Sotto un sole cocente, temperature record e una marea di ombrelli colorati aperti, la marcia-fiume di Hong Kong contro la legge sull’estradizione, partita stamani da Victoria Park, procede verso il centro.
I media trasmettono immagini delle repressioni della polizia in tenuta anti-sommossa che usa spray urticanti per disperdere i manifestanti asserragliati davanti al Parlamento. Si tratta di quella parte di attivisti (su circa 2 milioni di persone scese in strada), determinati a sfondare le transenne e ad entrare nel palazzo legislativo.
Ma la manifestazione è talmente estesa che la coda del corteo, partito da Victoria Park è ancora distante e procede lentamente e in modo pacifico per dire no alle intromissioni cinesi negli affari di Hong Kong.
«Ci sono stati parecchi svenimenti per il caldo e la Croce Rossa è pronta ad intervenire», racconta a Popoli e Missione on-line, padre Renzo Milanese, missionario del Pime, parroco della chiesa Madre del Buon Consiglio di Kawloon, da 47 anni ad Hong Kong.
Padre Milanese partecipa alla marcia ma «a titolo personale – precisa – non sono qui a nome del Pime. Ma ritengo che sia legittimo protestare».
Oggi per Hong Kong non è una data qualsiasi: si celebra il 22esimo anniversario del passaggio dalla Gran Bretagna alla Cina e si contesta la legge che potrebbe determinare la fine della formula ‘un paese due sistemi’, finora perno delle relazioni politiche tra Hong Kong e Pechino.
«Tutti qui temono che introducendo questa legge, l’extradition bill, possa crollare l’intero sistema di Common Law ereditato dalla Gran Bretagna: è come mettere un sassolino nell’ingranaggio che fermerebbe l’intero meccanismo», ci spiega al telefono padre Milanese.
La gente non ha fiducia nel sistema cinese e non si fida delle promesse, spiega ancora il missionario, «questa mancanza di fiducia era esplosa già nella seconda metà degli anni ’80 e chi poteva andare via, se ne andava. Ma Hong Kong è molto cambiata nel corso degli anni e la sua economia è esplosa: quando io sono arrivato qui, nel 1972 c’erano circa 900mila persone che vivevano nelle baracche e nelle barche, adesso i poveri non sono neanche 30mila. C’è stato un grandissimo cambiamento ed una evoluzione».
Padre Milanese ritiene che «il suggerimento sull’adozione di questa legge sia arrivato direttamente da Pechino, anche se i governanti hanno ripetutamente negato; il punto è che il governo di Hong Kong ha un potere limitato, e ha l’obbligo di non fare nulla che vada contro Pechino. Già a partire dal 1987 le grosse decisioni, ad esempio sulle infrastrutture e sulla costruzione dell’aeroporto, dovevano passare da Pechino, anche le riforme politiche sono state concordate tra Londra e Pechino».
Padre Milanese dice che con «l’introduzione di questa legge verrebbe incriminato tutto il sistema giudiziario di Hong Kong: una reazione così forte da parte degli avvocati non si era mai avuta! In effetti il sistema di Common Low ereditato dalla Gran Bretagna è completamente diverso da quella cinese».
Se la legge passasse o fosse reintrodotta successivamente, sebbene emendata, si rischia che la polizia della Repubblica popolare «arrivi ad Hong Kong a prelevare chi è anche solo sospettato d’aver commesso un crimine di qualsiasi natura», dice.
Le voci che circolano è che il governo di Pechino, nella lotta contro i suoi avversari politici, abbia puntato la scure contro la corruzione: «alcuni degli avversari politici accusati di corruzione potrebbero scappare ad Hong Kong – spiega il missionario – ma il problema non è solo prendere chi ha commesso un crimine ma anche congelare i loro capitali. Il sistema giudiziario cinese potrebbe intervenire direttamente in Hong Kong».
Il missionario ricorda che «il grosso problema cinese è la corruzione dei quadri e la regolamentazione estremamente complessa: in Cina si possono mettere le manette a chiunque. Tutto ciò che in Cina non è permesso è proibito. Commettere illegalità è molto facile in un sistema come quello».
Finora Hong Kong era riuscita a sfuggire alle strette maglie di questo sistema giudiziario, ma il pericolo è sempre in agguato: «non scordiamo – dice il missionario – che la Cina non è democratica. Inoltre rappresenta un ibrido dal punto di vista economico: economia liberista con una forte programmazione centralizzata, mentre Hong Kong è una economia di mercato al 100%».
I missionari del Pime ad Hong Kong sono oggi 29, quindici dei quali sopra i 65 anni: «eravamo una comunità consistente fino a 50 anni fa – dice il missionario – La diocesi Hong Kong era affidata al Pime prima. Con l’avvicinarsi dell’87 abbiamo fatto una scelta: se c’è un passaggio di consegne non è bene che noi su alcune questioni prendiamo posizione. Io ho partecipato alle due grandi marce ma a titolo personale, non prendiamo posizioni ufficiali».