Lettera Enciclica di Giovanni XXIII Princeps pastorum
LETTERA ENCICLICA PRINCEPS PASTORUM DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PP. XXIII AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE SONO IN PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA, SULLE MISSIONI CATTOLICHE (1)
Fin da quando, rispondendo con consapevole umiltà all’invito d’amore del «Principe dei pastori» (1Pt 5,4), ma fiduciosi nel suo potentissimo aiuto, abbiamo assunto il governo e la custodia degli «agnelli» e delle «pecorelle» del gregge di Dio (Gv 21,15-17) sparso su tutta la terra, sempre fu presente al Nostro animo «il problema missionario in tutta la sua vastità, bellezza e importanza».(2) Non abbiamo perciò mai cessato di rivolgere ad esso le Nostre più vive sollecitudini. E nell’omelia del primo anniversario della Nostra incoronazione, abbiamo voluto ascrivere tra i giorni più fausti del Nostro pontificato l’11 ottobre scorso, quando quattrocento e più missionari convennero nella sacrosanta Basilica Vaticana per ricevere dalle Nostre mani il crocifisso, prima di spargersi in tutto il mondo a servizio dell’evangelo.
In questo campo la divina Provvidenza, nei suoi adorabili e amorosi disegni, ha voluto ben presto indirizzare il Nostro ministero sacerdotale. Infatti, all’indomani della prima guerra mondiale, il Nostro predecessore Benedetto XV di v.m. volle chiamarCi dalla Nostra diocesi nativa a Roma, affinché Ci dedicassimo all’«Opera della propagazione della fede», cui attendemmo durante quattro felicissimi anni della Nostra vita sacerdotale. Ed è ancora vivo nella Nostra mente il ricordo di quella memoranda pentecoste dell’anno 1922, allorché Ci fu dato di partecipare con profonda gioia, qui in Roma, alla celebrazione del terzo centenario della fondazione della Sacra Congregazione «de Propaganda Fide», alla quale è appunto affidato il compito di far rifulgere la verità e la grazia dell’evangelo fino agli estremi confini della terra.
In quegli anni, anche il Nostro predecessore di v.m. Pio XI Ci confortò con la sua parola e col suo esempio nell’apostolato missionario, e dalle sue labbra apprendemmo, nell’imminenza del conclave nel quale lo Spirito Santo lo avrebbe designato a successore di Pietro, che «niente di più grandioso poteva attendersi da un vicario di Cristo, qualunque fosse stato l’eletto, di quanto è contenuto in questo duplice ideale: irradiazione straordinaria della dottrina evangelica sul mondo e spirito di pacificazione».(3) Con la mente piena di questi e altri soavi ricordi e consci dei gravi doveri che incombono al pastore supremo del gregge di Dio, desideriamo, venerabili fratelli, prendere occasione dal 40° anniversario della memorabile lettera apostolica Maximum illud,(4) con la quale il Nostro venerato predecessore Benedetto XV dava nuovo e decisivo impulso all’azione missionaria nella chiesa, per intrattenervi sulle necessità e le speranze della dilatazione del regno di Dio in quella considerevole parte del mondo, dove si svolge il prezioso e faticoso lavoro dei missionari, affinché sorgano nuove comunità cristiane e apportino salutari frutti.
Su questo argomento anche i Nostri predecessori Pio XI e Pio XII di v.m. hanno impartito opportune norme ed esortazioni per mezzo di encicliche(5) che Noi stessi abbiamo voluto «confermare con l’autorità Nostra e con pari carità» nella Nostra prima enciclica Ad Petri cathedram.(6) Ma non si farà certamente mai abbastanza per portare a compimento il desiderio del divin Redentore, affinché tutte le pecorelle facciano parte di un solo gregge sotto la guida di unico pastore (Gv 10,16).
Nel rivolgere la Nostra particolare attenzione ai soprannaturali interessi della chiesa nelle terre di missione, ai Nostri occhi si offrono regioni rigogliose di messi, regioni nelle quali il lavoro degli operai della vigna di Dio è particolarmente arduo, e regioni ancora dove la violenza della persecuzione e regimi ostili al nome di Dio e di Cristo tentano di soffocare il seme della parola del Signore (Mt 13,19). Ma dovunque è grande il bisogno delle anime, e da ogni parte Ci giunge l’invocazione: «Aiutaci» (At 16,9). In tutte queste zone, perciò, che sono state fecondate dal sangue e dal sudore apostolico di eroici araldi dell’evangelo provenienti «da tutte le nazioni che sono sotto il cielo» (At 2,5), e dove ora germinano come fioritura e fruttificazione di grazia apostoli nativi, desideriamo far giungere la Nostra affettuosa parola di lode e di incoraggiamento, e insieme anche di ammaestramento, alimentata da una grande speranza che non teme di essere confusa, perché è fondata sulla infallibile promessa del divino Maestro: «Ecco, io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli» (Mt 28,20); «Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).
I All’indomani del primo conflitto mondiale, che a tanta parte dell’umanità aveva procurato lutti, devastazioni e sconforti, l’epistola apostolica Maximum illud di Benedetto XV (7) risuonò come un grido di spirituale riscossa per le nuove, pacifiche conquiste del regno di Dio: il solo che possa assicurare a tutti gli uomini figli del Padre celeste una pace duratura e una prosperità vera. Da allora, in un attivissimo e fecondissimo quarantennio di attività missionaria, un fatto della più grande importanza è venuto ad arricchire i già felici progressi delle missioni: lo sviluppo della gerarchia e del clero locale.
Conformemente al «fine ultimo» del lavoro missionario, «che è quello di costituire in modo stabile la chiesa presso gli altri popoli e di affidarla ad una gerarchia propria scelta fra i cristiani del luogo»,(8) questa sede apostolica ha sempre opportunamente e maturamente provveduto, e in questi ultimi tempi con significativa larghezza, a stabilire o ristabilire la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni in cui le circostanze permettevano e consigliavano di addivenire alla costituzione di sedi episcopali, affidandole quando era possibile a prelati nativi del luogo. Nessuno, del resto, ignora che questo è stato costantemente il programma d’azione della S. Congregazione «de Propaganda Fide». Fu tuttavia l’epistola apostolica Maximum illud a mettere in piena evidenza, come mai prima d’allora, tutta l’importanza e l’urgenza del problema, richiamando ancora una volta, con accenti accorati e pressanti, l’impegno urgente da parte di chi presiedeva alle missioni, di curare le vocazioni e l’educazione di quello che allora si diceva clero indigeno, senza che questo appellativo abbia mai rivestito alcun significato di discriminazione o di menomazione, che si deve sempre escludere dal linguaggio dei romani pontefici e dei documenti ecclesiastici.
