Dall’inizio della pandemia Covid-19 ad oggi, in Kenya si sono registrati 32 morti. Ma il diffondersi del virus ha coinciso “con le prime piogge, inizio di una violenta stagione che ha già causato inondazioni, frane, crolli con oltre 200 morti e 230mila sfollati”.

A raccontare gli innumerevoli danni provocati dalle avverse condizioni meteo, è padre Kizito Sesana, in una lettera aperta pubblicata anche sul suo profilo facebook.

“Centinaia di pescatori che abitavano sulle isole del Lago Vittoria, secondo al mondo per superficie, sono stati evacuati con le loro famiglie perché l’alzarsi del livello delle acque le sta sommergendo”, scrive.

Nel distretto agricolo di Mwewa oltre 3.200 ettari di riso ormai pronto al raccolto sono andati perduti.

“Oggi l’area che comprende anche una vasta parte di Etiopia e Sud Sudan sta subendo un’invasione di locuste, la peggiore degli ultimi 70 anni, e ancora non si sa come si evolverà. Nonostante tentativi di controllo con aerei che irrorano insetticidi sugli sciami, sembra addirittura che in questi giorni ci sia una pausa solo perché stanno deponendo le uova”.

Questo breve elenco di fatti, argomenta padre Kizito, “potrebbe iniziare a spiegare perché il Covid-19 non fa poi cosi tanta paura in Kenya, e generalmente in Africa. Qui i disastri, naturali o causati dall’insipienza e dall’avidità umana, si susseguono senza sosta. Aggravati dallo sconsiderato, criminoso sfruttamento delle risorse naturali che le compagnie internazionali hanno accelerato negli ultimi decenni”.

Come fanno gli africani a sopportare il susseguirsi di tante disgrazie? Si domanda ancora il missionario. Si tratta di fatalismo, di fede o di qualcos’altro?

“Le generalizzazioni sono sempre pericolose – scrive – ma se fatalismo significa abbandonarsi al destino, subendolo senza reagire, credo che sia un atteggiamento alieno all’animo umano in ogni parte del mondo e in ogni cultura. Qui in Africa in modo particolare. Bisognerebbe essere ciechi, o accecati dai pregiudizi, per non vedere la grande voglia di impegnarsi per la vita”.

Padre Kizito dice di vederlo “nei ragazzi più grandi riscattati dalla strada due settimane fa. I primi giorni sono stati facili, ma poi sono arrivate le crisi di astinenza, le crisi di autostima, sono ritornati gli incubi vissuti sulla strada in condizioni quasi subumane”.

Ma sono capaci di reagire, dice il missionario, e in loro “si rimette in moto tutto l’amore per la vita che hanno dentro. E’ la stessa forza che ogni mattina fa alzare del letto, o dalla stuoia, o dalla coperta stesa sul pavimento le migliaia e migliaia di persone che alle cinque del mattino, appena finisce il coprifuoco, sono in strada per andare a lavorare, o a cercare lavoro occasionale, per poter dar da mangiare ai figli”.

“Stamattina a quell’ora ero anch’io in strada, ma in auto, e nella fila di persone in cammino verso la più vicina stazione di Matatu, ho riconosciuto la sagoma corpulenta di Eddy”, si legge ancora.

“Mi son fermato – dice il missionario – gli ho chiesto se voleva stringersi con gli altri sul sedile posteriore, e nel tragitto mi ha raccontato che andava al mattatoio per cercare carne a buon prezzo da cuocere e rivendere in una bancarella gestita dalla moglie. Eddy è laureato in marketing, ha figli già grandi, e fino a sei settimane fa dirigeva il magazine interno di una grossa compagnia”.

E’ una forza, questa, “che nasce anche dalla fede. Dio è sempre presente. Dio è sempre l’autore del bene, anche quando il male sembra prevalere. La preghiera è sempre parte della vita quotidiana”.