La soluzione negoziale “uno Stato per due popoli” in Terra Santa non è «tecnicamente fattibile». Perchè i palestinesi dovrebbero essere «soggetto e non oggetto negoziale: qualsiasi soluzione diplomatica deve coinvolgere a pieno titolo la controparte palestinese. E io penso che i palestinesi il loro Stato lo vogliano. Gli accordi di pace non si fanno a tavolino: hanno bisogno di contesto». E di consenso che parta dal basso.

E’ quanto ha spiegato stamattina a Roma, padre Pierbattista Pizzaballa, Amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, nonchè Custode di Terrasanta dal 2004 al 2016. 

Padre Pizzaballa è intervenuto al convegno della Caritas Italiana dal titolo “Oltre i muri: comunità che si incontrano e si raccontano”. Nel corso del seminario è stato presentato il dossier “All’ombra del muro”, che illustra la realtà delle barriere difensive che dividono i popoli, come il Muro israeliano in Cisgiordania.

«Noi non possiamo dire ai palestinesi quale sarà il loro futuro senza coinvolgerli – ha precisato padre Pizzaballa – Se non si parte dal territorio e dalla gente qualsiasi soluzione è destinata a fallire».

In questo momento storico, ha poi aggiunto, è necessario «ricostruire la fiducia e lavorare sia al livello di leadership che di territorio, a piccoli passi; I grandi accordi sono tutti falliti».

Tra i motivi del fallimento dei vari round negoziali tra governo israeliano e Autorità Palestinese l’ex Custode di Terrasanta individua anche il «non aver coinvolto in quegli accordi i soggetti religiosi».

Padre Claudio Monge, teologo e parroco ad Istanbul, intervenuto alla tavola rotonda, ha spiegato dal canto suo che è estremamente fuorviante «ridurre il problema del Medio Orinete ad una lettura religiosa».

La parabola mediorientale e i conflitti al suo interno, compreso quello siriano e quello israelo-palestinese, non hanno come fulcro la religione, dice Monge, quanto piuttosto la politica.

Questo ci porta a ripensare le soluzioni: «La coesistenza (tra popoli ndr.) non é ontologicamente impossibile. Si continua invece a ragionare in termini religiosi identitari. Ma per costruire luoghi di vita inclusivi bisogna andare al di là delle politiche identitarie».

Il vero dialogo interreligioso, secondo Monge, non riguarda le dottrine ma il senso profondo della vita e del quotidiano.

«Spero che il vangelo non smetta mai di essere altamennte politico», ha detto.

Padre Monge invita soprattutto i media a «togliere al potere israeliano questa sorta di immunità storica», che lo porta a tacciare di antisemitismo tutto ciò che appare critico nei confornti della sua politica governativa.

Infine, una provocazione contraria al vittimismo identitario: «per ricostruire luoghi di vita inclusivi bisogna partire dall’abolizione del termine minoranze – dice Monge – e iniziare a parlare in termini di cittadinanza».

La tragedia siriana, ad esempio, «non é una tragedia cristiana ma umana». Sogniamo un progetto di società «dove le appartenenze confessionali vengano rimpiazzate dal concetto di cittadinanza», ha spiegato il parroco di Istanbul.