Questo appello di Benedetto XV, rinnovato dai successori Pio XI e Pio XII di v.m., ha già avuto i suoi provvidenziali e visibili frutti, e di ciò vi invitiamo a ringraziare con Noi il Signore, il quale ha suscitato nelle terre di missione una schiera numerosa ed eletta di vescovi e di sacerdoti, fratelli e figli Nostri dilettissimi, aprendo così il Nostro cuore alle più liete speranze. Un rapido sguardo, infatti, alle sole statistiche dei territori affidati alla Sacra Congregazione «de Propaganda Fide», non compresi quelli attualmente soggetti alle persecuzioni, ci mostra che il primo vescovo di stirpe asiatica fu consacrato nel 1923 e i primi vicari apostolici di stirpe africana furono nominati nel 1939. Fino al 1959, si contano 68 vescovi di stirpe asiatica e 25 di stirpe africana. Il clero nativo è passato da 919 membri nel 1918 a 5553 nel 1957 per l’Asia, e da 90 membri a 1811 nello stesso spazio di tempo per l’Africa. In tal modo il Signore delle messi (Mt 9,58) ha voluto premiare le fatiche e i meriti di quanti, con l’azione diretta e con molteplice collaborazione, si sono dedicati al lavoro delle missioni secondo i ripetuti insegnamenti di questa sede apostolica. A ragione, perciò, il nostro predecessore Pio XII di v.m. poteva, con legittima soddisfazione, affermare: «Un tempo la vita ecclesiastica, per quello che appare, si svolgeva rigogliosa a preferenza nei paesi della vecchia Europa, donde si diffondeva, come fiume maestoso, a quella che poteva dirsi la periferia del mondo; oggi appare invece come uno scambio di vita e di energie fra tutti i membri del corpo mistico di Cristo sulla terra. Non poche regioni in altri continenti hanno da molto tempo superato il periodo della forma missionaria della loro organizzazione ecclesiastica, sono rette da propria gerarchia e danno a tutta la chiesa dei beni spirituali e materiali, mentre prima soltanto ricevevano».(9) All’episcopato e al clero delle nuove chiese desideriamo rivolgere la Nostra paterna esortazione a pregare e agire in modo tutto particolare, affinché il loro sacerdozio diventi fecondo con l’impegno di parlare spessissimo, nelle istruzioni catechistiche e nella predicazione, della dignità, della bellezza, della necessità e dell’alto merito dello stato sacerdotale, sì da invogliare tutti coloro che Dio volesse chiamare a così eccelso onore, a corrispondere senza indugi e con animo grande alla vocazione divina. Facciamo pregare altresì le anime loro affidate, mentre la chiesa tutta secondo l’esortazione del divino Redentore non cessa di elevare suppliche al cielo per le stesse intenzioni, affinché il Signore «mandi operai per la sua messe» (Lc 10,2), specialmente in questi tempi in cui «la messe è molta e gli operai sono pochi (Lc 10,2).
Le chiese locali dei territori di missione, anche fondate e stabilite con la propria gerarchia, sia per la vastità di territorio, sia per il numero crescente dei fedeli e l’ingente moltitudine di quelli che aspettano la luce dell’evangelo, continuano ad aver ancora bisogno dell’opera dei missionari venuti da altri paesi. Di essi, peraltro, si può ben dire: «Essi non sono affatto stranieri, poiché ogni sacerdote cattolico nello svolgimento delle sue mansioni si trova come nella sua patria, dovunque il regno di Dio fiorisce o è ai suoi inizi».(10) Lavorino, dunque, tutti insieme, nell’armonia di una fraterna, sincera e delicata carità, sicuro riflesso dell’amore che essi hanno per il Signore e per la sua chiesa, in perfetta, festosa e filiale obbedienza ai vescovi «che lo Spirito Santo ha posto a reggere la chiesa di Dio» (At 20,28), ognuno grato all’altro per la collaborazione offerta, «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), affinché dal modo come essi si amano rifulga agli occhi di tutti che sono veramente discepoli di colui che agli uomini ha dato come primo e più grande precetto, come comandamento «nuovo» e suo, quello del mutuo amore (Gv 13,34; 15,12).
II Il Nostro predecessore nella Maximum illud ebbe a cuore di inculcare ai reggitori di missioni che le loro più assidue premure dovevano essere rivolte alla «completa e perfetta»(11) formazione del clero locale, come quello che «avendo comuni con i suoi connazionali l’origine, l’indole, la mentalità e le aspirazioni, è meravigliosamente adatto a istillare nei loro cuori la fede, perché più di ogni altro sa le vie della persuasione».(12) È appena necessario ricordare che un’educazione sacerdotale perfetta deve essere innanzitutto rivolta all’acquisto delle virtù proprie del santo stato, essendo questo il primo dovere del sacerdote, «il dovere cioè di attendere alla propria santificazione».(13) Il nuovo clero nativo deve entrare in una santa gara col clero delle più antiche diocesi, che ha dato al mondo sacerdoti i quali, per l’eroicità delle loro specchiate virtù e l’eloquenza viva del loro esempio, hanno meritato di essere proposti a modello del clero di tutta la chiesa. È specialmente con la santità, infatti, che il clero può dimostrare di essere luce e sale della terra (Mt 5,13-14), cioè della propria nazione e di tutto il mondo, può convincere della bellezza e potenza dell’evangelo, può efficacemente insegnare ai fedeli che la perfezione della vita cristiana è una mèta alla quale possono e devono tendere con ogni sforzo e con perseveranza tutti i figli di Dio, qualunque sia la loro origine, il loro ambiente, la loro cultura e la loro civiltà.
Nel Nostro animo paterno vagheggiamo il giorno in cui il clero locale potrà ovunque dare soggetti capaci di educare alla santità gli alunni stessi del santuario come loro guide spirituali. Ai vescovi e ai reggitori di missioni, Noi rivolgiamo anzi l’invito di non esitare a scegliere fin d’ora, tra il clero locale, sacerdoti i quali per la loro virtù e la loro prudenza diano affidamento di essere per i seminaristi loro connazionali sicuri maestri nella formazione spirituale.
La chiesa, inoltre, come voi ben sapete, venerabili fratelli, ha sempre richiesto che i suoi sacerdoti siano resi adatti al loro ministero mediante un’educazione intellettuale solida e compiuta. Che di tanto siano capaci i giovani di ogni stirpe e provenienti da ogni parte del mondo, non vale più la pena nemmeno di ricordarlo, tanto i fatti e l’esperienza lo hanno dimostrato con evidenza. Ovviamente, la formazione del clero locale deve tenere nel debito conto i fattori ambientali propri delle varie regioni. Per tutti i candidati al sacerdozio vale la sapientissima norma secondo la quale essi non devono essere formati «in un ambiente troppo avulso dal mondo»,(14) poiché in tal modo «quando andranno in mezzo alla società troveranno poi serie difficoltà nelle relazioni col popolo e con la classe colta, e quindi succederà spesso o che prendano un atteggiamento errato e falso verso i fedeli, o che considerino sfavorevolmente la formazione ricevuta».(15) Essi dovranno essere sacerdoti spiritualmente perfetti, ma anche «gradualmente e prudentemente inseriti in quella parte del mondo»(16) che è toccata loro in sorte, perché la illuminino con la verità e la santifichino con la grazia di Cristo. A tale scopo, anche per quel che riguarda il regime di vita del seminario, conviene insistere sulla maniera di vivere locale, non senza, però, mettere a frutto tutte quelle facilitazioni di ordine tecnico o materiale che ormai sono bene e patrimonio di tutte le civiltà, in quanto rappresentano un reale progresso per un tenore di vita più elevato e una più adatta salvaguardia delle forze fisiche.
