«Il conflitto in Siria terminerà solo quando terminerà a New York, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». E’ lì infatti che la comunità internazionale decide le sorti del mondo, anche quelle siriane, dopo sette anni di guerra.

Con grande pragmatismo, il cardinal Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ha pronunciato ieri parole nette, nel corso di un incontro alla Gregoriana a Roma per la Giornata Mondiale del rifugiato che cade oggi.

Alla domanda di Paolo Mieli, intervenuto alla tavola rotonda del Centro Astalli, sul perché di questa polveriera proprio laddove predominano le religioni monoteiste, il cardinale ha invitato a non dimenticare che «c’è anche la componente della comunità internazionale». Che decide quando è il momento di chiudere i conflitti. E può scegliere di non farlo.

Oltre alle guerre sul campo, ha spiegato il nunzio apostolico, ci sono «quelle nelle aule delle Nazioni Unite. La guerra in Siria mai terminerà se non termina alle Nazioni unite».

E ha ricordato il meccanismo del diritto di veto dei cinque Paesi che siedono negli scranni del Consiglio di Sicurezza (Russia compresa) e che di fatto spesso bloccano il consenso al cessate il fuoco e ai negoziati di pace.

«Sul terreno – ha aggiunto Zenari – c’è chi pensa: ho chi mi difende e mette il veto» e così i conflitti si prolungano all’infinito.

«La Siria somiglia alla pietà di Michelangelo che tiene tra le braccia i suoi figli, un milione e mezzo di feriti e oltre 200mila morti», ha detto il nunzio.

«La Siria è assalita da ladroni che l’hanno lasciata sul ciglio della strada- ha aggiunto, con un’ evocazione evangelica – ma ci sono anche dei buoni samaritani».

Parlando poi dell’impatto differenziato che questa guerra sortisce sulle diverse zone della Siria, Zenari ha spiegato che ci sono città più o meno colpite e che non tutto è come quello che vediamo nelle immagini di devastazione e morte: «è anche peggio di così!», ha detto.

Ed è vero che a Damasco ci sono zone più tranquille e «troviamo anche delle pasticcerie aperte», ma è altrettanto vero che «nella Ghouta c’è un diluvio di fuoco».

Il cardinale ha dunque distinto bene tra danni più o meno lievi (la differenza tra la «pioggia di mortai» e il «diluvio di fuoco»), spiegando però che «i danni che non si vedono a volte sono i più gravi di quelli visibili».