In Albania, da quando l’allarme Coronavirus è scattato, lunedì scorso, con due casi di positività a Tirana, “in poco meno di 24 ore il governo ha blindato l’intero Paese”.
Le misure precauzionali per scongiurare il propagarsi del virus sono molo rigide, ma trovano nella popolazione albanese una totale disponibilità a seguire le regole: “qui non si può circolare più in auto, e il divieto viene rispettato pressoché da tutti”.
A parlarci della vita nel Nord-est dell’Albania, ai tempi del Coronavirus, è don Massimo Di Lullo, missionario fidei donum, originario della diocesi di Pescara-Penne, da un anno e mezzo inviato in missione in quella di Sape.
“E’ stato tristissimo pochi giorni fa, quando i bambini mi correvano incontro, non poterli salutare come al solito”, racconta.
“La nostra parrocchia è divisa a metà dall’autostrada che collega Scutari al Montenegro – dice ancora il missionario – e in circolazione non c’è quasi più nessuno. Ho fatto una foto a mezzogiorno, riprendendo l’autostrada che appare completamente deserta”.
In Albania il COVID-19 ha “viaggiato” dall’Italia, veicolato da due persone, padre e figlio, di rientro dal nostro Paese, che dopo qualche giorno dal loro arrivo a Tirana sono state diagnosticate positive al virus ed isolate.
“Il governo ha ben chiara la situazione della sanità pubblica in Albania – dice don Massimo – e quindi già nel pomeriggio di lunedì aveva emanato un decreto per la chiusura di tutte le scuole della nazione. Mercoledì i vescovi hanno dato indicazione per fermare ogni attività di catechesi, ma erano consentite le messe e la via crucis. Giovedì mattina il vescovo di Scutari ci ha convocato chiedendo di fermare ogni tipo di celebrazione”.
Gli appelli del primo ministro Edi Rama sono stati molto drastici fin da subito, tanto che il premier ha registrato un messaggio che viene diramato a tutta la popolazione ogni volta che si compone un numero e si fa una chiamata: “l’Albania ha potuto trarre vantaggio dagli sbagli commessi dagli altri Paesi”, dice il missionario.
“Ci è arrivato persino un messaggio personale dal premier Edi Rama, sul telefono. Dice: “siamo in guerra” e quando si è in guerra la privacy non conta…”.
E così, da qualche giorno, l’attività parrocchiale si è spenta e per la comunità missionaria di Sape, nella parrocchia di Mabe, della quale fanno parte anche una coppia di fidei donum e una missionaria laica, i ritmi sono ulteriormente rallentati.
“Qui da noi nel nord ci sono villaggi di campagna, isolati, la regione è molto povera e poco popolata – dice ancora don Massimo – La vita già normalmente è calma. Siamo isolati e in questo senso siamo agevolati rispetto al virus. Quello che ci dispiace davvero, è che i contatti umani tra di noi e con i parrocchiani sono stati limitati tantissimo”. ”.
E poi racconta ancora che “alle volte nel villaggio va via la corrente, pensate che ancora non abbiamo l’acqua potabile in casa, perché quella del pozzo non si può bere”.
Don Massimo è il terzo sacerdote che arriva in otto anni a Sape: gli altri missionari invece vivono l’ dall’inizio, da quando otto anni si è instaurata la missione.
L’Albania conta circa tre milioni di abitanti, ma “moltissimi di loro se ne stanno andando – racconta il fidei donum – Il nord, cristiano, è più povero del Sud, è rimasto per 500 anni sotto l’impero ottomano. Poi c’è stata la dittatura comunista e con il crollo del comunismo la libertà, ma anche l’arrivo di una ondata di consumismo e libero mercato. I villaggi in questi ultimi dieci anni si sono quasi svuotati. Noi ci interroghiamo su come fare missione al meglio”.
Ma l’Albania ha un ruolo cruciale in Europa, anche per quanto riguarda l’arrivo di rifugiati e richiedenti asilo attraverso la Rotta balcanica: “Qui da noi ci sono già da tempo degli arrivi ‘clandestini’ di persone da Iraq, Siria, Afghanistan, ma anche dalla Tunisia”.
In questi giorni il Paese ha offerto la propria disponibilità ad accogliere una parte dei rifugiati siriani provenienti dal confine greco, tramite un accordo che dovrebbe consentire a circa 30mila persone (50 delle quali sono già arrivate) di essere accolte nel centro di Gerhot, a circa 2 chilometri a nord di Gjirokaster.