Evangelii  praecones – Lettera Enciclica, Pio XII

LETTERA ENCICLICA EVANGELII PRAECONES(1) DEL SOMMO PONTEFICE PIO XII AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,  PRIMATI,  ARCIVESCOVI,  VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI  CHE HANNO PACE  E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA: PER UN RINNOVATO IMPULSO DELLE MISSIONI.

Gli araldi dell’evangelo, che s’affaticano in campi sconfinati di lavoro  «perché la divina parola si diffonda e risplenda» (2 Ts 3, 1), sono in  particolar modo presenti nel Nostro animo oggi, mentre si compie il  venticinquesimo anniversario da quando il Nostro predecessore d’immortale  memoria Pio XI, inviando l’enciclica Rerum Ecclesiae (2) e dando in essa  sapientissime norme, cercò di promuovere sempre più le missioni  cattoliche. E il Nostro animo s’inonda di non poca gioia considerando  quanto questa causa santissima abbia progredito in questo spazio di tempo,  poiché, come già abbiamo avuto occasione di affermare il 24 giugno 1944,  parlando ai dirigenti delle Pontificie opere missionarie ammessi alla  Nostra presenza: «L’opera missionaria, così nei paesi già illuminati dalla  luce dell’evangelo, come nel campo stesso delle missioni, ha ottenuto un  tale impulso, una tale ampiezza esteriore, una tale vigoria interna, quali  forse non si sono mai riscontrati con eguale intensità nella storia delle  missioni» (3).

Oggi tuttavia, mentre corrono tempi torbidi e minacciosi e non pochi  popoli vengono divisi da contrastanti interessi, Ci sembra quanto mai  opportuno tornare a raccomandare ancora una volta questa causa, poiché i  missionari invitano tutti alla bontà umana e cristiana ed esortano a  quella fraterna solidarietà che supera i contrasti tra le genti e i  confini delle nazioni.

A questo riguardo, nella stessa udienza ai dirigenti di queste Opere,  dicemmo tra l’altro: «Il vostro carattere internazionale e la vostra  fraternità di lavoro rendono evidente e quasi palpabile quel segno  distintivo della chiesa cattolica, che è la negazione e il contrapposto  vivente della discordia, da cui le nazioni sono turbate e sconvolte:  vogliamo dire l’universalità della fede e dell’amore, al di là di tutti i  campi di battaglia e di tutte le frontiere degli stati, di tutti i  continenti e di tutti gli oceani, universalità che vi stimola e sprona  verso la meta cui tendete, di far coincidere i confini del regno di Dio  con quelli del mondo» (4).

Perciò cogliendo volentieri l’occasione del venticinquennio della  pubblicazione della lettera enciclica Rerum Ecclesiae, con profonda  soddisfazione dell’animo lodiamo il fecondo lavoro già compiuto ed  esortiamo tutti a progredire sempre con la massima alacrità; tutti,  diciamo, i venerabili confratelli nell’episcopato, i missionari, il clero,  i singoli fedeli, sia che lavorino in territori ancora da aprire alle  verità cristiane, sia che per ogni dove aiutino questa importantissima  causa, con supplici preghiere a Dio, o cooperando alla formazione dei  futuri missionari o anche raccogliendo offerte.

1. Progressi Per prima cosa conviene qui soffermarci brevemente sui progressi  felicemente ottenuti a tal riguardo. Nel 1926 le missioni erano  quattrocento, oggi sono circa seicento; i fedeli delle missioni non  superavano allora i 15 milioni, mentre oggi quasi raggiungono i 28  milioni. Nello stesso anno i missionari, computando insieme quelli esteri  e quelli del clero indigeno, erano circa 14.800, oggi sono più di 26.800.  Allora le missioni erano quasi tutte rette da sacri pastori provenienti  dall’estero; ora, in venticinque anni, 88 missioni sono passate al clero  indigeno; e in molti luoghi, essendo stata legittimamente costituita la  gerarchia con i vescovi scelti dalla propria gente, ancor più chiaramente  si fa manifesto che la religione di Cristo è veramente cattolica, e che  non si deve ritenere straniera rispetto a nessuna parte della terra.

Così, per esempio, nella Cina e in alcune parti dell’Africa è stata eretta  la gerarchia ecclesiastica, secondo le norme dei sacri canoni; sono stati  celebrati tre concili plenari di grandissima importanza, il primo in  Indocina nell’anno 1934, il secondo in Australia nel 1937, il terzo in  India nel 1950. Sono cresciuti molto in numero e importanza i seminari  minori per l’insegnamento delle prime discipline; e i seminaristi dei  seminari maggiori, che venticinque anni fa erano soltanto 1770, ascendono  al presente a 4300; inoltre sono stati fondati molti seminari regionali. A  Roma, presso il Collegio Urbano, è stato eretto l’«Institutum missionale»;  pure a Roma e altrove sono state istituite facoltà e cattedre di  missionologia. Parimenti è sorto, sempre in quest’alma città, il Collegio  di San Pietro, dove i sacerdoti indigeni ricevono una più profonda e  completa formazione nello studio, nella virtù, nell’apostolato. Sono poi  state fondate due università; i collegi di cultura media o superiore da  circa 1.600 sono saliti a più di 5.000; le scuole elementari e le medie  sono state quasi raddoppiate e altrettanto si può dire dei dispensari,  degli ospedali per la cura di ogni genere di malati, di infermi, non  esclusi i lebbrosi. A tutto ciò bisogna aggiungere ancora l’Unione  missionaria del clero che in questi anni ha avuto un grande incremento; è  stata fondata l’Agenzia Fides, che ha come scopo la ricerca, l’esame e la  divulgazione di notizie di carattere religioso; quasi dappertutto è in  aumento e si diffonde largamente la stampa missionaria; sono stati  celebrati vari Congressi missionari, tra i quali è da ricordare in  particolar modo quello tenuto in Roma nello scorso anno santo, che ha  chiaramente documentato l’estensione abbracciata dalle attività  missionarie; e recentemente è stato celebrato il congresso eucaristico di  Kumasi, nella Costa d’Oro in Africa, davvero straordinario per il concorso  di gente e per la profonda pietà; infine è stata da Noi stabilita una  giornata particolare da celebrarsi ogni anno, allo scopo di promuovere con  preghiere e offerte la Pontificia Opera della Santa Infanzia (5). Da ciò  risulta chiaro che le iniziative di apostolato hanno opportunamente  corrisposto, con metodi nuovi e più adatti, alle mutate condizioni e alle  accresciute necessità dei nostri tempi.

Non si deve nemmeno passar sotto silenzio che in questi venticinque anni  sono state erette canonicamente altre cinque delegazioni apostoliche, in  vari territori soggetti alla giurisdizione della Sacra Congregazione «De  propaganda fide»; vi sono poi territori ai quali si estende la competenza  di nunzi e internunzi apostolici. A questo proposito ci è gradito  affermare che la presenza e l’attività svolta da questi presuli ha già  date abbondantissimi frutti, ottenendo principalmente che le fatiche  apostoliche dei missionari, meglio coordinate e mediante un aiuto  scambievole, contribuissero al raggiungimento delle mete prefisse; alle  quali hanno contribuito, inoltre, non poco, anche i Nostri rappresentanti  con le frequenti visite e la partecipazione in nome Nostro alle frequenti  conferenze episcopali nelle quali la preziosa esperienza dei singoli  ordinari viene utilizzata a vantaggio di tutti e vengono elaborati in  comune più spediti e facili programmi di apostolato. Inoltre una maggiore  considerazione da parte delle autorità civili e dei non cattolici nei  confronti della religione cristiana è un altro vantaggio di questa  fraterna unione di fede e di opere.