La formazione del clero autoctono, diceva il Nostro venerato predecessore Benedetto XV, deve mirare a renderlo capace di prendere nelle mani, appena ciò è possibile, il governo delle nuove chiese e di guidare, con l’insegnamento e il ministero, i propri connazionali nella via della salvezza.(17) A tale scopo, Ci sembra sommamente opportuno che tutti coloro i quali, sia allogeni che nativi, curano detta formazione, si impegnino coscienziosamente a sviluppare nei loro alunni il senso di responsabilità e lo spirito di iniziativa,(18) in modo che questi siano in grado di assumere ben presto e progressivamente tutte le mansioni, anche le più importanti, inerenti al loro ministero, in perfetta concordia col clero allogeno, ma anche in eguale misura. Questa, infatti, sarà la prova della reale efficacia dell’educazione ad essi impartita e costituirà il coronamento e il premio migliore di quanti vi hanno contribuito.
In vista appunto di una formazione intellettuale che tenga conto delle necessità reali e della mentalità di ciascun popolo, questa sede apostolica ha sempre raccomandato gli studi speciali di missionologia non soltanto per il clero allogeno, ma anche per il clero nativo. Così il Nostro predecessore Benedetto XV decretava l’istituzione degli insegnamenti di materie missionarie nel Pontificio ateneo Urbaniano «de Propaganda Fide»,(19) e Pio XII rilevava con soddisfazione l’erezione dell’Istituto missionario scientifico nello stesso ateneo Urbaniano «e l’istituzione, sia a Roma che altrove, di facoltà e cattedre di missionologia».(20) Perciò i programmi dei seminari locali in terra di missione non mancheranno di assicurare corsi di studio nei vari rami della missionologia e l’insegnamento delle diverse conoscenze e tecniche specialmente utili per il ministero futuro del clero di quelle regioni. Si provvederà a tale scopo ad un insegnamento che, nello spirito della più pura e salda tradizione ecclesiastica, sappia formare accuratamente il giudizio dei sacerdoti sui valori culturali locali, specialmente filosofici e religiosi, nella loro relazione con l’insegnamento e la religione cristiana. «La chiesa cattolica – ha detto il Nostro immortale predecessore Pio XII – non disprezza o rigetta completamente il pensiero pagano, ma piuttosto, dopo averlo purificato da ogni scoria di errore, lo completa e lo perfeziona con sapienza cristiana. Così parimenti ha accolto il progresso nel campo delle scienze e delle arti… e in qualche maniera consacrò i particolari costumi e le antiche tradizioni dei popoli; le stesse feste pagane, trasformate, servirono per celebrare le memorie dei martiri e i divini misteri».(21) Noi stessi abbiamo già avuto modo di manifestare su questo argomento il Nostro pensiero: «Dappertutto… dove autentici valori d’arte e di pensiero sono suscettibili di arricchire la famiglia umana, la chiesa è pronta a favorire tali fatiche dello spirito. Essa medesima, come sapete, non si identifica con nessuna cultura, nemmeno con la cultura occidentale, alla quale la sua storia è strettamente legata. Perché la sua missione appartiene a un altro ordine, all’ordine della salute religiosa dell’uomo. Però la chiesa, così ricca di giovinezza che incessantemente si rinnova al soffio dello Spirito, resta sempre disposta a riconoscere, ad accogliere anzi, anche ad animare tutto quello che è di onore all’intelligenza e al cuore umano nelle altre parti del mondo, diverso da questo bacino mediterraneo, che fu culla provvidenziale del cristianesimo».(22) I sacerdoti nativi ben preparati e addestrati in questo campo così difficile e importante, nel quale essi sono in grado di dare contributi assai preziosi, potranno dar vita, sotto la direzione dei loro vescovi, a movimenti di penetrazione anche fra le classi colte, specialmente nelle nazioni di antica e alta cultura, sull’esempio di famosi missionari dei quali basti citare per tutti il p. Matteo Ricci. Anche al clero nativo, infatti, spetta il compito di «ridurre ogni intelletto all’ossequio di Cristo» (2Cor 10,5), come diceva quell’incomparabile missionario che fu san Paolo, e così «attirarsi in patria la stima anche delle personalità e dei dotti».(23) A loro giudizio, i vescovi provvedano tempestivamente a costituire, per i bisogni di una o più regioni, dei centri di cultura, nei quali missionari allogeni e sacerdoti nativi avranno modo di mettere a frutto la loro preparazione intellettuale e la loro esperienza a beneficio della società in cui vivono per elezione o per nascita. In questo campo è necessario anche ricordare ciò che ha suggerito il Nostro immediato predecessore Pio XII, che cioè è dovere dei fedeli «moltiplicare e diffondere la stampa cattolica in tutte le sue forme»(24) e preoccuparsi altresì «delle tecniche moderne di diffusione e di cultura, poiché è nota l’importanza di una pubblica opinione formata e illuminata».(25) Non tutto si potrà fare dovunque, ma non bisogna lasciarsi sfuggire nessuna buona occasione per provvedere a queste reali e urgenti necessità, anche se talvolta «chi semina non è lo stesso che raccoglie» (Gv 4,37).
La diffusione della verità e della carità di Gesù Cristo è la vera missione della chiesa, che ha il dovere di offrire ai popoli «nella massima misura possibile, le sostanziali ricchezze della sua dottrina e della sua vita, animatrice di un nuovo ordine sociale cristiano».(26) Essa perciò, nei territori di missione, provvede con tutta la larghezza possibile anche a iniziative di carattere sociale e assistenziale che sono di sommo giovamento alle comunità cristiane e ai popoli in mezzo ai quali esse vivono. Si badi tuttavia a non ingombrare l’apostolato missionario con un complesso di istituzioni di ordine puramente profano. Ci si limiti a quei servizi indispensabili di agevole mantenimento e di facile uso, il cui funzionamento potrà essere messo al più presto nelle mani del personale locale, e si dispongano le cose in modo che al personale propriamente missionario venga offerta la possibilità di dedicare le migliori energie al ministero di insegnamento, di santificazione e di salvezza.
Se è vero che, per un apostolato il più ampiamente fruttuoso, è di primaria importanza che il sacerdote nativo conosca e sappia con ogni intelligenza e prudenza stimare i valori locali, resterà ancora a maggior ragione vero che per esso vale ciò che il Nostro immediato predecessore diceva di tutti i fedeli: «Le prospettive universali della chiesa saranno le prospettive normali della loro vita cristiana».(27) A tal fine, il clero locale dovrà essere non solo informato degli interessi e delle vicende della chiesa universale, ma dovrà essere educato a un intimo, universale respiro di carità. San Giovanni Crisostomo diceva delle celebrazioni liturgiche cristiane: «Quando noi siamo all’altare, preghiamo innanzi tutto per il mondo intero e per gli interessi collettivi»;(28) e sant’Agostino bellamente affermava: «Se vuoi amare Cristo, effondi la carità su tutta la terra, perché i membri di Cristo sono nel mondo intero».(29) Nel desiderio appunto di salvaguardare in tutta la sua purezza questo spirito cattolico che deve animare l’opera dei missionari, il Nostro predecessore Benedetto XV non esitò a denunciare con espressioni severe un pericolo che poteva far perdere di vista le altissime finalità dell’apostolato missionario e comprometterne così l’efficacia: «Sarebbe cosa ben triste – così scriveva nell’epistola Maximum illud – se qualche missionario si rivelasse talmente noncurante della sua dignità da pensare più alla patria terrena che alla celeste, e preoccuparsi eccessivamente di dilatare la sua potenza ed estendere la sua gloria. Questo modo di agire costituirebbe un danno funestissimo per l’apostolato, e nel missionario spegnerebbe ogni slancio di carità verso le anime e ne diminuirebbe il prestigio nell’opinione del popolo».(30) Il medesimo pericolo potrebbe oggi ripetersi sotto altre forme, per il fatto che in molti territori di missione si va facendo generale l’aspirazione dei popoli all’autogoverno e all’indipendenza, e la conquista delle libertà civili può sfortunatamente accompagnarsi ad eccessi che non sono affatto in armonia con gli autentici e profondi interessi spirituali dell’umanità.
