«E’ un fatto che ci sconvolge e ci lascia senza parole. Non si è mai pronti di fronte ad una cosa del genere». Commenta così la tragica uccisione di Nadia De Munari sabato 24 aprile scorso a Nuevo Chimbote, in Perù, don Raffaele Refosco, vicentino di Trissino, impegnato nell’Operazione Mato Grosso. «Certamente non si è trattato di un furto degenerato in violenza– spiega -. L’assassino è entrato in camera sua e l’ha colpita nel sonno, fracassandole il cranio. Non è stato rubato nulla, se non il cellulare. Gli altri volontari dell’Operazione Mato Grosso non vedendola arrivare la mattina dopo, si sono trovati di fronte una scena cruenta, di una violenza inaudita». Don Raffaele lavora nella comunità andina di Marcarà, gestita dal Mato Grosso, nella diocesi di Huaraz, e racconta con dolore che «Nadia è la terza dell’Operazione Mato Grosso che muore in Perù: ricordiamo il laico Giulio Rocca nel 1992, don Daniele Badiali nel 1997. Storie diverse però: mentre per Giulio e don Daniele si è trattato di terrorismo, dato che in quegli anni il Paese era nel pieno della guerra con i terroristi di Sendero Luminoso; nel caso di Nadia si tratta invece di violenza e degrado che oramai sono diventati una costante in certe aree del Perù, come Nuevo Chimbote».
Originaria di Giovenale, una frazione di Schio (Vi), Nadia aveva 50 anni e metà della sua vita di missionaria laica era stata dedicata ai poveri e ai bambini della regione affacciata sulla costa peruviana sul Pacifico qualche centinaio di chilometri a Nord della capitale Lima. E’ stata aggredita di notte, presso la casa “Mamma mia” mentre dormiva da qualcuno che ha cercato di strangolarla e poi l’ha colpita mortalmente con un macete. Soccorsa dagli altri volontari, Nadia è poi morta nell’ospedale di Nuevo Chimbote, una città di mezzo milione di abitanti, in buona parte migranti dalla Sierra che vivono in una delle baraccopoli più pericolosa delle Ande. Perché Nadia sia stata aggredita così brutalmente, è una domanda ancora senza risposta «anche se la polizia criminale di Lima, intervenuta, si dice fiduciosa di individuare il colpevole -dice don Refosco-. Pensiamo si tratti di vendetta personale, non certo da ricercare nel mondo dell’infanzia dove Nadia lavorava. Era la coordinatrice di cinque asili con 500 bambini ma forse la risposta è nel contesto dell’attività che svolgeva nel quartiere dove abitava a Nuova Chimbote».
Infatti oltre alla scuola, Nadia aveva una intensa attività di accompagnamento di famiglie della periferia di Nuevo Chimbote, persone poverissime che vivono in condizioni disumane, in pieno deserto, tra quattro mura di cartone. In questa situazione non si contano: abbandono, prostituzione, abusi di ogni genere, violenza. «Nadia accompagnava molti casi: il movente del suo assassinio va ricercato in questa sua attività, anche se non si sa di nessuna minaccia ricevuta. Nadia non ha mai parlato di difficoltà, era molto serena. Quando le autorità ci daranno la salma di Nadia la faremo rimpatriare in Italia per i funerali. I tempi non saranno brevissimi anche a causa del Covid che qui in Perù sta dilagando».
Ma cosa lascia Nadia dietro di sé, oltra al dolore per la sua scomparsa? Cosa farà il personale dell’Operazione Mato Grosso lavora a Nuevo Chimbote? «Abbiamo una decina di volontari e gestiamo tre parrocchie nella diocesi con tre preti- conclude don Refosco-. Nella zona gestiamo una scuola primaria e una secondaria, una scuola di formazione per artigiani del legno, un comedor (una mensa, ndr) che sfama più di 1.000 persone tutti i giorni, e poi attività di catechesi, gli oratori con distribuzione di viveri. Abbiamo un progetto anche per dare una mano nella costruzione delle casette a chi scende dalla zona andina».
Di Miela Fagiolo D’Attilia e Paolo Annechini