Quanto abbiamo sin qui scritto con la massima brevità sullo sviluppo delle  missioni nel periodo di venticinque anni e che abbiamo potuto vedere  durante l’anno giubilare – quando tante schiere di pellegrini vennero a  Roma dalle lontane regioni evangelizzate dai missionari per implorare i  favori celesti e la Nostra benedizione – Ci muovono fortemente a ripetere  gli ardentissimi voti dell’apostolo delle genti nella lettera ai Romani:  «… per comunicarvi un po’ di grazia spirituale sì da esserne  fortificati, o meglio, per essere, in mezzo a voi, insieme confortati per  la reciproca fede vostra e mia» (Rm 1, 11-12).

Ci sembra che il divino Maestro ripeta a tutti quelle parole piene di  consolazione e di esortazione: «Alzate gli occhi e mirate i campi che già  biondeggiano per la messe» (Gv 4, 35). Ma poiché il numero dei missionari  è impari al bisogno dei nostri giorni, a tali parole risponde in qualche  modo l’invito dello stesso divin Redentore: «La messe è veramente  abbondante, ma gli operai sono pochi. Pregate, dunque, il padrone della  messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38).

Non senza profonda consolazione sappiamo anche che al presente si è  felicemente accresciuto, con grande speranza della chiesa, il numero di  coloro che per divina ispirazione si sentono chiamati all’alta funzione di  propagare in ogni angolo del mondo la buona novella. Moltissimo tuttavia  resta da fare e molto ancora rimane da impetrare da Dio, con supplichevoli  preghiere. Ripensando alle innumerevoli genti che sono da condurre  all’unico ovile e all’unico porto di salvezza per opera di questi  missionari, rivolgiamo al divin Pastore la preghiera dell’Ecclesiastico:  «Come al loro cospetto ti mostrasti santo verso di noi, così al cospetto  nostro mostrati grande verso di loro. Affinché conoscano, come noi pure  abbiam conosciuto, che non c’è Dio fuori di te, o Signore» (Eccli 36,  4-5).

2. Persecuzioni Questi salutari sviluppi della causa missionaria sono costati non soltanto  sacrifici e fatiche ai seminatori della divina parola, ma anche il  martirio cruento eroicamente sofferto. Nel corso di questi anni infatti  non mancarono in alcune nazioni persecuzioni crudelissime che infierirono  contro la chiesa ivi nascente; e anche ai nostri giorni in certe regioni  dell’estremo oriente non mancano cristiani che per questo motivo  imporporano santamente quelle terre col loro sangue. Ci è giunta infatti  notizia che non pochi fedeli, appunto perché furono e sono tuttora  fortemente attaccati alla loro fede, come pure suore, missionari,  sacerdoti indigeni e anche alcuni vescovi, sono stati espulsi dalla loro  sede e privati dei loro beni, e ora o languiscono esiliati nell’indigenza  o si trovano in stato di arresto, in carcere o in campi di concentramento,  oppure sono stati qualche volta barbaramente trucidati.

Il Nostro animo è pieno di somma tristezza quando pensiamo alle  sofferenze, ai dolori e alla morte di questi figli prediletti; e Noi non  solo li ricordiamo tutti con paterno affetto, ma anche con patema  venerazione, ben sapendo che la sublime vocazione missionaria spesso  conduce anche alla dignità del martirio. Gesù Cristo, primo tra i martiri,  disse: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20);  «Nel mondo avrete tribolazione, ma confidate; io ho vinto il mondo» (Gv  16, 33); «Se il grano di frumento caduto in terra non muore, resta  infecondo; ma se muore produce molto frutto» (Gv 12, 24-25).

Gli araldi e i propagatori della verità e della virtù cristiana, che  incontrano la morte lontani dalla patria nell’esercizio della loro eccelsa  missione, sono i semi dai quali a suo tempo, al cenno divino, germineranno  i più abbondanti frutti. Perciò san Paolo diceva: «Ci gloriamo nelle  tribolazioni» (Rm 5, 3); e san Cipriano, vescovo e martire, così  confortava ed esortava i cristiani dei suoi tempi: «Volle il Signore che  noi godessimo ed esultassimo nelle persecuzioni, perché durante le  persecuzioni si distribuiscono le corone della fede, si vede il valore dei  soldati di Dio, i cieli si dischiudono per i martiri. Non abbiamo infatti  dato il nome ad una milizia per pensare alla pace soltanto e ricusare il  combattimento, dal momento che nello stesso esercito per primo marciò il  Signore, maestro nell’umiliazione, nel sopportare, nel soffrire, per  essere il primo a praticare ciò che propose e per soffrire anticipatamente  per noi ciò che esorta a soffrire» (6).

Anche quei seminatori dell’evangelo che oggi si affaticano nelle lontane  regioni sviluppano un’azione non dissimile da quella della chiesa  primitiva. Essi sono quasi nelle stesse condizioni in cui a Roma erano  quelli che insieme con i prìncipi degli apostoli Pietro e Paolo portavano  la verità evangelica nel cuore dell’impero romano. Chiunque rifletta come  a quel tempo la chiesa nascente non era soccorsa da nessun appoggio umano,  ma travagliata dalle angustie, dalle tribolazioni.e dalle persecuzioni,  non può non sentirsi colpito da un’intensa ammirazione, vedendo quella  piccola schiera inerme di cristiani, vittoriosa su una potenza della quale  non sarebbe esistita, forse, alcuna più grande. Ciò che allora avvenne,  senza dubbio si rinnoverà più volte. Come il giovanetto David, confidando  nell’aiuto divino più che nella sua fionda, abbatté il gigante Golia,  rivestito di ferrea armatura, così quella divina società fondata da Cristo  non potrà mai esser vinta da un potere terreno, ma con sereno animo  supererà sempre ogni persecuzione. Benché Noi sappiamo con certezza che  tutto ciò scaturisce dalle divine infallibili promesse, tuttavia non  possiamo fare a meno di manifestare il Nostro animo riconoscente a tutti  coloro che hanno dato una testimonianza di fede coraggiosa e invitta a  Cristo e alla chiesa, colonna e fondamento di verità (cf. 1 Tm 3, 15),  esortandoli in pari tempo a procedere sempre con la stessa perseveranza  nella via intrapresa.  Molto spesso Ci giungono, con grande Nostra consolazione, notizie di  quest’invincibile fede e strenua fortezza. E se non mancarono tentativi di  separare i figli della chiesa cattolica dall’unione con Roma e con questa  apostolica sede, quasi che ciò fosse richiesto dall’amore e dalla fedeltà  dovuta verso la propria nazione, costoro con assoluta franchezza hanno  potuto e possono rispondere che nell’amor di patria essi non sono da meno  di nessun altro cittadino; desiderano però con somma sincerità di poter  usufruire di una giusta libertà.

3. Il lavoro da compiere Ma è necessario aver presente quanto già sopra abbiamo accennato: che cioè  quanto ancora resta da fare in questo campo richiede, senza dubbio, un  lavoro immenso e un gran numero di operai. Ricordiamo che i nostri  fratelli che «siedono nelle tenebre e all’ombra della morte» (Sal 106, 10)  sono una moltitudine immensa che s’aggira sul miliardo. Perciò sembra che  ancora risuoni il gemito inenarrabile del cuore amantissimo di Gesù  Cristo: «E ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle  bisogna che io conduca; e daranno ascolto alla mia voce e si farà un solo  ovile e un solo pastore» (Gv 10, 16).

