Sotto un cielo plumbeo, una ragazza africana si appoggia con le stampelle sulla terra rossa. E’ una delle migliaia di vittime che ogni anno compiono un passo falso sugli ordigni nascosti. La copertina del numero di luglio-agosto di “Popoli e Missione” ci ricorda che “Sminare la terra” è un obiettivo importante per liberare il pianeta dalla difficile eredità che molti conflitti passati e recenti, hanno lasciato dietro di loro. Migliaia di vittime, soprattutto civili, in maggioranza bambini, continuano ogni anno a pagare in Africa, Asia, America Latina: il dossier centrale della rivista è dedicato alle mine antiuomo dimenticate in molti Paesi del mondo, come “Armi ingannevoli di conflitti infiniti”. Malgrado siano state messe ufficialmente al bando nel 1992, migliaia di mine restano nel terreno, memoria attiva di conflitti precedenti, altre invece sono state piazzate anche recentemente in zone attraversate da conflitti politici e da interessi economici, come in Myanmar, al confine tra le due Coree o in Sud Sudan.
Ed è ormai chiaro, come ci ricorda papa Francesco nella Fratelli Tutti, che certe problematiche vanno affrontate a livello globale per definire nuovi scenari futuri. Come nel caso della denatalità, tema a cui è dedicato l’editoriale di apertura “Culle e futuro: un mondo diviso”, in cui il direttore Gianni Borsa scrive che «è evidente attorno al mondo la disomogeneità delle tendenze demografiche… Nella parte ricca del pianeta mancano figli, in quella economicamente svantaggiata le culle abbondano».
Questo numero di “Popoli e Missione” ospita un’ampia intervista a monsignor Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto, eletto dall’ultima Assemblea generale della Cei presidente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese, che ha contemporaneamente assunto l’incarico di presidente della Fondazione Missio. Monsignor Satriano ricorda gli anni in cui è stato fidei donum in Kenya come un’esperienza di grazia, perché «più che evangelizzare, sono stato evangelizzato, imparando ad assecondare l’azione dello Spirito che precede, molto spesso, l’azione della Chiesa».
Ampio il ventaglio dei Paesi e delle testimonianze dirette dei missionari ad gentes raccolte in questo numero.
Dalla Giordania, meta di approdo di migliaia di profughi, le missionarie comboniane parlano del lavoro di accoglienza e cura nell’Ospedale italiano di Karak, in una terra in cui i cristiani sono solo una piccola minoranza religiosa. Ma dove grazie a questa presenza «la Chiesa è chiamata a garantire, nel dialogo di vita con il mondo musulmano, una testimonianza evangelica».
Anche al confine tra Messico e Honduras la presenza di operatori della Comunità di Sant’Egidio e di padre Alejandro Solalinde sono punti di riferimento per i migrati in viaggio verso il sogno americano.
La Chiesa missionaria è vicina anche ai giovani africani che scendono in piazza in Nigeria, in Congo, in Uganda per opporsi alla corruzione dei governi e alla violenza della polizia. Sono movimenti di contestazione che si muovono dal basso della società per formare nuove consapevolezze sociali e difendere i diritti della persona umana.
Ma la missione è anche qui in Italia, ai margini delle nostre città: nelle periferie di Palermo, dove la quotidianità non è facile e ha bisogno di testimoni di speranza come fu il beato Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio dove fu ucciso dalla mafia. Cercano un volto nuovo, più umano anche le periferie di Danisinni, dello Zen dove una rete di sacerdoti, volontari e suore vivono la missione quotidiana tra la gente.