Noi siamo pienamente fiduciosi che il clero nativo, mosso da sentimenti e da propositi superiori in conformità con le esigenze universalistiche della religione cristiana, contribuirà altresì al bene reale della propria nazione.
«La chiesa di Dio è cattolica e non è straniera presso nessun popolo o nazione»,(31) diceva lo stesso Nostro predecessore, e nessuna chiesa locale potrà esprimere la sua vitale unione con la chiesa universale, se il suo clero e il suo popolo si faranno suggestionare dallo spirito particolaristico, da sentimenti di malevolenza verso gli altri popoli, da un malinteso nazionalismo che distruggerebbe la realtà di quella universale carità che edifica la chiesa di Dio, che sola è veramente «cattolica».
III Insistendo sulla necessità di preparare col più grande zelo l’avvento del clero autoctono e di formarlo adeguatamente allo scopo, il Nostro venerato predecessore Benedetto XV non intendeva certamente escludere l’importanza, anch’essa fondamentale, di un laicato nativo all’altezza della propria vocazione cristiana e impegnato nell’apostolato. Ciò fece espressamente e con tutto il rilievo l’immediato Nostro predecessore Pio XII,(32) il quale ritornò più volte su questo vitale argomento che, oggi più che mai, si impone alla considerazione e richiede di essere risolto dovunque nella massima misura possibile.
Lo stesso Pio XII – e ciò torna a suo singolare merito e lode – con copiosa dottrina e rinnovati incitamenti ha ammonito e incoraggiato i laici a prendere sollecitamente il loro posto attivo nel campo dell’apostolato in collaborazione con la gerarchia ecclesiastica; infatti, fin dai primordi della storia cristiana e in tutte le epoche successive, questa collaborazione dei fedeli ha fatto sì che i vescovi e il clero potessero efficacemente sviluppare la loro opera tra i popoli, sia nel campo propriamente religioso che in quello sociale. Ciò può e deve verificarsi anche nei nostri tempi, i quali, anzi, rivelano maggiori bisogni, proporzionati a un’umanità numericamente più vasta e con esigenze spirituali moltiplicate e complesse. Del resto, dovunque viene fondata la chiesa, essa deve essere sempre presente e attiva con tutta la sua struttura organica, e quindi non soltanto con la gerarchia nei vari suoi ordini, ma anche col laicato; ed è quindi per mezzo del clero e dei laici che essa necessariamente deve svolgere la sua opera di salvezza.(33) Nelle nuove cristianità, non si tratta soltanto di procurare, con le conversioni e i battesimi, un gran numero di cittadini al regno di Dio, ma di renderli anche adatti, con un’adeguata educazione e formazione cristiana, ad assumere ognuno secondo la propria condizione e le proprie possibilità le loro responsabilità nella vita e nell’avvenire della chiesa. Il numero dei cristiani significherebbe poco se difettasse la qualità, se venisse meno la saldezza dei fedeli stessi nella professione cristiana e se mancasse l’approfondimento della loro vita spirituale; se, dopo esser nati alla fede e alla grazia, essi non fossero aiutati a progredire nella giovinezza e nella maturità dello spirito, che dona slancio e prontezza per il bene. La professione di fede cristiana, infatti, non può essere ridotta a un dato anagrafico, ma deve investire e modificare l’uomo nel profondo (Ef 4,24), dare significato e valore a tutte le sue manifestazioni.
A tale mèta di maturità i laici non potranno giungere se il clero, sia allogeno che nativo, non si proporrà tempestivamente il programma suggerito già nelle linee essenziali dal primo papa: «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo tratto in salvo perché facciate conoscere i prodigi di colui che dalle tenebre vi chiamò all’ammirabile sua luce» (1Pt 2,9).
Un’istruzione ed educazione cristiana che si ritenesse paga di aver insegnato e fatto apprendere le formule del catechismo e i precetti fondamentali della morale cristiana con una sommaria casistica, senza impegnare la condotta pratica, si esporrebbe al rischio di procurare alla chiesa di Dio un gregge per dir così passivo. Il gregge di Cristo, invece, è formato di pecorelle che non solo ascoltano il loro pastore, ma sono in grado di riconoscerne la voce (cf. Gv 10,4-14), di seguirlo fedelmente e con piena consapevolezza sui pascoli della vita eterna (Gv 10,9-10) per poter meritare un giorno dal Principe dei pastori «la corona immarcescibile della gloria» (1Pt 5,4), pecorelle che, conoscendo e seguendo il Pastore che ha dato la vita per esse (cf. Gv 10,11), siano pronte a dedicare la loro vita a lui e adempierne la volontà di condurre a far parte dell’unico ovile le altre pecorelle che non lo seguono, ma vagano lontane da lui, che è via, verità e vita (cf. Gv 14,6).
Lo slancio apostolico appartiene essenzialmente alla professione di fede cristiana: infatti «ognuno è tenuto a diffondere in mezzo agli altri la sua fede, sia per istruire o confermare gli altri fedeli, sia ancora per respingere gli attacchi degli infedeli»,(34) specialmente nei tempi, come i nostri, in cui l’apostolato è un impegno urgente per le difficili circostanze in cui versano l’umanità e la chiesa.
Affinché sia possibile una completa e intensa educazione cristiana, si richiede che gli educatori siano capaci di trovare le vie e i mezzi più adatti per penetrare nelle varie psicologie, onde facilitare al massimo nei nuovi cristiani l’assimilazione profonda della verità con tutte le sue esigenze. Il nostro Salvatore, infatti, ha imposto a ognuno di noi la realizzazione di questo supremo comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente» (Mt 22,37). Agli occhi dei fedeli deve ben presto brillare in tutto il suo splendore la sublimità della vocazione cristiana, affinché efficacemente si accenda nel loro cuore il desiderio e il proposito di una vita virtuosa e attiva, modellata sulla vita stessa del Signore Gesù, che avendo assunto la umana natura ci ha comandato di seguire i suoi esempi (cf. 1Pt 2,21; Mt 11,29; Gv 13,15).