Ben sapete, venerabili fratelli, che vi sono pastori che si sforzano di  strappare le pecore da quest’unico ovile, da quest’unico porto di  salvezza; e vi è pur noto quanto un tale pericolo in qualche luogo si  faccia sempre più grave. Perciò Noi, meditando davanti a Dio su questa  sterminata moltitudine di uomini che non conosce ancora la verità  dell’evangelo, e insieme considerando, com’è giusto, quel grave pericolo  verso cui tanti sono sospinti o per la diffusione del materialismo ateo, o  per una certa dottrina che usurpa il nome cristiano e che realmente  risente degli errori e delle dottrine del comunismo, Ci sentiamo spinti  con impellente urgenza e con ansia promuovere in ogni dove e con ogni  sforzo le opere dell’apostolato, riconoscendo come rivolta direttamente a  Noi l’esortazione del profeta: «Grida, non darti posa, alza la tua voce  come una tromba» (Is 58, 1).

Raccomandiamo a Dio; con supplichevoli preghiere, in modo particolare gli  apostoli che faticano nelle sacre missioni nell’interno dell’America  Latina, sapendo da quali pericoli e insidie essi siano minacciati, più o  meno palesemente, da parte delle sètte non cattoliche.

4. Il missionario Affinché l’opera dei missionari riesca sempre più efficace e neppure una  stilla del loro sudore e del loro sangue vada perduta, torna opportuno  spiegare qui brevemente i principi e le norme direttive che devono reggere  la diligente opera dei missionari.

Per prima cosa è da considerare che chi per un’ispirazione celeste sente  di essere chiamato a educare nella verità dell’evangelo e delle virtù  cristiane le lontane regioni pagane, è destinato a un compito  assolutamente grande e sublime. Egli infatti consacra a Dio la vita,  perché il suo regno si propaghi sino agli ultimi confini della terra. Egli  non cerca le cose proprie ma quelle di Cristo (cf. Fil 2 21). Egli infine  riferisce a sé in modo del tutto speciale quel bellissimo pensiero  dell’apostolo delle genti: «Noi facciamo le veci di ambasciatori di  Cristo» (2 Cor 5, 20). «Pur vivendo nella carne non militiamo però secondo  la carne» (2Cor 10,3). «Mi sono fatto debole coi deboli, per guadagnare i  deboli» (l Cor 9, 22). Deve pertanto considerare quasi una seconda patria  e amare con debito amore quella regione nella quale si reca per portare la  luce dell’evangelo, e quindi non cerchi compensi terreni, né vantaggi per  la sua nazione o per il suo istituto religioso, ma piuttosto la salvezza  delle anime. Egli deve certamente amare con intenso amore la propria  stirpe e la propria famiglia religiosa, ma con ardore ancora più grande la  chiesa, memore che niente cosa potrà giovare al suo istituto se contrasta  col bene della chiesa.

È necessario inoltre che i chiamati all’apostolato missionario mentre  ancora sono in patria non solo attendano a una formazione completa nel  campo della virtù e delle scienze ecclesiastiche, ma anche apprendano  quelle cognizioni di ordine culturale e tecnico che in seguito potranno  essere loro di grandissima utilità, una volta divenuti messaggeri  dell’evangelo nelle missioni. Bisogna perciò che conoscano bene le lingue,  specialmente quelle che sul posto saranno loro necessarie, e che abbiano  sufficiente pratica e nozioni scientifiche in medicina, in agricoltura, in  etnografia, in storia, in geografia e scienze affini.

5. Lo scopo delle missioni Lo scopo principale di ogni missione, come ognuno sa, è quello di far più  chiaramente risplendere in mezzo a nuovi popoli la luce della verità  cristiana, in modo che si abbiano nuovi seguaci di Cristo. Per raggiungere  questo fine supremo è necessario – e non deve mai esser perso di vista –  che la chiesa si stabilisca su solide fondamenta presso gli altri popoli e  venga costituita con propria gerarchia formata di clero indigeno.

Nella lettera del 9 agosto 1950 indirizzata al diletto figlio Nostro  Pietro Fumasoni Biondi, cardinale presbitero di santa romana chiesa,  prefetto della Sacra Congregazione «De propaganda fide» affermavamo tra  l’altro che «la chiesa non ha alcun proposito di dominio sui popoli, o di  voler comandare in cose meramente temporali, mentre è infiammata  dall’unica ansia di portare la suprema luce della fede a tutte le genti,  di promuovere la civiltà umana e la fraterna concordia dei popoli» (7).

Nella lettera apostolica Maximum illud (8) del 1919 di Benedetto XV,  Nostro predecessore di immortale memoria, e parimente nell’enciclica Rerum  ecclesiae (9) di Pio XI, immediato Nostro predecessore di felice memoria,  si annunciava che le sacre missioni, quasi come a scopo supremo dovessero  mirare alla costituzione della chiesa nelle nuove terre. E Noi stessi,  nella ricordata udienza alle Opere missionarie del 1944, dicemmo: «Il  grande scopo delle missioni è di stabilire la chiesa nelle nuove terre e  di farle ivi mettere salde radici, tanto da poter un giorno vivere e  svilupparsi senza il sostegno dell’Opera delle missioni. L’Opera delle  missioni non è scopo a sè medesima: essa tende con ardore a quell’alto  fine, ma si ritira quando questo è stato raggiunto» (10). «L’opera  missionaria non si accontenta di assicurare e proteggere le sue posizioni.  Il suo scopo è di fare di tutto il mondo una terra santa. Essa mira a  portare il regno del Redentore risorto, a cui è stata data ogni potestà in  cielo e in terra (cf. Mt 28,18), il suo impero sui cuori attraverso tutte  le regioni sino all’ultima capanna e all’ultimo uomo, che abita il nostro  pianeta» (11).

6. Il clero indigeno Naturalmente non è possibile dare una congrua e opportuna stabilità alla  chiesa in nuove regioni, se non vi sia pure una sufficiente e  proporzionata organizzazione di opere e principalmente se non si dispone  del necessario clero indigeno, debitamente preparato e formato. Per questa  ragione vogliamo ripetere di nuovo e far Nostre le gravi e profonde  espressioni dell’enciclica Rerum Ecclesiae: «Se ciascuno di voi deve  procurarsi il maggior numero possibile di chierici indigeni, dovete  inoltre studiarvi di indirizzarli e formarli alla santità che si addice al  grado sacerdotale e a quello spirito di apostolato congiunto allo zelo  della salute dei propri fratelli, che li renda pronti a dare persino la  vita per i membri della propria tribù e nazione» (12).

«Supponiamo che per una guerra o per altri avvenimenti politici nel  terrìtorio di una missione si soppianti un governo con un altro e si  chieda o si decreti l’allontanamento dei missionari stranieri di una  determinata nazione; supponiamo inoltre – cosa certo più difficile ad  avverarsi – che gli indigeni, raggiunto un grado più alto di civiltà e  maturità civile, vogliano, per rendersi indipendenti, cacciare dal loro  territorio governatori, soldati e missionari della nazione straniera da  cui dipendono, e che non possano farlo se non ricorrendo alla violenza.  Quale rovina, domandiamo, sovrasterebbe allora in quei paesi alla chiesa  se non si fosse provveduto pienamente alle necessità della popolazione  convertita a Cristo, disponendo come una rete di sacerdoti indigeni per  tutto quel territorio?» (13).

