Riceviamo queste righe da padre Angelo Esposito, fidei donum della diocesi di Napoli, in missione a Tacanà (Guatemala). Si tratta di una dolorosa riflessione di un sacerdote che vive in una delle tante periferie del pianeta e quotidianamente assiste impotente al continuo flusso di migranti che dai Paesi dell’America Latina arrivano in Guatemala, con la speranza di poter raggiungere in qualche modo gli Stati Uniti attraverso il Messico.

«Dacci oggi il nostro pane quotidiano», il Padre nostro, è la preghiera che Gesù ci ha insegnato per rivolgerci a Dio Padre.

Questa è una delle richieste che accoratamente gli rivolgiamo, per chiedergli il “pane” per non morire di fame, per nutrire il nostro corpo, per poter avere le forze, per non ammalarci, per non vedere morire di stenti i propri figli, per non assistere inermi all’agonia degli anziani, per conservare la dignità che spetta ad ogni uomo.

Dio ci ha donato il “pane” per l’anima, suo Figlio Gesù, che con il sacramento dell’eucaristia nutre lo spirito e ci dà la forza di affrontare la vita con la logica del Vangelo, con la logica dell’amore. Dare il “pane”, il cibo, il nutrimento di cui necessita ogni uomo, è la missione che Dio ha affidato ad ognuno di noi.

Purtroppo questa missione – che dovrebbe essere una “responsabilità” dell’umanità per consentire a chiunque, senza nessuna disparità e senza nessuna discriminazione sociale, di poter “mangiare” – non viene svolta con lo spirito del servizio, dell’amore verso l’altro ma con lo spirito dell’oppressione dei popoli deboli e del loro sfruttamento. Qui in Guatemala, in una delle periferie del mondo, lo si sperimenta quotidianamente.

Siamo in un’epoca in cui l’operato dell’uomo non è volto a creare il benessere comune ma l’autoaffermazione del singolo, la prevaricazione e l’esclusione dell’altro. Essere nel mondo e non fuori dal mondo è un impegno importante di cui ogni individuo deve farsi carico, con responsabilità, perseveranza e determinazione.

Stare nel mondo è difficile, è oneroso, è un continuo “mettersi in gioco”. Il momento storico in cui viviamo è pieno di incoerenza, violenza, paure, incertezze. Ci troviamo di fronte ad una realtà “brutale”, dove ogni principio è calpestato ed ha perso il proprio valore. L’accoglienza, il dialogo, la solidarietà, l’amore sembrano essere diventati solo parole, concetti teorici: non da attuare nell’ordinarietà della vita ma da rendere concreti solo negli eventi straordinari, precludendo la possibilità ad ognuno di esistere con dignità e gioia. Facciamo parte di un sistema mondiale che non amministra con coscienza ciò che la Provvidenza di Dio ci ha donato.

Anzi, mette a repentaglio il Creato, dono del Signore che ci ha chiesto di custodire e curare con amore per il nostro benessere e quello di tutte le generazioni a venire. Per il “dio denaro” e il “dio potere”, questo bene, giorno dopo giorno, viene sfruttato in maniera impropria: le conseguenze sono catastrofi ambientali, carestie che affamano i popoli, diffusione di malattie a causa dell’inquinamento e la scomparsa di ambiti lavorativi che finora hanno permesso alle famiglie di vivere.

I potenti della Terra pensano ai propri interessi e non a quelli di tutto il genere umano, affamando e mortificando i poveri che gridano in silenzio ogni giorno la loro disperazione, sperando in un cambiamento. La politica nasce per andare incontro all’uomo, invece gli va contro. La decadenza di una società dipende da una cattiva conduzione politica e dall’indifferenza del popolo che accetta passivamente ogni sopruso, per ignoranza, per indifferenza, ma soprattutto perché non possiede una coscienza sociale.

 

Ai politici, ignoranza e indifferenza fanno comodo in quanto sono strumentali ai loro profitti e, di conseguenza, al loro potere.

Il compito di un missionario, oltre ad evangelizzare, è quello di formare nei poveri una coscienza sociale alla luce del Vangelo, combattere l’ignoranza, scuotere le coscienze dall’indifferenza.

Un vero politico deve essere una persona aperta alla comprensione e al gesto d’aiuto. Il panorama che ci offre la politica mondiale è tutt’altro: si alzano muri e si mettono reticolati per impedire a coloro che sono in difficoltà di ottenere un aiuto, di essere accolti, di essere salvati dalle torture, dalle sevizie, dalla schiavitù, dalla fame, dalla guerra. Assistiamo a scene già viste nel passato e che rivediamo in una giornata chiamata “della memoria”, per non dimenticare, per non rifare gli stessi errori: invece si vedono di nuovo persone trattate come bestie, chiuse in recinti, in luoghi improponibili ad ogni essere umano, al freddo, al gelo e sotto la pioggia battente.

Si vendono persone, si guadagna sulla loro vita, sfruttando le loro miserie e le loro sofferenze: queste persone sono i migranti.

A Tacanà, dove vivo da anni, incontro ogni giorno giovani che non hanno un futuro, che non posseggono prospettive di lavoro, che sono poveri, laceri, affamati, ammalati, emarginati, che lottano fino all’estremo delle loro forze contro la miserabile quotidianità della loro vita. Ognuno di loro, però, ha un sogno: emigrare negli Stati Uniti! Affrontano il deserto e sanno di rischiare la morte per gli stenti e la fatica, sanno di poter essere rapiti dai coyotes, uomini senza scrupoli che sequestrano coloro che emigrano, li sfruttano per lavori come la prostituzione e li inseriscono nella criminalità.

Nonostante questi rischi, i giovani partono lo stesso… Pochi riescono a giungere vivi alla meta e coloro che raggiungono il confine americano, ad un passo dalla realizzazione del loro sogno, trovano il famigerato muro. Un muro costruito dall’egoismo, dalla cattiveria dell’animo umano, dalla prevaricazione.

Ogni individuo deve avere la possibilità di costruirsi la vita che desidera, nel rispetto delle leggi e dell’altro: invece il sistema non rispetta l’identità della persona e non considera l’uomo in tutta la sua dignità, calpestandolo, mortificandolo, rendendolo povero, ignorante, fragile.

Assisteremo al miracolo di Dio quando cambierà il cuore dell’uomo, ma l’uomo dovrà predisporsi a questo cambiamento. Ogni politico, ogni potente della Terra dovrebbe imparare a “gettare bene le reti”, dal lato giusto della barca di cui Gesù parla nel suo Vangelo, alla luce degli insegnamenti etici e morali che sono racchiusi nel messaggio del Risorto.

Solo in questo modo si potranno tirare sulla barca le reti piene di pesci, capaci di sfamare tutta l’umanità e donare ad essa una vita piena, felice, dove possa esservi una distribuzione equa delle risorse della natura a tutti i popoli e dove possa regnare l’uguaglianza e l’amore. Bisogna arrivare a fare la volontà di Dio dando il “pane quotidiano” a tutti, attraverso il lavoro che dona dignità e rispetto di se stessi.

L’amore vero per l’altro nasce quando la volontà di donare supera il desiderio di voler prendere solo per se stessi. Coloro che detengono il potere, che hanno nelle loro mani le sorti di un Paese, che hanno la fiducia di un popolo che attende di avere il “pane quotidiano” da una politica corretta ed incorruttibile, con il proprio lavoro dovrebbero mettersi a servizio dell’altro, garantendo il “pane quotidiano” a tutti e non solo ad alcuni privilegiati e a se stessi.

Don Angelo Esposito, fidei donum della diocesi di Napoli

Tacanà (Guatemala)