Ogni cristiano deve essere convinto del suo fondamentale e primordiale dovere di essere testimone della verità in cui crede e della grazia che lo ha trasformato. «Il Cristo – diceva un grande padre della chiesa – ci ha lasciati sulla terra affinché adempissimo il nostro compito di fermento, affinché ci comportassimo come angeli, come annunziatori tra gli uomini, affinché fossimo adulti tra i minori, uomini spirituali tra i carnali al fine di guadagnarli, affinché fossimo semente e portassimo frutti numerosi. Non sarebbe neppur necessario esporre la dottrina, se la nostra vita fosse a tal punto irradiante; non sarebbe necessario ricorrere alle parole, se le nostre opere dessero una tale testimonianza. Non ci sarebbe più alcun pagano, se ci comportassimo da veri cristiani».(35) Questo, come è facile comprendere, è il dovere di tutti i cristiani di tutto il mondo. Ma è facile capire che nei paesi di missione esso potrebbe portare frutti speciali e particolarmente preziosi ai fini della dilatazione del regno di Dio anche presso coloro che non conoscono la bellezza della nostra fede e la soprannaturale potenza della grazia, come già ci esortava Gesù: «Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone, e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16), e san Pietro ammoniva amorosamente i fedeli: «O cari, io vi esorto… ad astenervi dalle brame carnali, che fanno guerra all’anima, e a tener fra i gentili buona condotta affinché mentre ora vi calunniano quali malfattori, per effetto delle vostre buone opere, osservando meglio, diano gloria a Dio quando piacerà visitarli» (1Pt 2,12).
La testimonianza dei singoli ha bisogno di essere confermata e ampliata da quella di tutta intera la comunità cristiana, a somiglianza di quanto avveniva nella stagione primaverile della chiesa, quando l’unione compatta e perseverante di tutti i fedeli «nell’insegnamento degli apostoli e nella comune frazione del pane e nelle orazioni» (At 2,42) e nell’esercizio della più generosa carità era motivo di soddisfazione profonda e di mutua edificazione; infatti essi «lodavano Dio ed erano ben visti da tutto il popolo. E il Signore poi aumentava ogni giorno quelli che venivano a salvezza» (At 2,47).
L’unione nelle preghiere e nella partecipazione attiva alla celebrazione dei divini misteri nella liturgia della chiesa contribuisce in maniera particolarmente efficace alla pienezza e ricchezza della vita cristiana dei singoli e della comunità, ed è un mezzo mirabile per educare a quella carità che è il segno distintivo del cristiano; una carità che rifugge da ogni discriminazione sociale linguistica e razziale, che allarga le braccia e il cuore a tutti, fratelli e nemici. Su questo argomento Ci piace fare Nostre le parole del Nostro predecessore san Clemente Romano: «Quando [i gentili] odono da noi che Dio dice: “Non c’è merito per voi se amate quelli che vi amano, ma c’è merito se amate i nemici e coloro che vi odiano” (Lc 6,32-35), all’udire queste parole essi ammirano l’altissimo grado di carità. Ma quando vedono che noi non solo non amiamo quelli che ci odiano, ma neppure quelli che ci amano, essi ridono di noi e il nome [di Dio] è bestemmiato».(36) Il più grande dei missionari, san Paolo apostolo, scrivendo ai Romani nel momento in cui si accingeva ad evangelizzare l’estremo occidente, esortava alla «carità senza finzione» (Rm 12,9ss), dopo aver elevato un inno sublime a questa virtù, «senza la quale il cristiano è nulla» (1Cor 13,2).
La carità diventa visibile altresì nel soccorso materiale, come affermava il Nostro immortale predecessore Pio XII: «Il corpo esige anche una moltitudine di membra, tra di loro congiunte per darsi vicendevole aiuto. Che se, nel nostro organismo mortale, quando un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui, fornendo i membri sani il proprio aiuto a quelli malati, parimenti nella chiesa ogni membro non vive unicamente per sé, ma aiuta altresì gli altri per loro mutua consolazione, come pure per un migliore sviluppo di tutto il corpo mistico».(37) Le necessità materiali dei fedeli includono anche quella dell’organismo ecclesiastico, ed è bene perciò che i fedeli nativi si abituino a sostenere spontaneamente, nella misura delle loro possibilità, le loro chiese, le loro istituzioni e il clero che si è tutto dedicato ad essi. Non importa se questo contributo non potrà essere notevole; l’importante è che sia testimonianza sensibile di viva coscienza cristiana.
IV I fedeli cristiani, membra di un organismo vivo, non possono restar chiusi in se stessi e credere che basti aver pensato e provveduto ai propri bisogni spirituali per compiere tutto il loro dovere. Ognuno, invece, per la propria parte deve contribuire all’incremento e alla diffusione del regno di Dio sulla terra. Il Nostro predecessore Pio XII ha richiamato a tutti questo universale dovere: «La cattolicità è una nota essenziale della vera chiesa: a tal punto che un cristiano non è veramente affezionato e devoto alla chiesa, se non è ugualmente attaccato e devoto alla sua universalità, desiderando che essa metta radici e fiorisca in tutti i luoghi della terra».(38) Tutti devono entrare in una gara di santa emulazione e dare assidue testimonianze di zelo per il bene spirituale del prossimo, per la difesa della propria fede, per farla conoscere a chi la ignora del tutto o a chi malamente la conosce e perciò malamente la giudica. Fin dall’infanzia e dall’adolescenza, anche nelle più giovani comunità cristiane, è necessario che il clero, le famiglie e le varie organizzazioni locali di apostolato inculchino questo santo dovere. Ci sono poi alcune occasioni particolarmente felici, in cui tale educazione all’apostolato può trovare il posto più adatto e la più convincente espressione. Tale, per esempio, è la preparazione dei giovanetti o dei neo-battezzati al sacramento della confermazione, con cui «viene infusa una nuova forza nei credenti per difendere la santa madre chiesa e la fede che hanno da essa ricevuto»;(39) preparazione, questa, sommamente opportuna, là specialmente dove esistono nei costumi locali apposite cerimonie di iniziazione per preparare i giovani all’ingresso ufficiale nel loro gruppo sociale.
Non possiamo qui fare a meno di dare il giusto rilievo all’opera dei catechisti, che nella lunga storia delle missioni cattoliche si sono dimostrati di insostituibile ausilio. Essi sono sempre stati il braccio destro degli operai del Signore, e ne hanno partecipato e alleviato le fatiche al punto che i Nostri predecessori potevano considerare il loro reclutamento e la loro formazione accuratissima tra i «punti importantissimi per la diffusione dell’evangelo»(40) e definirli «il caso forse più classico dell’apostolato laico».(41) Ad essi Noi rinnoviamo i più ampi elogi e li esortiamo a meditare sempre più sulla spirituale felicità della loro condizione e a non desistere mai da ogni sforzo per arricchire e approfondire, sotto la guida della gerarchia, la loro istruzione e formazione morale. I catecumeni devono imparare da essi non soltanto i rudimenti della fede, ma anche la pratica della virtù, l’amore grande e sincero a Cristo e alla sua chiesa. Ogni cura dedicata all’aumento del numero di questi validissimi aiuti della gerarchia e alla loro adeguata formazione, e ogni sacrificio dei catechisti per adempiere nel modo più adatto e perfetto il loro compito, sarà un contributo di immediata efficacia per la fondazione e il progresso delle nuove comunità cristiane.
