Serve una contro-narrazione più fresca e convincente per contrastare il racconto dominante sulle migrazioni. Non basta più stare sulla difensiva, controbattere debolmente, è arrivato il momento di offrire una visione davvero alternativa. Ma come fare?

Usando meglio i mass media, ad esempio, svecchiando i contenuti, mettendosi in rete, entrando di più nelle scuole e nelle università. Costruendo una Chiesa che cammina unita.

Lo hanno chiesto i protagonisti dell’accoglienza, quotidianamente impegnati nelle nostre diocesi, chiamati a raccolta oggi presso Caritas italiana per fare il punto sull’andamento della Campagna Cei “Liberi di partire, Liberi di restare”. 

Tra le proposte emerse, quella di «una maggiore condivisione intra-diocesi e anche tra Paesi di arrivo e di partenza dei migranti».

La necessità di «fare rete e creare collaborazioni trasversali con realtà non ecclesiali (per esempio le Ong), è uno dei punti emersi.

Inoltre, «maggiore impatto mediatico e social, più presenza nelle scuole e nelle università», collegamenti con chi vive nei Paesi in via di sviluppo e che ha scelto di non partire, o di ritornare a casa.

Questo stimolo al rinnovamento è prezioso, hanno commentato i direttori dei tre organismi pastorali della Cei (Caritas- Migrantes – Missio), perchè viene da decine e decine di volontari, operatori, studenti che ogni giorno affrontano difficoltà e sfide nel confrontarsi con persone che arrivano da altri Paesi. Dal loro punto di vista ci vuole più coraggio e più presenza per non far prevalere un’idea distorta sui migranti.

I cambiamenti normativi degli ultimi anni (vedi il decreto Salvini) hanno generato «caos, sbandamento e crisi» a livello locale tra operatori e parrocchie, denunciano.

«Un senso di frustrazione che spesso sfocia in esplicita ostilità» nei confronti di chi accoglie.

Anche questo è emerso dai lavori di gruppo nei laboratori tematici,  di cui si è fatto portavoce Fabrizio Cavalletti di Caritas Italiana.

«La nostra comunicazione è lenta – ha commentato padre Bruno Bignami, direttore dell’ufficio dell’Apostolato del mare – Dobbiamo avere una narrazione più convincente. La Laudato Sì ad esempio ci dà gli strumenti: ci fa capire che anche noi siamo implicati in una rete globale». 

Don Giuseppe Pizzoli, direttore della Fondazione Missio ha notato che «tutto quello che si investe in formazione ed istruzione è prezioso», e capire i meccanismi che ci sono a monte della povertà e del mancato sviluppo, nei Paesi di provenienza dei migranti, aiuta ad affrontare le cause qui da noi.

La scelta di migrare, lasciare il proprio Paese, inseguendo un progetto migratorio, deve essere sempre libera e condivisa.

Stamattina, in apertura dei lavori in plenaria, monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, aveva invitato a riflettere sulla parola libertà.

«Sappiamo che il progetto di chi sceglie di migrare o di radicarsi – ha detto Russo – è spesso il frutto di una scelta complessa che non trova esclusivamente nella singola persona la propria radice ultima».

A monte della decisione di prendere il largo, c’è un «intero contesto» che investe «nelle persone più capaci e intraprendenti, quando non semplicemente in quelle che hanno più possibilità di sopravvivere a una traversata» in mare.

Dopo di lui Padre Giulio Albanese, missionario comboniano, ha calato il discorso evangelico nella realtà concreta di una cronaca spesso mistificatoria.

Il primo dei fraintendimenti sulle migrazioni riguarda i numeri: «il 75% di chi emigra dall’Africa Subshariana – ha spiegato Albanese – rimane all’interno del continente africano».

E dunque, va da sé che «non siamo di fronte ad una invasione».

Insomma, fare chiarezza sulle cause, sull’entità dei flussi, sulle conseguenze e le motivazioni alla base del migrare, ma anche raccontare l’aspetto virtuoso di queste storie di esodo, è compito di una Chiesa impegnata in una contro-narrazione libera e costruttiva.