Come si può costruire la pace se nel mondo ancora tante barriere separano i ricchi dai poveri, se migliaia di chilometri di fossati e filo spinato sono sparsi tra nazioni, popoli e addirittura dividono quartieri della stessa città?
Ai “Muri di Babele” è dedicato il dossier del numero di Popoli e Missione di febbraio, con una serie di approfondimenti sui “monumenti della vergogna” che l’architettura della divisione è riuscita a creare in questi anni: sono più di 70 barriere antimmigrazione sui confini porosi tra Paesi. Alcuni muri restano come eredità del passato, altri continuano a crescere o ad essere eretti. Da quello in Palestina che separa Israele dalla Cisgiordania a quello negli Stati Uniti alla frontiera col Messico, non mancano esempi in tutti i continenti. In Europa lungo la Rotta Balcanica, nella foresta polacca e al confine tra Bulgaria e Turchia; in America Latina tra Venezuela e Cile, dove è in progetto la creazione di un lungo fossato; in Asia nell’ampia fascia minata tra le due Coree e in Africa tra Marocco e Mauritania dove negli ultimi 30 anni è stato costruito il faraonico bern, il “muro di sabbia” in pieno deserto del Sahara.
La geografia dell’esclusione è la negazione di quanto recentemente ripetuto da papa Bergoglio durante la sua seconda visita all’isola greca di Lesbo, meta d’arrivo di migliaia di migranti: «La fede chiede compassione e misericordia. Esorta all’ospitalità, a quella filoxenia che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva… Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato. Il programma cristiano è trovarsi dove sta Gesù».
Anche nell’editoriale che apre il numero, il direttore Gianni Borsa fa riferimento a papa Francesco che nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace ha tracciato una precisa linea d’impegno che continua nel tempo. «Tutti sappiamo – scrive Borsa – che oggi un’ampia parte di umanità vive in mezzo a conflitti sanguinosi, segnata da violenze indicibili che a loro volta generano altra violenza, sofferenza, povertà». Ma la pace è una grande sfida a cui lavorare con progettualità, «sia che si viva in Italia, sia che si prenda, come i missionari, la strada di altre terre. E’ un impegno cui non ci si può sottrarre che attraversa l’esistenza quotidiana di ognuno, esige risposte lungimiranti dalla politica, sollecita la comunità cristiana a educare alla pace come bene superiore».
In questo numero un ampio servizio è dedicato al tema della missione nell’era della comunicazione e al servizio che alcuni missionari svolgono ad una informazione autenticamente dalla parte degli ultimi. Ne parla padre Giulio Albanese, comboniano, giornalista e scrittore, nell’intervista realizzata da Gianni Borsa sui valori evangelici che sono alla radice di un servizio all’annuncio che passa attraverso il racconto di testimoni e pagine di Vangelo scritte nella quotidianità. Come fa suor Alessandra Bonfanti da Radio Sol in Guinea Bissau, o come hanno fatto altri nomi e protagonisti della stampa cattolica (e non solo) ricordati nell’analisi di Anna Pozzi, giornalista di Mondo e Missione.
In questo numero di Popoli e Missione i lettori potranno trovare un reportage dall’America latina sulla nuova presidente honduregna Xiomara Castro, prima donna leader di un Paese che si appresta a vivere una nuova pagina della sua storia.
Un aggiornamento sulla lotta del popolo sudanese per scongiurare il rischio di una nuova dittatura militare, ci permette di ascoltare le testimonianze di missionari, analisti e una giornalista sul campo.
Sfogliando le pagine arriviamo ad Amman, nella parrocchia di San Giuseppe di Jabal. Qui un gruppo di ragazze irachene è diventato protagonista di una storia di rinascita con il progetto “Rafedin – Made by Iraqi girls” che si sviluppa in un atelier in cui vengono prodotti abiti, accessori e capi originali.
Dal Kenya la missionaria suor Ornella Monti racconta la sua lunga esperienza nel deserto del Chalbi, in mezzo ai pastori nomadi, dove la vita è difficile ma è più facile percepire la presenza di Dio.
Ma la missione non è solo “andare” lontano. E’ anche dove viviamo. Nelle periferie delle nostre città, come Milano: un reportage dall’hinterland del capoluogo lombardo rivela una “rete missionaria” di attività sociali e pastorali che hanno messo in moto e muovono una serie di progetti che hanno come motore dinamico parrocchie, volontari, associazioni della società civile. Per dare forma ad una Chiesa inclusiva fatta anche di una laicità senza etichette.