Lei è minuta ed esile, mi colpisce subito il suo grande sorriso impresso sul suo volto, simpatico, amico. Incontro Digne Ntirandekura, burundese, in una fresca mattinata primaverile, oggi sento che nell’aria tutto si sta risvegliando e smuovendo. Le parole di Digne infatti sono primavera per me, i suoi grandi occhi diventano finestre spalancate sull’Africa e il suo racconto, incalzato dalle mie domande, sprigiona in me un’ammirazione evangelica ma anche una sincera personale inadeguatezza di fronte al dramma e alle fatiche di questo popolo che mi fa conoscere. Digne è nata 53 anni fa nel piccolo Stato del Burundi, in Africa centrale, ha sofferto molto nella sua prima giovinezza l’insensatezza e la disumanità di una guerra fratricida. Ricorda: «Ho visto inchiodati alle atrocità corpi esanimi e anime di molti sopravvissuti, inclusa la mia famiglia. Tuttavia, allo stesso tempo, ho percepito che la Chiesa era il mio rifugio e che l’amore luminoso del Cristo crocifisso era la mia forza. Probabilmente in quel tratto di vita nacque il desiderio, diventato poi vocazione e consacrazione, di essere un piccolo seme dell’amore di Gesù tra coloro che soffrono».
La giovane africana sbarca in Italia, a Roma, e vi rimane per 12 anni. Qui incontra dapprima accoglienza presso le suore del Sacro Cuore di Gesù, poi in seguito, entra nella Comunità Papa Giovanni XXIIII di don Oreste Benzi dove si dedica, su consiglio del prete riminese, agli studi teologici e contemporaneamente all’assistenza di malati, disabili, sofferenti sperimentando la bellezza della casa-famiglia e il suo carisma.
La tua vita è stata immersa nel dramma. Che cosa ti ha portato ad abbracciare questo carisma, che cosa ti ha attirato di don Benzi?
«Nel suo carisma trovai ciò che mi aiutò a sopravvivere nei momenti più difficili: la condivisione e l’abbraccio della vita degli ultimi. Dio nella mia strada pose molti compagni di cammino tra cui padre Pascal, prete diocesano burundese 67enne, che opera nella parrocchia Sainte Famille Kinama, con il quale condivido progetti di carità, nella periferia della capitale Bujumbura e sulle limitrofe colline. Per tutto quello che don Oreste ha significato e significa, abbiamo scelto di vivere il Vangelo immersi nell’ascolto dei drammatici silenzi di un popolo e dei gemiti di un’umanità trafitta. Dare la nostra voce in opere di carità e nella giustizia di un cuore di carne e non di pietra. Don Benzi ci ispira come modello etico oltre che spirituale. Egli affermava, infatti, che la “condivisione diretta segna i primordi di una nuova umanità in cui il passo nella storia è segnato dai poveri”». La sua consacrazione, nella Comunità Papa Giovanni XXIII, è vissuta con coloro che son considerati gli “scarti” dalla società. Avere a cuore l’altro ogni ora, tutti i giorni, senza sosta. Averne cura facendosene carico, riconoscerne la dignità e sentirsi appartenenti ad un’unica famiglia, la spinge a riconoscere l’altro come figlio di Dio, al di là di ogni credo. Dice Digne: «Sulla scia di questo carisma continuiamo ad accogliere l’umanità sofferente, emarginata e soprattutto i bambini abbandonati e affamati che nessuno vuole. Insieme a padre Pascal e ad altri operatori accompagniamo nella quotidianità della casa-famiglia 10 ragazzi abbandonati, seguiamo da vicino 45 famiglie pigmee, attendiamo alle cure mediche per 35 malati di Hiv, 30 orfani e altri bambini vulnerabili da zero a cinque anni. Poi ci dedichiamo a “correre appresso” a tanti ragazzi “rifiutati” che vivono di immondizia nella periferia, per stare con loro e ricostruire insieme un po’ di dignità umana».
Le parole concrete di Digne scaldano l’aria fresca di questo mattino, tra le righe capisco che lei vorrebbe fare di più, ma lei conosce bene che molti sono i mali che affliggono il suo Paese e l’Africa tutta.