Noi siamo profondamente addolorati nel rilevare, purtroppo, come quelle  cose che il Nostro immediato predecessore scriveva con animo quasi  presago, siano ora divenute una realtà in non poche regioni dell’estremo  oriente. Là infatti missioni fiorentissime, già biondeggianti per la  mietitura (cf. Gv 4, 35), gemono ora, purtroppo, nelle più dure  tribolazioni. Oh, potessimo Noi sperare che il popolo coreano e quello  cinese, tanto ricchi d’innata nobiltà e gentilezza d’animo e celebri per  lo splendore della loro antica civiltà, siano al più presto liberati non  solo dalle rivoluzioni e da scontri guerreschi, ma ancora da quella  perniciosa dottrina che, solo contenta della terra, rinnega le cose  celesti; e così apprezzino giustamente la carità e la forza d’animo dei  missionari esteri e dei sacerdoti indigeni che, a costo di sacrifici e  della loro stessa vita, se occorre, non cercano altro che il vero bene del  popolo! Dobbiamo ringraziare incessantemente il Signore, che in queste due nazioni  sia già stato formato a speranza della chiesa un numeroso clero locale, e  non poche diocesi vi siano state affidate a vescovi indigeni. Se a tanto  si è potuto finalmente arrivare, ciò deve ascriversi a lode dei missionari  esteri.

A questo proposito, crediamo opportuno suggerire alcune norme, che giova  tener presenti quando qualche sacra missione già retta da missionari  esteri passa sotto la cura e il regime del clero e dell’episcopato locale.  Quegli istituti religiosi, i cui membri col proprio sudore hanno dissodato  il campo del Signore, non è necessario che lo abbandonino completamente  quando, ormai ricco di frutti, la Sacra Congregazione «de propaganda fide»  credesse conveniente affidarlo ad altri lavoratori; faranno invece cosa  utile e conveniente se vorranno rimanere a collaborare con il nuovo  vescovo locale. Come infatti nelle altre diocesi del mondo cattolico i  religiosi coadiuvano per lo più gli ordinari del luogo, così nelle  missioni i religiosi esteri come milizia ausiliaria non si stancheranno di  combattere la santa battaglia e in tal maniera ben attueranno le parole  del divino Maestro presso il pozzo di Sichar: «Chi miete già riceve la  mercede e raccoglie frutto per la vita eterna, onde si rallegra parimenti  chi miete e chi semina» (Gv 4, 36).

7. L’azione cattolica nelle missioni Desideriamo inoltre con la presente enciclica rivolgere la Nostra parola e  la Nostra esortazione non solo ai missionari, ma anche a quei laici che  «con cuore grande e animo volenteroso» (2 Mac 1, 3), militando nelle file  dell’Azione cattolica si adoperano ad aiutare i missionari.

Possiamo senz’altro affermare che la collaborazione dei laici, che oggi si  chiama Azione cattolica, non è mai mancata fin dai primordi della chiesa,  ma ha sempre apportato un prezioso aiuto agli apostoli e agli altri  propagatori dell’evangelo e un valido contributo allo sviluppo della  religione cristiana. A questo riguardo, l’apostolo delle genti ricorda  Apollo, Lidia, Aquila, Priscilla, Filemone; egli stesso scrive ai  Filippesi: «Prego anche te, compagno fedele, porgi aiuto a queste, che  hanno combattuto con me per l’evangelo insieme con Clemente e con gli  altri miei collaboratori, i nomi dei quali sono nel libro della vita» (Fil  4, 3).

Del pari a tutti è noto che l’idea cristiana si propagò per le vie  consolari non solo per lo zelo dei vescovi e dei sacerdoti, ma anche per  l’opera dei magistrati civili, dei soldati e dei privati cittadini. Molte  migliaia di credenti, di recente venuti alla fede, dei quali oggi si  ignorano i nomi, animati dal desiderio ardentissimo di diffondere la nuova  religione da essi abbracciata, cercarono di prepararle la strada, di modo  che dopo circa cento anni il nome e le virtù cristiane avevano già  raggiunto tutti i centri più importanti dell’impero romano.

San Giustino, Minucio Felice, Aristide, il console Acilio Glabrione, il  patrizio Flavio Clemente, san Tarcisio e quasi innumerevoli altri santi e  sante martiri, avendo consolidato e fecondato la chiesa primitiva con le  proprie fatiche e col proprio sangue, possono in certo modo chiamarsi gli  antesignani e i precursori dell’Azione cattolica. Ci piace qui riferire  quella bellissima espressione dell’autore della Lettera a Diogneto, che  sembra conservare un ammonimento anche per i nostri giorni: «I cristiani  … sono nella loro patria come inquilini; … ogni terra straniera per  loro è patria, e ogni patria per loro è straniera» (14).

Nel medioevo, con l’invasione dei barbari, sono prìncipi e principesse,  oppure umili artigiani e forti popolane, che si consacrano per convertire  i loro popoli alla religione di Gesù Cristo, per conformare ad essa i loro  costumi e per difendere la religione e la patria nel momento del pericolo.  Come ci tramanda la storia, accanto al Nostro immortale predecessore san  Leone Magno, il quale coraggiosamente fermò Attila, che invadeva l’Italia,  c’erano due consolari romani. A Parigi, mentre la città viene assediata  dalle orde terribili degli Unni, una vergine, santa Genoveffa, che vive di  continue preghiere e di aspra penitenza, con ammirabile carità si  sacrifica tutta alla cura dei corpi e delle anime dei suoi concittadini.  Teodolinda, regina dei Longobardi, prepara con zelo la via alla  conversione della sua gente. In Spagna, il re Recaredo cerca di ricondurre  il suo popolo dall’eresia ariana alla vera fede. In Francia, accanto ai  grandi vescovi, come Remigio di Reims, Cesario di Arles, Gregorio di  Tours, Eligio di Noyon e tanti altri celebri per la loro virtù e il loro  zelo, vediamo in quei tempi anche regine insegnare la dottrina cristiana  al popolo e agli ignoranti, nutrire, sollevare e confortare gli infermi,  gli affamati e i miseri d’ogni specie; e, per citare qualche esempio,  Clotilde attira e sollecita l’animo di Clodoveo verso la religione  cattolica sì da condurlo a ricevere con entusiasmo il santo battesimo;  Radegonda e Batilde si dedicano con somma carità all’assistenza degli  ammalati e anche alla cura dei lebbrosi. In Inghilterra, la regina Berta  accoglie sant’Agostino, apostolo di quella terra, e con diligenza dispone  suo marito Etelberto ad accogliere la morale evangelica. Appena  convertiti, gli anglosassoni nobili e plebei, uomini e donne, giovani e  vecchi, come spinti da un impulso divino, costituiscono un’unione  strettissima con la sede apostolica, fatta di pietà, di fedeltà e di  obbedienza.  Uno spettacolo ugualmente meraviglioso ci viene offerto in Germania,  quando san Bonifacio e i suoi collaboratori percorrono nei loro apostolici  viaggi quelle terre, fecondandole generosamente con i loro sudori. Uomini  e donne di quel popolo nobile e forte con generoso entusiasmo collaborano  intensamente con i monaci, con i sacerdoti e con i vescovi, per diffondere  sempre più estesamente la luce dell’evangelo in quelle regioni vastissime,  e per promuovere sempre più la pratica della morale e della santità  cristiana non senza ubertosi frutti di salvezza.

In ogni tempo, quindi, la chiesa cattolica non solo per lo zelo indefesso  del clero, ma anche per la collaborazione del laicato chiamato in aiuto,  ha potuto dare nuovi incrementi alla religione e condurre i popoli a una  maggiore prosperità anche nel campo sociale. Tutti conoscono quanto in ciò  operarono, in Germania santa Elisabetta Landgravia di Turingia, il re san  Ferdinando nella Castiglia e infine san Luigi IX nella Francia; essi  mediante la loro santità e la loro operosa attività esercitarono un  salutare influsso in ogni ceto sociale, con benefiche iniziative, con la  più vasta propagazione della fede, con la strenua difesa della chiesa e  soprattutto facendosi esempio a tutti. Né è sconosciuto tutto il cumulo di  meriti guadagnati dalle associazioni laiche nel medioevo. Esse  comprendevano artigiani e operai d’ambo i sessi che, pur rimanendo nel  mondo, miravano a una vita conforme all’ideale altissimo della perfezione  evangelica, cercando di tradurlo in pratica essi stessi, e col clero,  contribuendo all’elevazione spirituale di tutti gli altri.

