«Ci tengo a dire che i membri della fraternità Kizito non sono tutti cattolici: per essere papà e mamma non è indispensabile: tra loro ci sono anche islamici. Perché essere padri e madri è una condizione universale».
Così esordiva qualche anno fa suor Elvira Tutolo, missionaria della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, parlando del suo progetto nella Repubblica Centrafricana.
Suor Elvia, 69 anni, è una vera forza della natura: donna tenace e comunicativa, un caterpillar che dosa bene vigore e senso materno, in grado di vincere ogni resistenza.
Tanto che di recente le è stato assegnato dal Presidente della Repubblica Mattarella un importante riconoscimento: quello di Commendatore al merito dell’Ordine della Repubblica italiana.
In effetti oramai da tempo il Centro Kizito da lei gestito è diventato un’istituzione a Berberati, in Centrafrica.
Tanto che i ragazzi senza famiglia che arrivano lì da lei sono più semplicemente chiamati “i Kizito”.
Suor Elvira ha avuto un’intuizione geniale e di cuore quando ha pensato a questa missione: i ragazzi soli non dovevano finire in un orfanotrofio. Questa era per lei una certezza.
«Per un bambino che ha perduto o non ha mai avuto una famiglia, la risposta non è una casa o il cibo a sazietà, quanto piuttosto l’amore di una coppia», diceva la missionaria quando la incontrammo a Roma in una delle sue pause dall’Africa, tre anni fa.
All’inizio erano quattro coppie per dieci ragazzi: «Un giorno papà Moise ha raccontato loro la storia dei martiri dell’Uganda che papa Paolo VI aveva canonizzato. Il più piccolo di questo gruppo si chiamava Kizito. Il re li aveva ammazzati tutti lasciando vivo solo il più giovane.
Da allora è questo il nome del gruppo – ricorda – Adesso ci sono 20 coppie: prendiamo molto tempo per la loro formazione, perché se un bambino si trova sulla strada proprio perché mamma e papà non hanno tenuto, non possiamo metterli in una famiglia che non è in grado di amarli».
Dunque i candidati vanno selezionati bene: il criterio non è affatto economico, è tutto umano.
«Una famiglia ne ha accolti due, quella più giovane ne ha uno. Le coppie che già vivono qui da 13 anni lo capiscono meglio di me se sono in grado. E i nuovi vengono molto volentieri alla formazione».
Nella casa Kizito vengono accolti anche ragazzi con disabilità o altri problemi: «C’era un ragazzo evitato da tutti perché accusato di stregoneria. Ma ha solo la mandibola sporgente e problemi di deambulazione. La mamma adottiva lo ha accolto e amato. Ma nel quartiere c’è ancora tanta diffidenza», racconta suor Elvira.
Le suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret sono arrivate in Centrafrica nel 1960, ma come spiega suor Elvira, non hanno mai fatto propaganda per cercare nuove vocazioni o conversioni: queste sono arrivate da sé.
«Le nostre suore a quell’epoca andavano a fare le vaccinazioni ai bambini di un villaggio sperduto. Alcune ragazze dicevano: “Sarebbe bello che anche noi potessimo… ma dobbiamo essere bianche per diventare suore?”. E si strofinavano con una pietra al fiume. Finché non andarono a parlare con un missionario che le accolse con affetto. Una di loro si chiamava Janne ed ora è in Egitto, l’altra è Anne e fa la missionaria in Congo: sono state le prime due suore della Carità del Paese».
Il Centrafrica oggi è devastato da una guerra strisciante e silenziosa: quella tra gli ex ribelli Seleka, musulmani, e le milizie anti-balaka, per lo più cristiane.
In realtà non tutti i membri di Seleka sono musulmani e soprattutto i miliziani anti-balaka in parte non sono cristiani, come spiegava padre Jean-Marius Toussaint Zoumalde intervistato dal quotidiano Ouest France. Secondo il padre cappuccino la maggior parte dei membri di queste milizie «sono degli animisti, non dei cristiani. Sono giovani che da anni proteggono i loro villaggi e i loro territori».
Sta di fatto che per sfuggire alla logica degli arruolamenti facili e della guerra, ai ragazzi poveri e senza famiglia serve un mestiere: per insegnare loro un lavoro, suor Elvira ha un’idea: procurarsi un campo da coltivare. Ed unire studio e lavoro per i più grandi.
«Ho detto ad alcuni papà: andate a chiedere un pezzo di terra al sindaco. Il caso ha voluto che il sindaco fosse un agronomo. E ci ha dato un terreno che non abbiamo acquistato ma è in comodato d’uso. Quando siamo arrivati dov’era il nostro campo, in piena foresta, il capo villaggio ci ha mandati a chiamare dicendo che aveva cambiato zona. E mi sono detta: “Forse non ci vuole più”. Quando siamo tornati ci ha portati invece dove c’era una sorgente d’acqua naturale. Ci ha riflettuto e ci ha dato un terreno migliore!».
I ragazzi la mattina si alzano fanno la preghiera sia i musulmani che i protestanti e i cattolici. Mettono in ordine e poi vanno due ore nei campi.
Nel pomeriggio studiano e imparano altri mestieri: una volta formati, faranno l’esame per prendere la licenza elementare.
Un modo efficace per tenerli lontani dalla tentazione di diventare soldati.