«Essere catechisti in tanti Paesi africani è una missione: prendersi un giorno libero dal lavoro nei campi per andare a far visita alle comunità distanti decine di chilometri e assicurare l’incontro settimanale con i catecumeni, è un impegno forte. E’ segno che lo sentono come una vocazione, un impegno stabile, non passeggero, legato alla propria identità di cristiani».
Così don Giuseppe Pizzoli, direttore generale della Fondazione Missio, descrive la figura dei catechisti pensando alla sua esperienza come missionario in Guinea Bissau. E parole simili le usa anche nel descrivere i catechisti con cui ha collaborato per anni quando operava in una parrocchia di 80mila persone alla periferia di João Pessoa, capitale dello Stato di Paraiba, in Brasile. «In ogni comunità c’erano almeno due catechiste che garantivano continuità e sentivano questo servizio come una vocazione. Coordinavano le altre, che magari davano una disponibilità più temporanea, e ci mettevano l’anima».
Da questi due esempi di catechisti africani e brasiliani, si capisce immediatamente come sia diverso lo stesso servizio se svolto in Chiese di missione o, per esempio, in Italia, dove quasi ovunque il catechista è visto come un aiutante del parroco nell’educazione alla fede dei ragazzi.
L’istituzione del ministero laicale del catechista, voluta da papa Francesco e sancita nel motu proprio “Antiquum ministerium” appena pubblicato, riconosce una realtà che è già concreta in tante Chiese del Sud del mondo: «In Africa, e non solo, ci sono da tempo tanti catechisti che vivono con lo stile del “ministro” dal punto di vista ecclesiale, cioè di colui che assume l’impegno per vocazione, con stabilità e continuità», precisa don Pizzoli. Anche in questo «il mondo missionario ha qualcosa da insegnarci e da proporci come significativo e papa Francesco ce lo pone davanti come un’occasione di maturazione di questa Chiesa post Concilio Vaticano II, di questa Chiesa in uscita».
A conferma di cosa significhi già oggi essere catechista nelle Chiese più giovani dei diversi continenti, c’è anche l’impegno delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) che attraverso i loro sussidi garantiscono spesso un compenso economico a chi si impegna in questo servizio, ora diventato “ministero”: la Pontificia Opera della Propagazione della Fede, infatti, assegna annualmente parte dei suoi contributi destinandoli alla formazione dei catechisti e al loro sostentamento nei territori di missione. «Le ultime cifre – si legge in un lancio dell’Agenzia Fides – riportano circa 11 milioni e mezzo di dollari, per la maggior parte arrivati in Africa e in Asia, e in misura minore in America Latina e Oceania». D’altronde, chiosa il direttore di Missio, che è anche direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, «in tante parti del mondo rinunciare ad un giorno di lavoro nei campi per garantire una visita ad una comunità lontana anche 40 chilometri, per un catechista vuol dire privarsi del necessario per vivere e per mantenere famiglie numerose. In questi casi le Pom fanno un servizio preziosissimo perché tra i sussidi che vengono trasmessi alle diocesi c’è anche quello per il sostentamento dei catechisti. E la serietà con cui essi assumono l’impegno merita sicuramente anche questo sostegno economico».