Non riesco a respirare: questo il drammatico, flebile grido di George Floyd, un uomo afroamericano dal fisico gigantesco, mentre un poliziotto di Minneapolis gli preme col ginocchio sul collo applicando una conosciuta tecnica di immobilizzazione.
Ma costui prosegue nel gesto per interminabili minuti, incurante delle richieste di pietà dei passanti, fino a che George muore soffocato. L’avvenimento di cronaca di fine maggio, divenuto in pochi giorni notizia globale, ha scatenato proteste anche violente negli USA e manifestazioni in tutto il mondo. Si muore di violenza gratuita in paesi ritenuti civili; che gli agenti di sicurezza siano i primi ad abusare della legge è inaccettabile e poi, lettura del fatto ampiamente prevalsa e che ha dato fiato alle proteste, il poliziotto è bianco e nera di pelle la sua vittima, come se ciò potesse giustificare l’accanimento.
E il razzismo riaffiora, cancro non curato di ancora troppe società multirazziali, quali tutte ci stiamo avviando a diventare. Inammissibile, ingiustificabile piaga di un mondo di cui la pandemia ancora in corso ha messo in luce la fragilità e che si vorrebbe quindi unito nella lotta a nemici comuni e minacciosi.
Il virus è andato a colpire proprio i polmoni: Non riesco a respirare è lo sfogo spontaneo di chi ne è stato aggredito. Una sensazione terribile, col sapore di morte, poiché basta a spegnere la nostra esistenza l’insufficienza nella respirazione.
Ci siamo improvvisamente trovati tutti vulnerabili ed il sistema sanitario è andato in crisi spesso per la mancanza di apparecchi di ventilazione che ha costretto in non pochi casi gli operatori sanitari a scelte drammatiche: chi devo soccorrere se non posso farlo con tutti? Domanda che si può estendere a dimensione planetaria: perché in alcune zone del mondo si muore più facilmente, vista la non equa distribuzione delle risorse scientifiche e tecniche di cui l’umanità dispone?
Non sono anche queste inaccettabili discriminazioni? Ai primi di giugno si è celebrata la giornata mondiale dell’ambiente. Sappiamo della gravità di numerose situazioni che minacciano il pianeta e che non sono risultate estranee all’emergenza sanitaria con cui il mondo è alle prese: tante infatti, per quanto non del tutto dimostrate, le connessioni tra inquinamento e manipolazione delle specie viventi e diffusione del virus, al punto che la terribile pandemia da Covid 19 è suonata come l’ennesimo grido di allarme perché finalmente ci si decida a prendersi cura della casa comune. Sta bene allora in bocca alla madre terra che ci ospita il grido: «Soffoco, non riesco a respirare, smettetela prima che sia troppo tardi!»
Le manifestazioni contro il razzismo possono così saldarsi a quelle per un mondo più vivibile e per condizioni più eque per tutti, a cominciare dal diritto alla salute. Significativo che l’azione violenta dell’assassino di George Floyd si sia tramutata in gesto di protesta: abbiamo visto uomini e donne di tutte le razze, in ogni parte, col ginocchio a terra in segno di solidarietà alle vittime della discriminazione razziale e della violenza, quasi una preghiera perché il mondo sia curato dai suoi mali, quelli per cui non siamo preparati e quelli che da soli seguitiamo a produrre.
Invocazione all’intervento divino affinché non manchi dall’alto il soffio creatore e rigeneratore: Se togli loro il respiro muoiono e ritornano nella polvere, mandi il tuo spirito, sono creati e rinnovi la faccia della terra (Sl 104,29s).
Preghiera e impegno per questo necessario rinnovamento. Al tempo delle drammatiche scelte su chi far vivere con il respiratore artificiale si sono registrati gesti eroici come quello del prete di Bergamo che volontariamente ha rinunciato al ventilatore perché si salvasse un’altra vita.
Concludendo il suo sermone in memoria di George Floyd, il reverendo Al Sharpton, attivista per i diritti civili, ha affermato: «Lo onoriamo non perché era perfetto. Ma perché con il suo ultimo respiro ha consentito a noi tutti di respirare». Cosa di cui abbiamo davvero bisogno.
(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di luglio di NotiCum).