Nonostante i proclami e l’euforia generalizzata, la firma a Niamey dell’accordo per la creazione di una zona di libero scambio africana appare «più un’arma di distrazione di massa che non uno strumento di reale sviluppo».
Lo dice al telefono con noi padre Mauro Armanino, della Società delle Missioni Africane, spiegando che in Africa, e in particolar modo in Niger, «le economie sono ancora prevalentemente agricole e a conduzione famigliare: stipulare un accordo che guarda prima al mercato e alle merci e in ultimo alle persone, senza peraltro averle mai interpellate, è estremamente iniquo».
Il missionario comboniano vive in Niger dal 2011, ed è molto critico sui possibili benefici dell’AfCFTA (African Continental Free Trade Area) destinata a diventare l’area di libero scambio più estesa al mondo dal punto di vista geografico, ma non certo da quello finanziario e del volume di commerci.
«Questo accordo – dice il missionario – è completamente sganciato dalla realtà. Fa riferimento ad un’economia virtuale che si basa su una strategia funzionale al commercio internazionale e risponde ad una visione prettamente neo-liberista. L’economia, invece, dovrebbe partire dai bisogni reali della gente».
Inoltre si dice stupito del clamore mediatico attorno ad un summit che per giorni ha messo Niamey al centro dell’attenzione, dimenticando che si tratta della capitale di uno Stato traballante, estremamente insicuro dal punto di vista dei diritti delle persone, dove la legge non è rispettata, i migranti transitano senza alcuna tutela, oltre che un Paese con un’economia poverissima.
«Qui siamo senza strade, senza strutture che possano accompagnare un minimo di sviluppo – dice – Mi sembra una incoerenza enorme: questo summit e il relativo accordo che ne è scaturito, sono una grave offesa al continente; è una maniera di porsi in modo arrogante in un Paese che di fatto non esiste».
Niamey è crocevia dei viaggi verso la Libia, parlare di commercio, senza parlare dei diritti umani significa «ignorare i bisogni reali delle persone, della società civile, della gente comune – aggiunge – Negli ultimi 11 mesi c’è stato un via vai di politici e diplomatici qui, tra aeroporto, hotel e tutto, ma solo per dare l’impressione di un grande summit dell’Unione africana; in realtà il contesto è estremamente complicato e precario non solo per motivi di sicurezza. In Niger è un’avventura anche solo spostarsi da un paese all’altro. Le persone non circolano liberamente, che senso ha far circolare le merci?».
Inoltre, nella fase negoziale dell’accordo la società civile africana è stata del tutto ignorata: «le persone sono state completamente assenti dall’intero processo negoziale, questa è un’operazione di puro marketing. Infine c’è da ricordare che il vero problema in Africa, prima ancora che il Mercato è la conflittualità, sono le guerre. La priorità è ridare pace e sicurezza al continente, prima di avventurarsi sulle strade ben conosciute di un neo-liberismo che non ha fatto altro che seminare distruzione, laddove è passato».
Padre Armanino ha poi ricordato con grande pena il confratello, padre Gigi Maccalli, rapito il 18 settembre 2018 in Niger e del quale ancora non si hanno notizie, «nonostante la Farnesina stia lavorando al caso, tramite due persone inviate da Roma in Africa per seguire da vicino tutta la questione».
Per padre Maccalli «non possiamo far altro che pregare, – dice Armanino – ci hanno chiesto di tenere un basso profilo per non intralciare le indagini e noi lo facciamo, ma di certo è per tutti un grande cruccio. Non è l’unica persona rapita in Niger in questi ultimi anni: sono 38 gli scomparsi, risucchiati nel deserto. Questo significa che si tratta di un Paese dai piedi d’argilla».
Nella diocesi di Niamey alla fine di ogni messa si prega per la liberazione del sacerdote. Padre Vito Girotto, confratello di padre Maccalli, in missione a Makalondi a 25 chilometri da Bomoanga dove è stato rapito il missionario ha sempre detto alla stampa di ritenere che «padre Gigi sia vivo ma dove sia non lo sappiamo. Pensiamo comunque che non sia in Niger ma in un altro paese del Sahel».