Ebbene, le condizioni della chiesa primitiva si riflettono ancora oggi in  molte parti in terra di missione; o per lo meno quei popoli si trovano a  dover far fronte alle medesime necessità cui dovevano provvedere i  cristiani nei secoli che seguirono. Perciò è assolutamente necessario che  nelle missioni i laici, affluendo numerosissimi nelle file dell’Azione  cattolica, collaborino con generosità, diligenza e infaticabile operosità  con l’apostolato gerarchico del clero. Certamente l’opera dei catechisti è  necessaria, e ad essi desideriamo dare la meritata lode ma non meno  necessaria è l’azione gratuita prestata con diligenza da quei cristiani  che, animati unicamente dalla carità divina, si offrono ad aiutare i  sacerdoti nel loro ministero.

Perciò raccomandiamo vivamente che per quanto è possibile si stabiliscano  dappertutto associazioni cattoliche di uomini e di donne, associazioni di  studenti, di operai, di artigiani, ginniche e sportive, nonché tutti  quegli altri sodalizi e pie unioni che possono chiamarsi quasi forze  ausiliarie dei missionari. Nel costituirle e nel promuoverle, però, si  tenga conto e stima dell’onestà, della virtù e dello zelo dei loro membri  più che del numero.

È da notare inoltre che i missionaria per guadagnare la fiducia dei  genitori, non hanno miglior mezzo che quello di aver cura diligentissima  dei loro figli. Questi, crescendo nello spirito e nella pratica cristiana  della vita saranno la forza, il decoro e l’ornamento non solo della  propria famiglia, ma pure di tutta la comunità; riusciranno anzi spesso a  riaccendere felicemente il primitivo fervore di qualche cristianità, se  per caso esso si sia affievolito.

Sebbene poi, come tutti sanno, l’attività dell’Azione cattolica debba  adoperare le sue forze specialmente nel campo dell’apostolato, ciò non  toglie che gli stessi soggetti possano far parte anche di associazioni che  hanno lo scopo di conformare la vita sociale e politica ai principi e alle  norme dell’evangelo; anzi a ciò sono chiamati dai loro diritti e dai loro  doveri non solo di cittadini ma anche di cattolici.

8. Scuole e stampa Inoltre, poiché i giovani, soprattutto coloro che si dedicano allo studio  delle lettere, delle scienze e delle arti, saranno un giorno la parte  dirigente della generazione futura e della società, è facile comprendere  la grandissima cura che si deve avere nel moltiplicare le scuole e i  collegi. Perciò con animo paterno raccomandiamo ai superiori delle  missioni di non risparmiare mezzi, cure e fatiche a questo scopo.

Le scuole infatti offrono ai missionari il grande vantaggio di stabilire  utili contatti con tutto il mondo pagano, e soprattutto di attrarre più  facilmente la gioventù, malleabile come cera, a comprendere, stimare e  abbracciare la dottrina cattolica. Questi giovani in tal maniera educati  saranno i futuri reggitori della cosa pubblica, e la massa del popolo li  seguirà come guide e maestri. L’apostolo delle genti predicò l’altissima  sapienza dell’evangelo anche davanti ai più dotti, come quando  nell’areopàgo di Atene parlò agli astanti del Dio ignoto. E se anche in  questa maniera non saranno frequenti le conversioni alla pratica della  morale del divin Redentore, molti tuttavia saranno soavemente commossi nel  considerare la celestiale bellezza di questa religione e la carità dei  suoi seguaci.

Le scuole poi e i collegi sono utilissimi per confutare tutti quegli  errori che vengono diffusi ogni giorno più, soprattutto per opera degli  acattolici e dei comunisti, e vengono istillati più o meno apertamente  specialmente nelle anime giovanili.

Non meno utile è la produzione e la diffusione della buona stampa. Non  crediamo tuttavia necessario soffermarci molto intorno a questo argomento,  poiché a tutti è noto quanto sia grande l’influenza della stampa  quotidiana e periodica, sia per mettere convenientemente in luce la verità  e inculcare negli animi la virtù cristiana, sia per scoprire gli errori  che si presentano sotto mentite apparenze di verità, sia ancora per  confutare quelle false esposizioni che contrastano con la religione ovvero  propongono inopportunamente, con grave danno delle anime, accese dispute  su argomenti sociali. Perciò caldamente lodiamo i pastori di anime che si  preoccupano di diffondere il più largamente possibile tali scritti, ben  composti e bene stampati. In questo campo molto si è operato, molto però  resta ancora da fare.

9. Assistenza sanitaria Ci piace ancora raccomandare qui assai vivamente le iniziative e le opere  sanitarie e assistenziali d’ogni genere, quali gli ospedali, i lebbrosari,  i dispensari, i ricoveri dei vecchi e i luoghi destinati alle opere di  assistenza per la maternità e infanzia e per tutti i bisognosi di  qualsiasi aiuto. Queste opere Ci sembrano i fiori più belli del giardino  della carità missionaria, e richiamano alla mente lo stesso divin  Redentore che «passò beneficando e sanando tutti» (At 10, 38).

Senza dubbio tutte queste opere insigni di carità hanno un’efficacia somma  per preparare gli animi degli infedeli e disporli a ricevere la fede  cristiana, e a praticarne gli insegnamenti; Gesù infatti disse agli  apostoli: «Entrando in una città, se vi accolgono … guarite gli infermi  che ci sono, e dite loro: Sta per venire a voi il regno di Dio» (Lc 10,  8-9).

È necessario tuttavia che i missionari e le suore, che si sentono chiamati  a prestare un giorno efficacemente questi soccorsi, si procurino, mentre  sono ancora in patria, quella preparazione tecnica e culturale richiesta  oggi in questi campi. Sappiamo che non mancano suore diplomate, le quali  meritano una particolare lode per essersi applicate allo studio specifico  di orribili morbi, quali la lebbra, e per averne trovato convenienti  rimedi. Ad esse, come pure a tutti quei missionari che prestano  generosamente la loro opera nei lebbrosari, vadano la Nostra paterna  benedizione e la Nostra profonda ammirazione per la loro sublime carità.

Per l’esercizio poi della medicina e della chirurgia, gioverà cercare  anche ausiliari laici, che non solo siano provvisti dei necessari diplomi  e disposti a lasciare la patria per aiutare i missionari, ma che per la  loro condotta e la capacità professionale corrispondano al loro ufficio.

10. Assistenza sociale Passiamo ora a un’altra questione non meno grave e importante: vogliamo  cioè precisare alcune norme che riguardano l’ordinamento cristiano della  società secondo i principi della giustizia e della carità. Mentre  l’ideologia comunista, oggi dappertutto diffusa, facilmente inganna  l’animo semplice e incolto del popolo, a Noi sembra di udire le parole di  Gesù: «Mi fa compassione questo popolo» (Mc 8, 2). È assolutamente  necessario mettere in pratica con somma diligenza e zelo i santi principi  della sociologia insegnati dalla chiesa. Bisogna senz’altro preservare i  popoli, o guarirli se ne fossero contaminati, da quelle perniciose  dottrine che assegnano agli uomini come unico scopo di questa vita il  godimento dei piaceri terreni e, affidando al potere arbitrario dello  stato l’acquisto e l’uso d’ogni proprietà, deprimono talmente la dignità  della persona umana da distruggerla quasi completamente. Occorre insomma  inculcare a tutti in pubblico e in privato che noi siamo esuli in cammino  verso una patria immortale, e siamo destinati a una vita eterna e a  un’eterna felicità che, dietro la guida della verità e mettendo in pratica  la virtù, dobbiamo un giorno conseguire. Solo Cristo è vindice della  giustizia umana e consolatore dolcissimo degli inevitabili dolori della  vita presente; egli solo ci mostra il porto della pace, della giustizia,  del gaudio eterno, al quale tutti, redenti dal suo sangue, dobbiamo  arrivare dopo questa vita terrena.

