La missione comincia dall’ascolto. E i seminaristi partecipanti al Convegno missionario nazionale a loro dedicato, ieri – venerdì 12 aprile 2024 – hanno anche fatto tesoro delle testimonianze di quattro missionari che hanno raccontato il loro “sì” a partire per l’ad gentes.
Nel luogo in cui Maria si è affidata completamente a Dio e ha detto il più grande “sì” che poteva dire, don Alberto Forconi, della diocesi di Macerata, accompagnato da don Mario Moriconi, della diocesi di Fermo, ha descritto il suo desiderio di missione sin da bambino, quando sognava di partire e pensava a quest’esperienza come una luce. Lui e don Mario hanno condiviso tanti anni di missione insieme, sin dalla formazione nel Seminario per l’America Latina che un tempo era a Verona. Ordinati preti nel 1968-1969, sono stati insieme in Argentina, nella diocesi di Moron, alla periferia di Buenos Aires: 12 anni don Mario e 14 anni don Alberto, nella stessa parrocchia, nella stessa casa, con le stesse attività condivise.
Don Mario ha scelto la missione perché «non voleva custodire le greggi». Sentiva di essere stato cercato da Dio per andare oltre. Don Alberto descrive il suo arrivo in Argentina come un processo di svuotamento, «per farsi riempire dalla sensibilità, dalle urgenze, dalle necessità, dalla ricchezza di quella gente».
Anche Alessandra e Alessandro Andreoli, sposi e genitori di tre figli maschi, oggi direttori del Centro missionario dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo, hanno descritto il loro “sì” a partire come famiglia (genitori con i primi due figli) per un’esperienza di circa un anno in Paraná (Brasile) con i missionari saveriani nel 2011.
«Il “sì” nasce all’interno di una storia in cui Dio aiuta a discernere. Per noi – ha detto Alessandro – sin dal fidanzamento e dal matrimonio c’era posto per la missione». E sua moglie ha aggiunto che per dire “sì”, occorre dire anche tanti “no”. Ma se quel “sì” lo scommetti con Dio, poi ottieni il centuplo di ciò che avevi dovuto abbandonare.
IL SI’ DEL RIENTRO
Come Maria, anche don Alberto, don Mario, Alessandra e Alessandro non hanno detto solamente quel primo “sì” con cui è iniziata la loro missione ad gentes. Hanno pronunciato molti altri sì nel corso della loro esperienza missionaria, fino a quello che li ha fatti rientrare nelle rispettive Chiese d’origine, dove hanno continuato ad essere missionari. Per don Mario il “sì” del ritorno, dal quale sono passati 40 anni, «è stato faticoso, con il cuore appesantito». Per i coniugi Andreoli quei “sì” che hanno continuato a dire una volta rientrati, sono i frutti, la conseguenza di quanto hanno imparato in missione: «Là – dice Alessandro – ci siamo lasciati guidare. Abbiamo imparato a rispondere “sì”, non decidendo, ma abbandonandoci a Dio».
IL CORAGGIO DI DIRE SI’
Ma per dire “sì” ci vuole coraggio. Così ha dimostrato Maria, nel rispondere “eccomi”, mettendosi totalmente nelle mani di Dio.
E del coraggio di essere difensore dei piccoli e degli impoveriti, del lasciarsi provocare dalla Parola, del rimanere in contesti difficili, ha parlato anche monsignor Michele Autuoro, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Napoli e presidente della Fondazione Missio, durante la celebrazione eucaristica presieduta nella serata di ieri.
«Auguro – ha detto monsignor Autuoro ai seminaristi presenti – che ciascuno riparta da questo luogo santo del “sì” di Maria, con slancio e coraggio, con il desiderio di farsi prossimo, come Maria, e di annunciare il dono della fede».
COSA PORTARSI A CASA
Oggi, sabato 13 aprile 2024, don Giuseppe Pizzoli, direttore generale della Fondazione Missio, ha messo a fuoco, in una riflessione conclusiva, i punti essenziali scaturiti in questi quattro giorni di stimoli e confronto. Eccone una sintesi.
- La missione comincia dall’ascolto che non è un perdere tempo, ma è fondamentale per creare stile di fraternità, senza pregiudizi.
- Missione è stare, non fare o essere; stare in mezzo alla gente con testa, cuore, mani e piedi, con semplicità e senza vergogna dei propri limiti e stare nelle situazioni. Ma anche stare con Gesù, che è fondamentale.
- Missione è saper guardare oltre, perché la Chiesa è più grande di una parrocchia, più grande di tutto.
Dopo quattro giorni di condivisione, fraternità, preghiera, confronto e immersione nella dimensione missionaria, per i giovani è il momento di ritornare nei propri Seminari. E’ il momento, cioè, di rimettere i piedi in cammino, con i cuori ardenti per l’esperienza vissuta.