Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris Missio (7 dicembre 1990)

Lo Spirito rende missionaria tutta la Chiesa (n. 26)

Lo Spirito spinge il gruppo dei credenti a “fare comunità”, a essere Chiesa. Dopo il primo annunzio di Pietro il giorno di Pentecoste e le conversioni che ne seguirono, si forma la prima comunità. Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell’ascolto del Vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell’eucaristia. Vivere la “comunione fraterna” (koinonía) significa avere «un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32) instaurando una comunione sotto tutti gli aspetti: umano, spirituale e materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata a distribuire i beni terreni, affinché non ci siano indigenti e tutti possano avere accesso a quei beni «secondo le necessità» (At 2,45; 4,35). Le prime comunità, in cui regnavano «la letizia e la semplicità di cuore» (At 2,46) erano dinamicamente aperte e missionarie: «Godevano la stima di tutto il popolo» (At 2,47). Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e irradiazione.

Il primo annunzio di Cristo Salvatore (n. 45)

Nell’annunziare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui (Mt 10,17); (Lc 12,11) e può ripetere con gli apostoli: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito santo». (At 5,32) Egli sa che non annunzia una verità umana, ma la «parola di Dio», la quale ha una sua intrinseca e misteriosa potenza. (Rm 1,16).