“E’ azzardato pensare che Gesù, la sua vita e il suo Vangelo siano stati il sogno migliore mai sognato da Giuseppe?”.
Con questa domanda si è aperta stamani la catechesi di padre Pietro Pierobon, missionario saveriano, per la seconda giornata di lavori del Comigi.
Padre Pierobon ha donato una meditazione su uno dei personaggi più centrali e meno indagati delle scritture.
“I vangeli parlano molto poco di Giuseppe – ha spiegato – Di lui sappiamo che è invitato a non avere paura e a farsi carico di una situazione senza temere. Ma come mai nella tradizione cristiana Giuseppe è rappresentato come un adulto o anche come un vecchio, cui è stata affidata una ragazzina di 12 anni?”.
L’iconografia classica con la quale è stato da sempre rappresentato non gli rende giustizia, dice Pierobon: “In realtà io penso che Giuseppe doveva essere un giovane, non un vecchio. Nei suoi sogni vediamo quelli di ogni ragazzo della sua età. Le scritture non ce ne parlano, ma cosa poteva sognare in Palestina un ragazzo come lui?”.
Pierobon ha ricordato che Giuseppe “viveva in una terra occupata da potenze straniere, colonizzata dai romani: come doveva essere nascere in una terra così? Che sogni potevano avere?”.
Sebbene tra mille difficoltà (“è stato perseguitato, è dovuto fuggire, era circondato da violenze. La dominazione straniera te la porti dentro”) Giuseppe “ha preso in mano il mistero”.
“Si è fatto carico di una paternità non sua e ha portato il bambino ad una maturità di uomo. Ha preso in mano il mistero”, spiega Pierobon.
“Il più bel sogno di Giuseppe si chiama Gesù ed è quello più riuscito”, ha concluso il missionario.
I giovani del Comigi ieri hanno assistito prima all’intervento di apertura di monsignor Arturo Aiello, vescovo di Avellino, e in serata alla relazione di Giovanni Rocca, Segretario nazionale di Missio Giovani.
Il Comigi si chiuderà il primo maggio con una sintesi conclusiva in vista del Sinodo, e il 30 aprile vedrà la presenza di monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo.