L’argomento che, in questo tempo, riempie le pagine dei giornali, le trasmissioni televisive, i nostri dialoghi tra amici e parenti, assorbendo gran parte della nostra vita è chiaramente questa pandemia del Coronavirus, Covid-19. E come non parlarne anche noi?
Vorremmo farlo, però, dal nostro punto di vista, con la nostra sensibilità ed esperienza di missionari.
Una prima cosa che vorremmo sottolineare riguarda la preoccupazione del contagio.
E il nostro pensiero corre a quei Paesi, a quei continenti in cui le strutture sanitarie non sono assolutamente all’altezza di affrontare questa pandemia.
Pensiamo a Paesi dell’Africa dove non ci sono ospedali adeguati, rarissimi reparti di terapie intensive, scarsità assoluta di medici e infermieri preparati, scarsità di medicinali e materiali sanitari.
Pensiamo a Paesi in cui normalmente il paziente, se vuole essere curato in ospedale, deve comprarsi le medicine, le garze e le siringhe perché l’ospedale non le fornisce.
Paesi in cui le autorità e le strutture pubbliche non sono assolutamente in grado di gestire le emergenze. Paesi già flagellati costantemente da epidemie come la malaria, la dengue, il colera e altre malattie che ogni anno mietono innumerevoli vittime.
E pensiamo ai nostri missionari che vivono tra queste popolazioni, impegnati soprattutto nell’opera di solidarietà, nella informazione capillare della gente, fino ai villaggi più sperduti, nella prevenzione, nell’accompagnamento dei malati, delle famiglie, delle comunità.
Missionari che generalmente sentono il pericolo e la paura di rimanere in quelle situazioni, ma che trovano nella loro vocazione e nella profonda spiritualità missionaria la forza di non abbandonare quelle popolazioni proprio nell’ora della maggiore necessità.
Ma pensiamo anche oltre la pandemia. Perché questa preoccupazione del momento non può oscurare la nostra attenzione verso quelle situazioni e popolazioni che vivono da molto più tempo nella guerra, nella fame, nella necessità di fuggire dalla loro terra. Pensiamo al problema delle migrazioni che in questo tempo è stato totalmente oscurato dai maggiori mezzi di comunicazione sociale.
Pensiamo a coloro che continuano a bussare alle porte di questa Europa e si trovano davanti sbarramenti, muri di filo spinato, addirittura forze di polizia ed esercito schierati con manganelli e gas lacrimogeni.
Per questi poveri il Coronavirus rischia di essere l’ultimo dei problemi di cui preoccuparsi e, Dio non voglia, può diventare per molti di loro il colpo di grazia.
Noi missionari pensiamo oltre, anche in un’altra prospettiva.
Se da un lato siamo abituati ad incontrare e affrontare situazioni umane estremamente faticose, siamo anche allenati dalla nostra esperienza e dalla nostra fede a guardare più avanti, ad allungare lo sguardo sul futuro con la immortale speranza di un tempo in cui tutto questo passerà, con la fiducia in un mondo nuovo, con la certezza che il Regno di Dio è più forte di ogni male e troverà il modo di manifestarsi anche nelle situazioni più terribili.
In questi giorni si dice frequentemente che, dopo questo periodo di oscurità, il sole tornerà a brillare.
Molti prendono coscienza che, dopo questa pandemia, nulla sarà come prima: cambierà necessariamente il nostro modo di vivere, di pensare al lavoro, alla famiglia, alla politica, all’economia.
Cambierà la geopolitica, cambieranno i rapporti tra le nazioni, cambierà l’economia e la finanza. La nostra speranza di missionari è che, in questa situazione di emergenza globale, si prenda coscienza che veramente quel mondo che abbiamo costruito negli ultimi decenni non poteva reggere più, che non si risolvono i problemi con la costruzione di muri o accettando passivamente che la forbice tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri aumenti costantemente, che il livello di vita di alcuni Paesi sia intoccabile, anzi, in continua espansione a scapito di nazioni le cui risorse vengono costantemente ridotte.
Il Coronavirus ci ha reso coscienti che siamo tutti sulla stessa barca.
Se il mondo non sarà più lo stesso, sarà la volta buona in cui troveremo la volontà e la forza di costruire un mondo nuovo. Speriamo.
Questo è il testo dell’editoriale, firmato dal direttore della Fondazione Missio e pubblicato sul numero di aprile di Popoli e Missione, in uscita.