Un’esperienza di fraternità e comunione, quella iniziata oggi – sabato 22 aprile – nel Seminario arcivescovile Alessio Ascalesi di Napoli, con il primo giorno del Convegno missionario nazionale dei seminaristi.
La comunità ospitante ha aperto le porte dell’imponente e maestosa struttura che si affaccia sul magnifico Golfo di Napoli e che il prossimo anno celebra 90 anni di vita. E’ qui che sono ospitati i 110 seminaristi arrivati da ogni parte d’Italia, riuniti per consolidare, nel proprio progetto formativo, quella dimensione missionaria che non può mancare nell’identikit di presbitero della Chiesa di oggi e di domani.
Lo ha sottolineato con forza anche monsignor Michele Autuoro, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Napoli e già direttore di Missio, che nel suo intervento di apertura ha introdotto il tema del Convegno: “Di me sarete testimoni: vite che parlano”.
Richiamando l’icona di “Gesù Buon Pastore”, monsignor Autuoro ha sottolineato come «per l’oggi della Chiesa, in un cambiamento d’epoca, è necessario soffermarci anche e soprattutto sull’icona di “Gesù Missionario”, di cui parliamo troppo poco. Eppure Gesù è stato impegnato in un’intensa attività missionaria, un’attività itinerante. L’itineranza, infatti, è una delle parole chiave dello stile di Gesù missionario».
Gesù, infatti, «ha concepito la sua predicazione in modo dinamico, cominciando da Cafarnao, in un crocevia di popoli, culture, lingue. La missione di Gesù – ha sottolineato monsignor Autuoro – è annunciare il Regno di Dio che sempre di più si svela nel volto di Dio, un Dio che è Padre ricco di misericordia».
Nel tratteggiare l’icona di “Gesù Missionario”, il vescovo ausiliare ha ricordato ai seminaristi presenti che il Maestro «chiede ai suoi missionari che il loro stile diventi una predicazione vivente». E la figura di don Tonino Bello – di cui in questi giorni si sono ricordati i 30 anni della morte – è un esempio vivente di come abbia fatto della sua vita e del suo stile, la sua predicazione, il suo annuncio missionario.
«Solo così – facendo della propria vita la nostra predicazione – le nostre vite diventeranno vite che parlano», ha detto monsignor Autuoro, riprendendo il tema del Convegno.
I seminaristi sono sempre più convinti di essere chiamati a vivere una dimensione missionaria, proprio come papa Francesco sprona spesso. Lo hanno sottolineato anche i visitatori dei Seminari, intervenendo in apertura dei lavori: si tratta di missionari che, dopo molti anni a servizio di Chiese sorelle nel Sud del mondo, sono rientrati in Italia e oggi, tra gli altri impegni, hanno quello di visitare tutti i Seminari d’Italia per incontrare i giovani in formazione al sacerdozio e sensibilizzarli all’animazione missionaria per conto della Pontificia Unione Missionaria (Pum).
Tra le loro voci, quella di padre Giorgio Padovan, comboniano, che da sette anni svolge questo servizio: «Incontrarvi – ha detto ai seminaristi partecipanti – è ciò che più mi gratifica. Nelle mie visite ho notato che i Seminari sono diventati luoghi e segni di missione, più interculturali, più aperti, luoghi universali. Anche l’apertura verso i viaggi in missione, che può essere definito “l’Erasmus dei seminaristi”, è un segno che qualcosa sta cambiando».
Padre Dino Tessari, degli Oblati Maria Immacolata, che come visitatore della Pum ha fatto il giro di tutti i Seminari d’Italia per due volte, ha confermato questo rinnovato fermento missionario tra chi si prepara al sacerdozio: «Recentemente ho ricevuto una lettera dal Seminario di Trento che diceva: “Sentiamo la necessità di essere missionari”, ovvero di allargare lo sguardo e il cuore partendo dalle proprie realtà locali. Cosa significa essere missionario? È la cosa più bella del mondo. D’altronde, se non parli della persona amata, che senso ha?».
Che la missione sia annuncio di ciò che arde nel cuore, cioè della propria passione, lo ha ripetuto anche monsignor Autuoro a conclusione del suo intervento, facendo tesoro anche della sua esperienza pluriennale di rettore del Seminario di Napoli: «E’ la passione per gli umani e per il Vangelo a dover abitare noi stessi, le nostre case, la nostra terra: far scoprire la fragranza, il buon profumo di Cristo a chi non lo conosce ancora o non lo conosce più. Dobbiamo continuamente spostare il nostro centro su Gesù ma anche su chi abbiamo davanti, considerando quel “tutti” della preghiera eucaristica che si ripete in ogni celebrazione: occorre fare nostro, nella nostra vita ministeriale, il “tutti” di Gesù. E “tutti” vuol dire nessuno escluso. Anche il “tutti” delle notizie che arrivano dal mondo, da luoghi martoriati come Yemen e Sudan, per esempio, e il “tutti” delle notizie dal mondo diventano la mia preghiera universale».
D’altronde, i seminaristi, quando saranno ordinati sacerdoti, si sentiranno dire: «Imita ciò che celebrerai». Solo così la vita di ciascuno potrà diventare una vita che parla.