Non ci sono dubbi: la presidenza del brasiliano Jair Bolsonaro è responsabile degli incendi che stanno distruggendo l’Amazzonia. Lo denunciano anche i missionari che vivono in America Latina e che parlano di finanziamenti sottratti alle «agenzie di controllo e prevenzione degli incendi e dei disboscamenti», per dirottarli su latifondisti e multinazionali.
In particolare, in un lungo audio che spiega in dettaglio la politica colpevole del presidente Bolsonaro, padre Dario Bossi, provinciale dei missionari comboniani in Brasile e membro della Rete Ecclesiastica Panamazzonica, parla di «tagli strategicamente imponenti, applicati fin dall’inizio del mandato di Bolsonaro, nel gennaio del 2019». Tagli che hanno di fatto depotenziato gli enti preposti alla salvaguardia delle foreste.
«Noi qui, dal Brasile possiamo affermare con chiarezza che il governo è responsabile» di quanto sta accadendo al polmone verde del Paese.
«Ci sono segni evidenti di un governo che preferisce finanziare i progetti delle grandi imprese e del latifondo», anziché le istituzioni e le agenzie che «dovrebbero occuparsi della prevenzione, del controllo e del disboscamento, come la Funai che accompagna i popoli indigeni», dice.
Si tratta di una strategia opposta a quella della preservazione del creato: «è il progetto del saccheggio e dell’esportazione che rinnova in chiave moderna e attuale quello che da 500 anni si sta replicando in America latina: il sistema coloniale».
Dalla Rondonia allo Stato delle Amazonas, dal Parà al Mato Grosso «il progetto governativo è l’espansione della monocoltivazione della soia e l’allevamento del bestiame» in maniera estensiva, dice.
Questo comporta l’assottigliamento della foresta e l’impoverimento del terreno, al punto tale che quest’anno si sono sviluppati «73mila fuochi di incendio, l’83% in più dell’anno precedente».
Inoltre si è affievolita «la qualità delle agenzie di investigazione e di denuncia dei danni ambientali come l’Istituto Nazionale di Ricerca Aerospaziale che fa la mappatura dell’avanzamento del disboscamento», spiega il missionario.
Il presidente nemico dei poveri che piace ai latifondisti «sta appoggiando l’avanzata dell’estrazione mineraria soprattutto nelle terre indigene e nelle aree protette».
Inoltre, come denuncia ancora padre Bossi, «negli ultimi mesi si discutono modalità di “flessibilizzazione” della licenza ambientale per i grandi progetti in Amazzonia», il che significa consentire di violare le leggi per dar spazio alla realizzazione di mega-progetti industriali. Bolsonaro «ha negato più volte apertamente il riconoscimento dei territori alle popolazioni originarie, indigeni ed afro-discendenti».
Una volta smascherato dalle denunce e dalla mobilitazione popolare che ha evidenziato le responsabilità politiche, il presidente ha addirittura ribaltato le accuse , affermando senza prova che «gli incendi potrebbero esser stati provocati dalle Ong per favorire in un certo modo la polemica politica». E questo «ci sembra gravissimo – dice padre Bossi – perché l’accusa è insostenibile.
Cosa fa la Chiesa per tenere testa a questo scempio? Da almeno due anni «la Chiesa nella Panamazzonia sta costruendo un processo molto partecipativo, lento e visionario: il processo del sinodo della Amazzona, con nuovi cammini per la Chiesa e l’ecologia integrale. Crediamo in una chiesa di presenza e non di visita, non di passaggio».
Ossia, una «Chiesa che si fa prossima e che riesce a fondare il suo impegno a partire dal clamore dei poveri.
Una Chiesa ministeriale che valorizzi il ruolo delle donne, capace di annunciare una nuova relazione con l’Amazzonia, ispirata alle intuizioni e allo stile di vita dei popoli indigeni – spiega il missionario – il vivere bene e in equilibrio integrato con la natura. Siamo noi ad appartenere alla madre terra e non viceversa!».
Il sinodo, conclude padre Bossi, «dirà parole forti sull’urgenza politica di far crescere l’Amazzonia. Contro l’estrattivismo brutale che la minaccia».