Far pressione sulle banche affinchè spieghino come investono i nostri soldi. Assicurarci che non finanzino i Paesi in guerra e militarizzati, primo fra tutti l’Egitto; pretendere trasparenza e promuovere l’eventuale disinvestimento da quegli istituti di credito che alimentano il conflitto.
Tutto ciò senza «andare contro, ma dialogando con i grandi sistemi bancari poichè è assieme a loro che se ne esce». Non da soli.
Questo è in estrema sintesi il senso della Campagna di pressione alle “banche armate”, sostenuta tra gli altri da Cimi (Conferenza Istituti Missionari in Italia) e Pax Christi, e lanciata oggi a Brescia, in conferenza stampa, dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia.
In occasione dei trent’anni della Legge n. 185 del 9 luglio 1990 che ha introdotto in Italia “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” e a vent’anni dal lancio della prima Campagna, i rappresentanti del mondo missionario sentono l’urgenza di tornare su questo tema cruciale. L’obiettivo è passare «dalla mira verso l’investimento per la morte» a quella verso «l’impegno e l’investimento per la vita», hanno spiegato.
«Ogni volta che abbiamo cercato di interloquire con loro, le banche sono state molto attente – ha spiegato padre Renato Sacco di Pax Christi – : dobbiamo andare a giocare su questo campo: porre loro tutti i problemi etici».
Come farlo? Scrivendo agli istituti di credito (i format delle lettere sono scaricabili dal sito ‘banche armate’) e chiedendo ragione degli investimenti fatti; fino ad arrivare a chiudere un conto, se necessario. L’obiettivo è fungere da pungolo, fare pressione, sollecitare la presa di coscienza.
«Se una parrocchia chiude il conto in una banca – ha detto don Sacco – questo è un gesto che colpisce», perchè pone seri interrogativi. «Non è vero che pecunia non olet, pecunia olet, ma io sono fiducioso in un grosso rilancio dal basso».
«I nostri missionari sanno le conseguenze nefaste di questa produzione e compravendita di armi – ha detto padre Francesco Pavesi, provinciale dei Verbiti, nella Cimi – ci si trova a scontarci ogni volta con il Golia di turno. A nome di tutti gli istituti missionari ci impegniamo a sostenere ed appoggiare questa campagna».
Molto forti anche le parole di padre Alex Zanotelli: «Dobbiamo cominciare, come cristiani, a capire dove teniamo i nostri soldi – ha esortato il missionario comboniano, direttore di Mosaico di Pace – Ci appelliamo alle parrocchie, sorde al nostro richiamo, agli ordini religiosi e ai comuni cittadini. Non possiamo investire in armi, è immorale! Soprattutto in un mondo come questo. In Italia vengono investiti 27 miliardi di euro l’anno in armi. Guerre pagate con i nostri soldi. Se le diocesi, le parrocchie, cominciassero a scrivere e-mail e a parlare, avremmo una forza incredibile in questo paese».
E ha concluso: «Ogni cristiano ha l’obbligo morale di sapere dove sono investiti i suoi soldi e come vengono usati. Purtroppo molte comunità non si accorgono che siamo sotto la dittatura delle banche».
Il testimonial della Campagna, l’attivista congolese John Mpaliza ha spiegato che «negli ultimi 23 anni la Repubblica Democratica del Congo ha subito un conflitto sanguinoso che ha fatto 10 milioni di vittime. Per poter fare tutto ciò c’è bisogno di tantissime armi e per avere le armi servono soldi e per questo ci sono le banche e le finanziarie. Cosa possiamo fare noi? Spostare i nostri soldi da un conto ad un altro».
«Vogliamo invitare la politica, le banche, i cittadini e i mondi ecclesiali e di altre religioni, a concentrarci su quello di cui abbiamo veramente bisogno: investimenti in scuole, servizi ecc… non ha senso continuare ad investire in armi», ha sollecitato padre Filippo Ivardi, direttore di Nigrizia.