Nella Nostra prima enciclica abbiamo già richiamato i molteplici gravi motivi che impongono oggi, in tutti i paesi del mondo, di reclutare i laici «nel pacifico esercito dell’Azione cattolica, con l’intento di averli collaboratori nell’apostolato della gerarchia ecclesiastica».(42) Abbiamo anche manifestato il Nostro compiacimento per «quanto si è fatto nel passato, anche in terre di missione, da questi preziosi collaboratori dei vescovi e dei sacerdoti»,(43) e vogliamo qui rinnovare, con tutta l’urgenza della carità che Ci sospinge (2Cor 5,14), l’ammonimento e l’appello del Nostro predecessore Pio XII «sulla necessità che i laici tutti nelle missioni, affluendo numerosissimi nelle file dell’Azione cattolica, collaborino attivamente con la gerarchia ecclesiastica nell’apostolato».(44) I vescovi dei paesi di missione, il clero secolare e regolare, i fedeli più generosi e preparati, hanno compiuto i più lodevoli sforzi per tradurre in atto questa volontà del sommo pontefice, e si può dire che dovunque ormai è una fioritura di iniziative e di opere. Non si insisterà mai abbastanza, però, sulla necessità di adattare convenientemente questa forma di apostolato alle condizioni ed esigenze locali. Non basta trasferire in un paese ciò che è stato fatto altrove, ma sotto la guida della gerarchia e nello spirito della più lieta obbedienza ai sacri pastori, bisogna fare in modo che l’organizzazione non risulti un sovraccarico che imbrigli o disperda preziose energie, con movimenti frammentari e di eccessiva specializzazione che, necessari altrove, potrebbero risultare meno utili in ambienti, dove le circostanze e i bisogni sono del tutto diversi. Nella Nostra prima enciclica abbiamo anche promesso di ritornare con maggiore ampiezza sopra questo argomento dell’Azione cattolica e a suo tempo anche i paesi di missione potranno trarne giovamento e impulso nuovo. Nel frattempo, tutti lavorino in piena concordia e con spirito soprannaturale, nella convinzione che soltanto così potranno gloriarsi di mettere le loro forze al servizio della causa di Dio, della spirituale elevazione e del miglior progresso dei loro popoli.
L’Azione cattolica è una organizzazione di laici «con proprie e responsabili funzioni esecutive»;(45) i laici quindi ne compongono i quadri direttivi. Ciò comporta la formazione di uomini capaci di imprimere alle varie associazioni lo slancio apostolico e di assicurarne il miglior funzionamento; uomini e donne, quindi, per essere degni di vedersi affidare dalla gerarchia la direzione centrale o periferica delle associazioni, devono fornire le più ampie garanzie di una formazione cristiana intellettuale e morale solidissima, in virtù della quale possano «trasfondere negli altri ciò che essi già, con l’aiuto della divina grazia, posseggono».(46) Si può ben dire che la sede naturale di questa formazione dei dirigenti laici di Azione cattolica sia la scuola. E la scuola cristiana giustificherà la sua ragion d’essere nella misura in cui i suoi maestri, sacerdoti e laici, religiosi e secolari, riusciranno a formare dei solidi cristiani.
Nessuno ignora l’importanza che ha sempre avuto e avrà la scuola nei paesi di missione e quanta energia la chiesa ha impiegato nell’istituzione di scuole di ogni ordine e grado, e nella difesa della loro esistenza e prosperità. Ma un programma di formazione di dirigenti di Azione cattolica, come è ovvio, difficilmente può trovare il suo posto nei corsi scolastici, per cui sarà il più spesso necessario affidarsi a iniziative extrascolastiche che raccolgano i giovani di migliori speranze per istruirli e formarli all’apostolato. Gli ordinari, perciò, procureranno di studiare la forma migliore per dar vita a scuole di apostolato, i cui metodi educativi sono ovviamente differenti dai metodi scolastici veri e propri. A volte si tratterà anche di preservare da false dottrine fanciulli e giovani che sono costretti a frequentare scuole non cattoliche; in ogni caso sarà necessario bilanciare l’educazione umanistica e tecnica ricevuta nelle scuole pubbliche con un’educazione spirituale particolarmente intelligente e intensa, affinché non accada che l’istruzione produca individui falsamente evoluti, pieni di pretese e piuttosto nocivi che utili alla chiesa e ai popoli. La loro formazione spirituale deve essere contemperata al grado di sviluppo intellettuale, intesa a prepararli a vivere cattolicamente nel loro ambiente sociale e professionale e ad assumere, a suo tempo, il loro posto nella vita cattolica organizzata. A tale scopo, nel caso in cui i giovani cristiani siano costretti a lasciare la loro comunità per frequentare in altre città le scuole pubbliche, sarà opportuno pensare all’istituzione di «pensionati» e luoghi di ritrovo che assicurino ad essi un ambiente religiosamente e moralmente sano, congeniale e adatto a indirizzare le loro capacità ed energie verso gli ideali apostolici. Attribuendo alle scuole un compito speciale e particolarmente efficace nella formazione dei dirigenti di Azione cattolica, non vogliamo certo sottrarre alle famiglie la loro parte di responsabilità, né negare il loro influsso, che può essere anche più vigoroso ed efficace di quello della scuola, nell’alimentare nei loro figliuoli la fiamma dell’apostolato e nel curare una formazione cristiana sempre più matura e aperta all’azione. La famiglia, infatti, è una scuola ideale e insostituibile.
La «buona battaglia» (2Tm 4,7) per la fede si combatte non soltanto nel segreto della coscienza o nell’intimità della casa, ma anche nella vita pubblica in tutte le sue forme. In tutti i paesi del mondo si pongono oggi problemi di varia natura, le cui soluzioni sono procurate facendo il più spesso appello alle sole risorse umane e obbedendo a principi che non sempre sono d’accordo con le esigenze della fede cristiana. Molti territori di missione, inoltre, stanno attraversando «una fase di evoluzione sociale, economica e politica, che è gravida di conseguenze per il loro avvenire».(47) Problemi che in altre nazioni o sono già stati risolti o trovano nella tradizione elementi di soluzione, si impongono ad altri paesi con un’urgenza che non è scevra da pericoli, in quanto potrebbe consigliare soluzioni affrettate e mutuate con deplorevole leggerezza da dottrine che non tengono in nessun conto o addirittura contraddicono gli interessi religiosi degli individui e dei popoli. I cattolici, per il loro bene privato e per il pubblico bene della chiesa, non possono né ignorare tali problemi, né aspettare che ad essi vengano date pregiudizievoli soluzioni che in avvenire esigerebbero uno sforzo ben più grande di raddrizzamento e rappresenterebbero ulteriori ostacoli all’evangelizzazione del mondo.
Nel campo della pubblica attività i laici dei paesi di missione hanno la loro più diretta e preponderante azione, ed è necessario provvedere con la massima tempestività e urgenza affinché le comunità cristiane offrano alle loro patrie terrene, per il loro comune bene, uomini che onorino le varie professioni e attività nello stesso tempo in cui onorano, con la loro solida vita cristiana, la chiesa che li ha rigenerati alla grazia, in modo che i sacri pastori possano ad essi ripetere la lode che leggiamo negli scritti di san Basilio: «Ho ringraziato Dio santissimo del fatto che, pur essendo occupati nei pubblici affari, voi non avete trascurato quelli della chiesa; al contrario, ognuno di voi se ne è preoccupato come se si trattasse di un affare personale, dal quale dipende la sua propria vita».(48) In particolare, nel campo dei problemi e dell’organizzazione della scuola, dell’assistenza sociale organizzata, del lavoro, della vita politica, la presenza di esperti cattolici nativi potrà avere la più felice e benefica influenza se essi sapranno, come è loro preciso dovere che non potrebbero trascurare senza accusa di tradimento, ispirare le loro intenzioni e la loro azione ai principi cristiani, che una lunghissima storia dimostra efficienti e decisivi per procurare il bene comune.