Il Burundi è uno dei Paesi più poveri al mondo. Nella lista dei Paesi più malnutriti è al penultimo posto. Circa l’80% dei burundesi vive con meno di un euro al giorno e si muore, letteralmente, di fame. La gioventù, per lo più senza punti di riferimento, rappresenta più del 60% della popolazione, mentre più del 90% delle famiglie cerca di sopravvivere grazie al lavoro nei campi, con una zappa, spaccandosi la schiena su un fazzoletto di terra. Industrie e altro di simile non esistono, l’analfabetismo resta ancora molto forte, la politica economica insignificante.
Cosa ci vuole, secondo la vostra esperienza sul campo, per far sorgere un Burundi più dignitoso?
«C’è necessità di una sinergia di tutte le componenti della società burundese, una coscientizzazione a tutti i livelli perché, come dice don Benzi, “al mondo non basta la predicazione della Parola”, serve una “vita impregnata di quelle parole”. Pertanto, trovare una soluzione a tutto ciò risulta essere molto complesso».
Digne prosegue la nostra chiacchierata con dei passaggi interessanti che mi riportano alla mente il sorriso di don Oreste che ho conosciuto e frequentato anch’io tra le strade di Rimini. Di notte, con lui accanto, non si provava nessuna paura. Diceva: «Quando vedo il povero disarmato, quel tipo di povero che è talmente cosciente di essere povero che quasi ti chiede scusa di esistere (…), in quel momento non vedo altro se non Dio». Oppure: «Quando vedi un povero, non far finta di non averlo visto». Queste parole del “don” per Digne oggi si rivestono, in modo più marcato, con il monito di papa Francesco: «I poveri sono la carne di Cristo». Diventa il suo comandamento più importante: «Sono loro oggi da sostenere con tutto l’amore che possiamo e, per questo, chiediamo forza e aiuto. Non intendiamo avere cuori e occhi distratti, sulle orme di Gesù, abbiamo deciso di essere voce di chi non ha voce».
Sogni! Semplicemente realizzabili…
Sono più di 2500 giorni che Digne, supportata dalla Comunità Giovanni XXXIII, vive la condivisione diretta con i diseredati. Dice la religiosa: «Il nostro sogno d’amore non è venuto mai meno. Sta crescendo con loro, con la loro dignità di esseri umani. Offrendo affetto, cibo, istruzione, giustizia, sogniamo di poter insegnar loro alcuni lavori per aiutarli a realizzarsi, rendersi indipendenti e utili nella società, come il falegname, la sarta, l’allevatore, l’agricoltore, il mugnaio. È per questo che ci rivolgiamo a tutte le persone di buona volontà».
«Aiutare l’Africa con l’Africa» era il motto del vescovo Daniele Comboni. Oggi ho incontrato Digne, donna africana, anche lei aiuta la sua Africa. Di questo è convinta, vuole realizzare questo sogno, ci sta scommettendo infatti tutta la propria esistenza e consacrazione. Si sta adoperando per acquistare un mulino elettrico per schiacciare grano, mais, soia e altri cereali. Vorrebbe produrre una farina altamente nutriente da distribuire a chi manca del necessario, a chi è affamato, al di là delle differenze religiose o etniche.
Digne sogna di poter acquistare un appezzamento di terra su cui costruire una casa con laboratori per insegnare molte attività lavorative. Sogna di dare inizio ad un allevamento di maiali e coltivare il frutto della passione in quel terreno. Sogna di accogliere altri ragazzi soli, abbandonati, i figli di nessuno, i figli di Dio. «I have a dream” gridava più di 50 anni fa un giovane afro-americano. «I have a dream» oggi ci grida una donna africana. Forse dobbiamo rivedere i nostri piccoli e grandi sogni, che dite? I sogni di Digne sono schegge di vero paradiso. Perché come scriveva don Benzi: «Paradiso è l’accettare di amare, è vivere come Gesù, questa è la cosa stupenda che andiamo a dire nel mondo con la vita e con i fatti».
Non ci sembra poco quello che ci hai raccontato, cara Digne, donna dal grande sorriso.
Ti sosteniamo e vogliamo realizzare con te questi sogni, autentiche schegge di vero paradiso.