Però è dovere per tutti ridurre, lenire e alleviare per quanto è possibile  le angustie, le miserie e i dolori dei fratelli anche in questa vita  terrena.

La carità potrà portare certamente un qualche rimedio a molte ingiustizie  sociali, ma non basta; anzitutto bisogna che fiorisca, domini e sia  realmente applicata la virtù della giustizia.

A questo proposito, Ci piace riportare le parole da Noi pronunciate  davanti al sacro collegio cardinalizio e ai vescovi e prelati nel  messaggio natalizio del 1942: «… La chiesa condannò i vari sistemi del  socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com’è suo dovere e diritto  permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono  a repentaglio la salvezza eterna. Ma la chiesa non può ignorare o non  vedere, che l’operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si  urta spesso contro qualcosa, che, lungi dall’essere conforme alla natura,  contrasta con l’ordine di Dio e con lo scopo, che egli ha assegnato per i  beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose  le vie che si seguirono, chi, e soprattutto quale sacerdote o cristiano  potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e che, nella  condizione comune, invoca da un Dio giusto giustizia e spirito di  fratellanza? Ciò sarebbe un silenzio colpevole e ingiustificabile davanti  a Dio, e contrario al senso illuminato dell’apostolo, il quale, come  inculca che bisogna essere risoluti contro l’errore, sa pure che si vuol  essere pieni di riguardo verso gli erranti e con l’animo aperto per  intenderne aspirazioni, speranze e motivi… La dignità della persona  umana esige dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il  diritto all’uso dei beni della terra; a cui risponde l’obbligo  fondamentale di accordare una proprietà privata, possibilmente a tutti. Le  norme giuridiche positive, che regolano la proprietà privata, possono  mutare e accordare un uso più o meno circoscritto; ma se vogliono  contribuire alla pacificazione della comunità, dovranno impedire che  l’operaio, che è o sarà padre di famiglia, venga condannato a una  dipendenza e servitù economica, inconciliabile con i suoi diritti di  persona.

Che questa servitù derivi dal prepotere del capitale privato o dal potere  dello stato, l’effetto non muta; anzi, sotto la pressione di uno stato che  tutto domina e regola l’intera vita pubblica e privata, penetrando fin nel  campo delle concezioni e persuasioni e della coscienza, questa mancanza di  libertà può avere conseguenze ancora più gravose, come l’esperienza  manifesta e testimonia» (15).

Sta ora a voi, venerabili fratelli, che vi affaticate nei territori di  missione, far di tutto perché questi principi e queste norme vengano  tradotti nella pratica. Tenendo conto delle varie circostanze locali, voi,  consultandovi nelle conferenze episcopali, nei sinodi e in altre riunioni,  siate solleciti di dar vita secondo le vostre possibilità a tutte quelle  associazioni, unioni e istituzioni di carattere sociale ed economico che  venissero richieste dai tempi e dalla particolare indole dei popoli a voi  affidati. Ciò, senza dubbio, è una esigenza del vostro pastorale  ministero, affinché il vostro gregge, travolto da nuove concezioni che si  presentano sotto le apparenze della giustizia e della verità, e sospinto  da cattivi impulsi, non venga traviato dal retto cammino. I propagatori  della fede che vi accompagnano nel vostro illuminato lavoro devono essere  modelli e maestri a tutti anche nell’azione sociale: «I figli di questo  secolo sono più prudenti di quelli della luce» (Lc 16, 8). Sarà opportuno  però che i missionari si servano, per quanto è possibile, dell’opera dei  laici cattolici particolarmente onesti e competenti, per intraprendere e  promuovere iniziative di tal genere.

11. Contro l’esclusivismo territoriale e giurisdizionale Nei secoli passati il campo vastissimo dell’apostolato missionario non era  confinato entro particolari circoscrizioni ecclesiastiche, né veniva posto  sotto le cure dei vari ordini o congregazioni religiose e del crescente  clero indigeno. E così avviene per lo più tuttora, come a tutti è noto; ma  talvolta accade pure che alcune regioni vengano affidate ai religiosi di  una particolare provincia del medesimo istituto. Vediamo senza dubbio  l’utilità di tutto ciò, poiché in questa maniera l’organizzazione  missionaria acquista più ordine e agilità. Può accadere, tuttavia, che da  questo modo di procedere sorgano inconvenienti e danni non lievi, ai  quali, per quanto è possibile, è opportuno rimediare. Già i Nostri  predecessori si occuparono di questo argomento nelle lettere citate (16) e  in tal materia stabilirono norme sapientissime, che Ci piace ripetere e  confermare, paternamente esortandovi affinché «per l’esemplare zelo che vi  anima, per la religione e la salvezza delle anime», accogliate «docilmente  e con cuore disposto a pronta ubbidienza un’ultima e importantissima  raccomandazione. I territori della Santa Sede affidati alla cura vostra  operosa perché voi li rechiate alla legge di Cristo, sono per lo più di  grande estensione. Può dunque accadere che il numero dei missionari  appartenenti al vostro particolare istituto sia di gran lunga inferiore al  bisogno. In tal caso, come nelle diocesi bene stabilite sogliono venire in  aiuto ai vescovi operai appartenenti a diverse famiglie religiose, o di  sacerdoti o di laici, suore di diverse congregazioni, così voi,  trattandosi della propagazione della fede, dell’educazione della gioventù  indigena e di altre simili imprese, non dovete esitare a invitare e  accogliere come compagni di lavoro religiosi e missionari, benché di altro  istituto, siano essi sacerdoti, siano membri di congregazioni laicali. Sta  bene che gli ordini e le congregazioni religiose si glorino e della  missione tra i pagani loro affidata e delle conquiste finora procurate al  regno di Cristo; ma si ricordino, che i territori delle missioni non sono  da essi posseduti in forza di un diritto esclusivo e perpetuo, ma che li  posseggono a beneplacito della Santa Sede, la quale ha perciò il diritto e  il dovere di provvedere che vengano rettamente e pienamente coltivati. Né  il romano pontefice adempirebbe tale dovere se si restringesse unicamente  a distribuire territori di maggiore o minore estensione a questo o a  quell’altro istituto; ma, ciò che più conta, sempre e con ogni diligenza  deve procurare che questi istituti inviino nelle regioni loro affidate  tanti e soprattutto tali missionari, che possano bastare a un lavoro  efficace per illuminarle bene in tutta la loro ampiezza con la luce della  verità» (17).

12. Rispetto per ciò che c’è di buono nella civiltà e nei costumi dei  diversi popoli Vi è un altro punto ancora che è Nostro vivo desiderio di presentare a  tutti nella luce più chiara. È stata norma sapientissima, costantemente  seguita dalla chiesa, dalle origini ai nostri giorni, che l’evangelo non  dovesse distruggere né soffocare ciò che vi fosse di buono, di onesto e di  bello nell’indole e nei costumi dei vari popoli che lo avevano  abbracciato. La chiesa nel condurre i popoli a una civiltà più elevata  sotto l’influsso della religione cristiana, non si comporta come chi senza  alcuna distinzione taglia, abbatte e distrugge una selva lussureggiante,  ma piuttosto come chi innesta nuovi sani virgulti sui vecchi ceppi,  affinché possano a loro tempo produrre e maturare frutti più squisiti e  delicati.

