La missionaria comboniana suor Aziza, di nazionalità eritrea, ha ricevuto ieri il riconoscimento di “Costruttore di pace” a Neve Shalom-Wahy Al Salam, il primo villaggio dove si sperimentano pace e convivenza in Israele, abitato da arabi palestinesi ed ebrei israeliani.
Una targa con il suo nome è stata scoperta all’interno dell’ “International Garden of Rescuers“, per il lavoro umanitario svolto in diversi Paesi.
La cerimonia, sobria e partecipata, ha riunito amici israeliani e palestinesi per dire il loro grazie ad Aziza, che è un esempio davvero virtuoso soprattutto per le nuove generazioni.
I lettori di Popoli e Missione la ricorderanno: parlammo di lei nel 2012 quando ricevette un altro importante riconoscimento per l’opera svolta a favore delle popolazioni beduine nel deserto del Sinai e in Cisgiordania.
Conoscemmo Azezet, questo il suo nome completo, quando viveva a Betania, Gerusalemme est, nella comunità delle suore comboniane.
Lei perfettamente le lingue etiopiche e sudanesi: per questo – oltre che per le sue competenze infermieristiche – collaborava e collabora ancora con i Medici per i diritti umani, un’associazione israeliana che garantisce l’assistenza sanitaria agli immigrati e a chi per lo Stato d’Israele non ne ha diritto.
Nella clinica Aperta di Tel Aviv aveva iniziato ad accogliere i profughi africani partiti dal Corno d’Africa e arrivati in Israele dopo l’attraversamento del Sinai.
«Ogni storia che ascolto tocca il mio cuore – ci raccontava la missionaria – : tutti coloro che sono entrati in contatto con me hanno racconti diversi da narrare, per niente facili da ascoltare, perché sono esperienze di grande sofferenza. Porto tutti nelle mie preghiere, perché so che solo Dio potrà guarirli dalle loro profonde ferite e aiutarli a superare questa tragedia».