A tale scopo, come già esortava il Nostro predecessore Pio XII di v.m., non sarà difficile convincersi della preziosità e dell’importanza dell’aiuto fraterno che le Organizzazioni internazionali cattoliche potranno dare all’apostolato laico nei paesi di missione, sia sul piano scientifico, con lo studio della soluzione cristiana da dare ai problemi specialmente sociali delle nuove nazioni, sia sul piano apostolico, soprattutto, per l’organizzazione del laicato cristiano attivo. Ci è noto ciò che è stato fatto e si va facendo da parte dei laici missionari, che hanno scelto di abbandonare temporaneamente o definitivamente la loro patria per contribuire con molteplici attività al bene sociale e religioso dei paesi di missione, e preghiamo ardentemente il Signore che moltiplichi le schiere di questi generosi e li sorregga nelle difficoltà e nelle fatiche che essi affrontano con spirito apostolico. Gli istituti secolari potranno dare ai bisogni del laicato nativo in terra di missione un aiuto incomparabilmente fecondo, se con il loro esempio susciteranno imitatori e se metteranno a disposizione degli ordinari le loro forze per accelerare il processo di maturità delle giovani comunità.
Il Nostro appello va anche a tutti quei laici cattolici che dovunque emergono nelle professioni e nella vita pubblica, affinché considerino seriamente la possibilità di aiutare i loro nuovi fratelli nella fede, anche senza abbandonare la loro patria. Il loro consiglio, la loro esperienza, la loro assistenza tecnica, potranno, senza eccessiva fatica e senza gravi incomodi, portare un contributo a volte risolutivo. Non mancherà ai buoni lo spirito di iniziativa per tradurre in pratica questo Nostro paterno desiderio, facendolo conoscere là dove potrà essere accolto, incoraggiando le buone disposizioni e facendo trovare ad esse il migliore impiego.
Il Nostro immediato predecessore esortò i vescovi affinché, con spirito di collaborazione fraterna e disinteressata, provvedessero all’assistenza spirituale dei giovani cattolici venuti nelle loro diocesi dai paesi di missione, per compiere gli studi e acquistare esperienze che li metteranno in grado di assumere funzioni direttive nel proprio paese.(49) A quali pericoli intellettuali e morali essi siano esposti in una società che non è la loro e che spesso, purtroppo, non è tale da sostenere la loro fede e incoraggiare la virtù, ognuno di voi, venerabili fratelli, se ne renderà conto, e mosso dalla consapevolezza del dovere missionario che incombe a tutti i sacri pastori, vi provvederà con la più sollecita carità e nei modi più adatti. Non sarà difficile a voi rintracciare questi studenti, affidarli a sacerdoti e laici particolarmente dotati per questo ministero, assisterli spiritualmente, far sentire e sperimentare ad essi la fragranza e le risorse della carità cristiana che ci fa tutti fratelli e premurosi l’uno dell’altro. Ai tanti e così tangibili aiuti che voi date alle missioni, si aggiunge questo che fa più immediatamente presente a voi un mondo geograficamente lontano, ma spiritualmente anche vostro.
A questi studenti, poi, Noi vogliamo dire non soltanto tutto il Nostro amore, ma anche rivolgere un pressante, affettuoso monito a portare dovunque alta la fronte segnata dal sangue di Cristo e dall’unzione del sacro crisma, a profittare del loro soggiorno all’estero non soltanto per la loro formazione professionale, ma anche per l’ampliamento e il perfezionamento della loro formazione religiosa. Essi potranno trovarsi esposti a molti danni, ma si trovano anche nella buona occasione di trarre molti vantaggi spirituali dalla loro dimora nelle nazioni cattoliche, mentre ogni cristiano, chiunque esso sia e in qualsiasi parte della terra sia nato, ha sempre il dovere del buon esempio e della scambievole edificazione spirituale.
V Dopo avervi intrattenuti, venerabili fratelli, sui bisogni attuali più caratteristici della chiesa nelle terre di missione, non possiamo fare a meno di esprimere la Nostra commossa gratitudine verso tutti coloro che si prodigano per la causa della propagazione della fede fino agli estremi confini del mondo. Ai cari missionari del clero secolare e regolare, alle religiose così esemplarmente generose e così preziose per le varie necessità delle missioni, ai laici missionari prontamente accorsi sulle frontiere della fede, Noi assicuriamo le particolarissime e quotidiane Nostre preghiere e ogni altro aiuto che è in Nostro potere di dare. Il successo della loro opera, visibile anche nella fecondità spirituale delle giovani comunità cristiane, è il segno del gradimento e della benedizione di Dio, e nello stesso tempo attestano la solerzia e la saggezza con cui la Sacra Congregazione «de Propaganda Fide» e la Sacra Congregazione per la chiesa orientale assolvono i delicati compiti loro affidati.
A tutti i vescovi, il clero e i fedeli delle diocesi del mondo intero che contribuiscono con le preghiere e con le offerte ai bisogni spirituali e materiali delle missioni, rivolgiamo l’incitamento a intensificare ancora questa necessaria collaborazione. Nonostante la scarsezza di clero che preoccupa i pastori anche delle più antiche diocesi, non si abbia la minima esitazione a incoraggiare le vocazioni missionarie e privarsi di eccellenti soggetti laici per metterli a disposizione delle nuove diocesi. Di questo sacrificio non si tarderà a raccogliere i frutti soprannaturali. La gara di generosità che vede assiduamente impegnati tutti i fedeli del mondo nelle manifestazioni di zelo e di tangibile carità a vantaggio delle Opere che, alle dipendenze della Sacra Congregazione «de Propaganda Fide», convogliano i soccorsi provenienti da ogni parte verso le destinazioni più utili e urgenti, aumenti di quanto incessantemente crescono i bisogni. La carità sollecita e concreta dei fratelli incoraggerà i fedeli delle giovani comunità e farà ad essi sentire il calore di un affetto soprannaturale che la grazia alimenta nel cuore.
Molte diocesi e comunità cristiane delle terre di missione soffrono patimenti e persecuzioni anche sanguinose; ai sacri pastori che danno ai loro figli spirituali l’esempio di una fede che non si lascia piegare e di una fedeltà che non viene mai meno a prezzo anche del sacrificio della vita; ai fedeli così duramente provati ma così cari al cuore di Gesù Cristo che ha promesso la beatitudine e una ricompensa copiosa a coloro che subiranno persecuzioni a causa della giustizia (Mt 5,10-12), rivolgiamo la Nostra esortazione a perseverare nella loro santa battaglia, poiché il Signore, sempre misericordioso nei suoi disegni imperscrutabili, non farà loro mancare il soccorso delle grazie più preziose e dell’intima consolazione. Coi perseguitati è, in comunione di preghiera e di sofferenze, tutta quanta la chiesa di Dio, sicura nella sua attesa di vittoria.
Invochiamo con tutta l’anima sulle missioni cattoliche la valida assistenza dei loro santi patroni e santi martiri, e in modo specialissimo l’intercessione di Maria santissima, madre amorosa di tutti noi e regina delle missioni. A ciascuno di voi, venerabili fratelli, e a tutti coloro che in qualche maniera collaborano alla crescita del regno di Dio, impartiamo con l’affetto più grande l’apostolica benedizione, che sia conciliatrice e auspice delle grazie del Padre celeste rivelatosi nel Figlio suo, Salvatore del mondo, e che in tutti accenda e moltiplichi lo zelo missionario.