La natura umana, sebbene viziata dalla tara ereditaria del triste peccato  di Adamo, conserva ancora un fondo naturalmente cristiano (18), che  illuminato dalla luce divina e plasmato dalla grazia può essere elevato ad  atti di virtù vera, e un giorno alla vita eterna.

Perciò la chiesa cattolica non disprezzò o rigettò completamente il  pensiero pagano, ma piuttosto, dopo averlo purificato da ogni scoria di  errore, lo completò e lo perfezionò con la sapienza cristiana. Così pure  accolse benevolmente il progresso nel campo delle scienze e delle arti,  che in alcuni luoghi raggiunse altezze veramente sublimi, e lo perfezionò  diligentemente innalzandolo a fastigi di bellezza forse prima mai  raggiunti. E neppure soppresse del tutto i costumi e le antiche  istituzioni dei popoli, ma in qualche maniera li consacrò; le stesse feste  pagane, trasformate nel significato e nel rito, piegò a celebrare le  memorie dei martiri e i divini misteri. A questo riguardo molto  egregiamente si esprime san Basilio: «Come i tintori preparano prima con  cura ciò che si deve tingere, e poi lo colorano di porpora o di qualche  altra tinta, nella stessa maniera anche noi, se vogliamo conservare per  sempre indelebile la gloria dell’onestà, prima iniziati allo studio di  queste dottrine profane, apprenderemo poi i segreti delle scienze sacre: e  abituati a contemplare il sole riflesso nell’acqua, alzeremo in tal  maniera lo sguardo al sole raggiante. … Certamente, com’è essenziale per  l’albero produrre frutti a suo tempo, e tuttavia anche le foglie che si  muovono intorno ai rami gli offrono un qualche ornamento; così anche per  l’anima il frutto essenziale è la verità, ma non si deve disprezzare la  veste della dottrina profana che rassomiglia a quelle foglie che dànno al  frutto ombra e aspetto piacevole. Perciò si dice che anche il grande Mosè,  celeberrimo sopra tutti per la sua sapienza, si esercitò in tutte le  scienze degli egiziani, prima d’innalzarsi alla contemplazione di “Colui  che è”. Così pure anche nei tempi posteriori si dice che il saggio Daniele  fosse istruito in Babilonia nella sapienza dei Caldei e poi si dedicasse  allo studio delle scienze sacre» (19).

Noi stessi nella prima enciclica Summi pontificatus scrivevamo:  «Innumerevoli ricerche e indagini di pionieri, compiute con sacrificio,  dedizione e amore dai missionari di ogni tempo, si sono proposte di  agevolare l’intima comprensione e il rispetto per le civiltà più svariate,  e di intenderne i valori spirituali fecondi per una viva e vitale  predicazione dell’evangelo di Cristo. Tutto ciò che in tali usi e costumi  non è indissolubilmente legato con errori religiosi troverà sempre  benevolo esame e, quando riesce possibile, verrà tutelato e promosso»  (20).

E nel discorso che abbiamo rivolto ai dirigenti delle Pontificie opere  missionarie nell’anno 1944, questo tra l’altro dicevamo: «Il missionario è  apostolo di Gesù Cristo. Egli non ha l’ufficio di trapiantare la civiltà  specificamente europea nelle terre di missione, bensì di rendere quei  popoli, che vantano talora culture millenarie, pronti e atti ad accogliere  e ad assimilare gli elementi di vita e di costumanza cristiana, che  facilmente e naturalmente si accordano con ogni sana civiltà e  conferiscono a questa la piena capacità e forza di assicurare e garantire  la dignità e la felicità umana. I cattolici indigeni debbono essere  veramente membri della famiglia di Dio e cittadini del suo regno (cf. Ef  2, 19), senza però cessare di rimanere cittadini anche della loro patria  terrena» (21).

13. Esposizione missionaria degli anni santi 1925 e 1950 Il Nostro predecessore Pio XI, di felice memoria, volle che nell’anno  santo 1925 fosse allestita una grandiosa Mostra missionaria di cui egli  stesso così delineò l’esito favorevolissimo: «Un divino successo, quello  di una nuova e pratica dimostrazione dell’universalità, dell’unità del  vivente organismo della chiesa di Dio… L’esposizione è stata e rimane in  realtà come un grande, immenso libro» (22).

Noi pure, come sapete, spinti dal proposito di rendere note a quanti più  possibile le alte benemerenze missionarie, soprattutto quelle che  riguardano in modo particolare il campo della cultura, abbiamo voluto che  nel decorso anno santo venisse esposta pubblicamente in una mostra, non  lungi dal Vaticano, una ricca documentazione che illustrasse chiaramente  il rinnovamento cristiano dell’arte indigena, operato dai missionari sia  presso i popoli di antica civiltà, sia in quelli più primitivi.

E la mostra rivelò il valido contributo apportato dagli araldi  dell’evangelo al progresso delle arti e degli studi universitari in questo  campo; dimostrò ancora come la chiesa non ostacola, ma rispetta e  perfeziona al massimo il genio di ciascun popolo.

Dobbiamo alla bontà somma di Dio, se tale avvenimento fu accolto da tutti  con singolare favore, costituendo esso un’aperta testimonianza del  rinnovato vigore e dei maggiori sviluppi dell’attività missionaria. Per  opera dei missionari infatti il sentimento cristiano in mezzo a popoli  infedeli, tra loro lontani e diversi per costumi, ha potuto tanto  profondamente penetrare negli animi, da dare sì chiare testimonianze di  rifioritura di belle arti. Dalla mostra è apparso ancora una volta come  solo la fede sinceramente sentita e vissuta sappia innalzare il genio  artistico a quelle creazioni, che sono senza dubbio un’ininterrotta  tradizione della chiesa cattolica e un magnifico ornamento offerto al  culto cristiano.

14. L’Unione missionaria del clero e le Pontificie opere di cooperazione  missionaria Ben ricordate come l’enciclica Rerum Ecclesiae raccomandi vivamente  l’Unione missionaria del clero, che mobilita sacerdoti e chierici, sia  secolari sia regolari, a unire le forze per aiutare con ogni mezzo la  causa missionaria. Noi che, come abbiamo detto sopra, Ci siamo vivamente  rallegrati dei notevoli progressi di questa Unione, molto desideriamo che  essa si diffonda sempre più e propaghi il senso e il dovere missionario  tra i sacerdoti e tra i fedeli affidati alle loro cure. Questa Unione è  come una sorgente d’acqua che irriga i campi fioriti delle altre Opere  pontificie: della Propagazione della fede, di San Pietro apostolo per il  clero indigeno e della Santa Infanzia. Non occorre spendere parole per  illustrare l’importanza, la necessità e i meriti di queste Opere, a cui  vennero concesse numerose e ricchissime indulgenze dai Nostri  predecessori. Noi amiamo molto che, specialmente nella giornata  missionaria, si raccolga l’obolo dei fedeli; ma desideriamo ancor più che  essi preghino Dio onnipotente, che aiutino i futuri missionari e  promuovano il più possibile, con la loro iscrizione, le pontificie opere  da noi ricordate. Vi è noto, o venerabili fratelli, che recentemente  abbiamo istituito una festa da celebrarsi in modo particolare dai  fanciulli, per dare incremento con la preghiera e con le offerte all’Opera  della Santa Infanzia. Possano così abituarsi questi nostri figlioletti a  pregare vivamente Dio per la salvezza degli infedeli, e voglia il Cielo  che possa germogliare il seme dell’apostolato missionario felicemente  ricevuto nelle loro anime ancora profumate di innocenza.

