti. Sono stati uccisi da soldati di eserciti regolari, da miliziani di bande armate fuori controllo, da gruppi di terroristi, da sbandati con il mitra. Nelle propaggini disperse di guerre oscurate. Nelle metastasi disseminate in tutto il mondo dal cancro della Guerra mondiale ormai non più “a pezzi” che dissangua la vita di popoli interi, come ripete con ostinazione il magistero di papa Francesco».
Il report del 2023 segnala due vittime in più rispetto alla precedente edizione. Tra i 20 nomi in elenco troviamo un vescovo, otto sacerdoti, due religiosi, un seminarista, un novizio e sette tra laici e laiche. Il numero più alto di uccisioni si registra in Africa, dove sono morti nove missionari (cinque sacerdoti, due religiosi, un seminarista, e un novizio); in America sono stati assassinati sei missionari (un vescovo, tre sacerdoti, due laiche). in Asia sono stati uccisi quattro laici e laiche; in Europa un laico.
«La nuova guerra mondiale in atto esige il sangue dei poveri, reclama il sacrificio umano di moltitudini di innocenti – scrive Valente -. E le povere vite spezzate dei 20 operatori e operatrici pastorali uccisi nel 2023 incrociano il destino del mondo. Hanno a che fare con la possibilità di salvezza o di dannazione che si affacciano all’orizzonte di tutti. Il loro sangue si mescola al dolore muto e rimosso delle innumerevoli vittime sacrificali nei nuovi mattatoi della storia».
La maggior parte degli operatori pastorali uccisi ha in comune la normalità di vita in cui è stata vissuta la testimonianza di fede. Si tratta infatti di uomini e donne che, come si legge nel report «non hanno compiuto azioni eclatanti o imprese fuori del comune che avrebbero potuto attirare l’attenzione e farli entrare nel mirino di qualcuno». Erano sacerdoti che stavano andando a celebrare la Messa o a svolgere attività pastorali in qualche comunità lontana; preti o suore vittime di aggressioni a mano armata lungo strade trafficate, in canoniche e conventi dove erano impegnati nell’evangelizzazione, nell’esercizio della carità, nella promozione umana. «Avrebbero potuto andare altrove, spostarsi in luoghi più sicuri, o desistere dai loro impegni cristiani, magari riducendoli, ma non lo hanno fatto, pur essendo consapevoli della situazione e dei pericoli che correvano ogni giorno. Ingenui, agli occhi del mondo. Ma la Chiesa, e in definitiva il mondo stesso, vanno avanti grazie a loro, che “non sono fiori spuntati in un deserto”, e ai tanti che, come loro, testimoniano la loro gratitudine per l’amore di Cristo traducendola in atti quotidiani di fraternità e speranza».