Ci piace inoltre segnalare tante e sì belle iniziative che allo stesso  fine con zelo così intenso promuovono gli istituti religiosi, per  sostenere in ogni maniera le Pontificie opere missionarie; e ugualmente ci  piace esprimere la Nostra paterna compiacenza per tutti quei circoli  femminili che utilmente si adoperano per confezionare biancheria e vesti  liturgiche. Infine, solennemente affermiamo a tutti i ministri della  chiesa, a Noi dilettissimi, che quanto si compie dal popolo cristiano per  procurare la salvezza degli infedeli ridonda in frutti preziosissimi di  più viva fede, e quanto più cresce l’amore per le missioni, tanto più  aumenta il fervore della vita cristiana.

15. Appello a tutto il mondo cattolico Infine non vogliamo porre termine a questa enciclica senza rivolgere con  affetto il Nostro pensiero al clero e a tutti i fedeli e manifestare loro  anzitutto la Nostra vivissima gratitudine. Anche quest’anno infatti gli  aiuti per le missioni hanno segnato un sensibile aumento. Certo, non c’è  carità più utile di questa, destinata a estendere il regno di Dio e a  procurare la salvezza di tante anime infedeli, poiché il Signore «comandò  a ciascuno.., di aver pensiero del suo prossimo» (Eccli 17, 12).

A questo proposito crediamo ora opportuno ripetere con rinnovata ansia e  insistenza quanto già abbiamo detto nella lettera indirizzata al Nostro  diletto figlio il signor cardinale Pietro Fumasoni Biondi, prefetto della  S. C. «De propaganda fide» il 9 agosto 1950: «I fedeli tutti perseverino  nel proposito di sostenere le missioni, moltiplichino le loro iniziative a  vantaggio di queste, innalzino incessantemente a Dio fervorose preghiere,  prestino aiuto a quanti sono chiamati all’apostolato missionario,  procurando loro i necessari mezzi secondo le possibilità.

La chiesa, infatti, è il corpo mistico di Cristo, nel quale “se un membro  patisce, patiscono insieme tutte le membra” (1 Cor 12, 26). Perciò,  essendo oggi molte di tali membra tormentate da acerbe sofferenze e  ferite, tutti i cristiani sono vincolati dal sacro dovere di unirsi a loro  con solidarietà e simpatia. In alcune terre di missione il furore della  guerra ha devastato e distrutto in una maniera orribile non poche chiese e  residenze, scuole e ospedali dei missionari. Tutto il mondo cattolico, che  certamente è animato da speciale sollecitudine e carità verso le missioni,  darà generosamente gli aiuti atti a riparare tali danni e a ricostruire  tanti edifici» (23).

Vi è ben noto, venerabili fratelli, che oggi quasi tutta l’umanità va  rapidamente dividendosi in due schiere opposte, con Cristo o contro  Cristo. Il genere umano al presente attraversa una formidabile crisi che  si risolverà in salvezza con Cristo o in funestissime rovine. L’alacre  opera dei predicatori dell’evangelo s’adopera, sì, a diffondere il regno  di Cristo; ma vi sono altri banditori, che predicano il materialismo e,  rigettando ogni speranza di un’eternità beata, cercano di ridurre gli  uomini a una condizione di vita quanto mai indegna.

A più forte ragione quindi la chiesa cattolica, madre amorosissima di  tutti gli uomini, chiama a raccolta tutti i suoi figli sparsi in ogni  parte del mondo, perché cerchino secondo le possibilità di collaborare con  gli araldi dell’evangelo, per mezzo delle elemosine, della preghiera e  dell’aiuto prestato alle vocazioni missionarie. Maternamente inoltre li  esorta a rivestire viscere di misericordia (cf. Col 3, 12), a prendere  parte al lavoro missionario col desiderio, se non possono con l’opera, e  finalmente a non lasciar inappagato il voto del benignissimo cuore di  Gesù, che «venne … a cercare e a salvare ciò che era stato perduto» (Lc  19, 10). Se riusciranno in qualche maniera ad accendere o a ridestare la  fiamma della fede anche in una sola famiglia, sappiano essi che ivi sarà  creato un moto di grazia che andrà sempre più allargandosi nei secoli; se  contribuiranno alla formazione anche di un solo sacerdote, essi  parteciperanno abbondantissimamente ai frutti di tanti suoi sacrifici  eucaristici, del suo sacro ministero, della sua santità. Tutti i fedeli  infatti compongono un’unica immensa famiglia, i membri della quale  partecipano scambievolmente ai beni della chiesa militante, purgante e  trionfante. Niente perciò sembra più adatto del dogma della comunione dei  santi per ben inculcare nella mente e nel cuore del popolo cristiano  l’utilità e l’importanza delle missioni.

Con questi voti paterni e con queste opportune direttive, confidiamo che  il venticinquesimo anniversario della pubblicazione dell’enciclica Rerum  Ecclesiae sia per tutti i cattolici il punto di partenza per nuovi e  sempre più importanti progressi nel campo missionario.

Frattanto, animati da questa dolcissima speranza, a voi singolarmente, o  venerabili fratelli, al clero, a tutti i fedeli, a quelli specialmente che  o in patria con le loro preghiere e offerte, o nei paesi missionari con la  loro attività collaborano a questa santissima causa, con effusione di  cuore impartiamo l’apostolica benedizione, in auspicio dei celesti favori  e quale segno della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, il 2 giugno, festa di sant’Eugenio I, nell’anno  1951, XIII del Nostro pontificato.

PIUS XII

(1) A.A.S. 43 (1951), pp. 497-528.  Sull’incremento delle missioni nel 25° anniv. della «Rerum ecclesiae». Un  bilancio: progressi; persecuzioni; lavoro da compiere. Il missionario; lo  scopo delle missioni. Il clero indigeno. L’Azione cattolica nelle  missioni. Scuola e stampa.  Assistenza sanitaria e sociale. Contro l’esclusivismo territoriale e  giurisdizionale. Rispetto per ciò che c’è di buono nella civiltà e nei  costumi dei vari popoli. Le esposizioni missionarie degli anni santi 1925  e 1950. L’Unione Missionaria del clero e le Pontificie Opere di  cooperazione missionaria. Appello a tutto il mondo cattolico.

(2) A.A.S. 18 (1926), p. 65s; EE 5/164ss.
(3) A.A.S. 36 (1944), p. 209.
(4) A.A.S. 36 (1944), p. 267.
(5) Epist. Praeses Consilii: A.A.S. 43 (1951), pp. 88-89.
(6) S. CYPRIANUS, Epist. 56: PL 4, 351A.
(7) Epist. Perlibenti equidem: A.A.S 42 (1950), p. 727.
(8) A.A.S. 11 (1919), p. 440s; EE 4/app.
(9) A.A.S. 18 (1926), p. 65s; EE 5/164ss.
(10) A.A.S. 36 (1944), p. 210.
(11) A.A.S. 36 (1944), p. 208.
(12) A.A.S. 18 (1926), p. 76: EE 5/178.
(13) A.A.S. 18(1926), p. 75: EE 5/176.
(14) Epist. ad Diognetum, V, 5: ed. FUNK, I, 399.
(15) A.A.S. 35 (1943), pp. 16-17: EE 6/1692-1694.
(16) Cf. A.A.S. 11 (1919), pp. 444, et AAS 18(1926), pp. 81-82: EE 4,app.  et 5/186.
(17) A.A.S. 18 (1926), pp. 81-82: EE 5/186.
(18) Cf. TERTULLIANUS, Apologeticum, c. XVII: PL 1, 377A.
(19) S. BASILIUS, Ad adolescentes, 2: PG 31, 567A.
(20) A.A.S. 31 (1939), p. 429.
(21) A.A.S. 36 (1944), p. 210.
(22) Allocutio 10 ianuarii 1926.
(23) A.A.S. 42 (1950), pp. 727-728.