Roma, presso San Pietro, il 28 novembre 1959, anno II del Nostro pontificato.
GIOVANNI PP. XXIII
(1): Ioannes PP. XXIII, Litt. enc. Princeps Pastorum de catholicis Missionibus, quadragesimo exacto anno ex quo Epistula Apostolica «Maximum illud» a Benedicto Pp. XV edita est, [Ad venerabiles fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 28 novembris 1959: AAS 51(1959), pp. 833-864. – Versione italiana: L’Osservatore Romano, 29 nov. 1959; La Civiltà cattolica, 110(1959), IV, pp. 561-582.
Prologo: Paterne premure dei sommi pontefici per le missioni. – I. La gerarchia e il clero locale: L’appello della lettera apostolica «Maximum illud» di Benedetto XV per il clero indigeno; provvidi sviluppi sotto i pontificati di Pio XI e Pio XII, nella fraterna collaborazione tra il clero locale e i missionari d’altri paesi. – II. La formazione del clero locale: Educazione adattata all’ambiente, al senso di responsabilità e d’iniziativa con l’avvicinamento e la penetrazione tra le classi colte; educazione allo spirito di carità universale. – III. Il laicato nelle missioni: Importanza del laicato cattolico nella vita della chiesa, sua funzione, suoi doveri di testimonianza della verità e di carità anche nei bisogni materiali della comunità. – IV. Direttive per 1’apostolato laico nelle missioni: Preparazione all’apostolato e catechisti; azione cattolica e dirigenti; laicato autoctono; studenti nativi nei paesi occidentali.
Conclusione: Un pensiero di gratitudine e benedizione a tutti i missionari; esortazione ai vescovi, al clero e a tutti i fedeli ad incrementare sempre più le missioni.
(2): Cf. Homilia in die Coronationis habita: AAS 50(1958), p. 886.
(3): Cf. La propagazione della fede, Scritti di A.G. RONCALLI, Roma 1958, p. 103ss.
(4): Cf. AAS 11(1919), p. 440ss; EE 4/app.
(5): Cf. PIUS XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 65ss; EE 5/164ss; Ptus XII, Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 497ss; EE 6/752ss; Fidei donum: AAS 49(1957), p. 225ss; EE 6/1307ss.
(6): Litt. enc. Ad Petri cathedram: AAS 51(1959), p. 497ss; EE 7/1-80.
(7): Cf. AAS 11(1919), p. 440ss; EE 4/app.
(8): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 507; EE 6/773.
(9): Cf. Pms XII, Nuntius radiophonicus die Natali D.N.LCh. habitus: AAS 38(1946), p. 20.
(10): Pius XII, Epist. ad Em.mum Card. Adeodatum Piazza: AAS 47(1955), p. 542.
(11): AAS 11(1919), p. 445; EE 4/app.
(12): AAS 11(1919), p. 445; EE 4/app.
(13): PIUS XII, Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 677; EE 6/app.
(14): Pius XII, Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 686; EE 6/app.
(15): Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 686; EE 6/app.
(16): Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 687; EE 6/app.
(17): Epist. apost. Maximum illud: AAS (1919), p. 445; EE 4/app.
(18): Cf. Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 686; EE 6/app.
(19): Cf. Epist. apost. Maximum illud: AAS 11(1919), p. 448; EE 4/app.
(20): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 500; EE 6/757.
(21): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 522; EE 6/809.
(22): Cf. Allocut. iis qui interfuerunt Conventui II «des Écrivains et Artistes Noirs»: AAS 51(1959), p. 260.
(23): Pius XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 77; EE S/178.
(24): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 233; EE 6/1317.
(25): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 233; EE 6/1317.
(26): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 231; EE 6/1315.
(27): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 238; EE 6/1323.
(28): Hom. 11 in 11 Cor.: PG 61, 398.
(29): In Ep. loan. ad Parthos, tr. 10, c. 5: PL 35, 2060.
(30): Epist. apost. Maximum illud: AAS 11(1919), p. 446; EE 4/app.
(31): Epist. apost. Maximum illud: AAS 11(1919), p. 445; EE 4/app.
(32): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 510ss; EE 6/781ss.
(33): Cf. Pms XII, Litt. enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), pp. 200-201; EE 6/167; Pius XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 78; EE 5/180.
(34): S. THOMAS AQ., Summa theol., II-II, q. 3, a. 2, ad 2.
(35): S. IOANNES CHRYSOSTOMUS, Hom. X fIl 1 Tim.: PG 62, 551.
(36): F.X. Funk, Patres Apostolici, vol. I, p. 201.
(37): Litt. enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), p. 200; EE 6/165.
(38): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 237; EE 6/1323.
(39): PIUS XII, Litt. enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), p. 201; EE 6/168.
(40): Cf. Pius XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 78; EE 5/180.
(41): Cf. Pius XII, Sermo anno 1957 habitum ad eos, qui alteri interfuerunt Conventui catholicorum ex universo orbe pro laicorum Apostolatu: AAS 49 (1957), p. 937.
(42): Cf. Litt. enc. Ad Petri cathedram: AAS 51(1959), p. 523; EE 7/60.
(43): Ibid.
(44): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 513; EE 6/788.
(45): Cf. Pius XII, Ep. de Actione Catholica, 11 oct. 1946: AAS 38(1946), p. 422; Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, VIII, p. 468.
(46): Litt. enc. Ad Petri cathedram: AAS 51(1959), p. 524; EE 7/62.
(47): Pius XII, Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 229; EE 6/1312.
(48): Ep. 288: PG 32, 855.
(49): Cf. Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 245; EE 6/1335.
Prologo: Paterne premure dei sommi pontefici per le missioni. – I. La gerarchia e il clero locale: L’appello della lettera apostolica «Maximum illud» di Benedetto XV per il clero indigeno; provvidi sviluppi sotto i pontificati di Pio XI e Pio XII, nella fraterna collaborazione tra il clero locale e i missionari d’altri paesi. – II. La formazione del clero locale: Educazione adattata all’ambiente, al senso di responsabilità e d’iniziativa con l’avvicinamento e la penetrazione tra le classi colte; educazione allo spirito di carità universale. – III. Il laicato nelle missioni: Importanza del laicato cattolico nella vita della chiesa, sua funzione, suoi doveri di testimonianza della verità e di carità anche nei bisogni materiali della comunità. – IV. Direttive per 1’apostolato laico nelle missioni: Preparazione all’apostolato e catechisti; azione cattolica e dirigenti; laicato autoctono; studenti nativi nei paesi occidentali.
Conclusione: Un pensiero di gratitudine e benedizione a tutti i missionari; esortazione ai vescovi, al clero e a tutti i fedeli ad incrementare sempre più le missioni.
(2): Cf. Homilia in die Coronationis habita: AAS 50(1958), p. 886.
(3): Cf. La propagazione della fede, Scritti di A.G. RONCALLI, Roma 1958, p. 103ss.
(4): Cf. AAS 11(1919), p. 440ss; EE 4/app.
(5): Cf. PIUS XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 65ss; EE 5/164ss; Ptus XII, Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 497ss; EE 6/752ss; Fidei donum: AAS 49(1957), p. 225ss; EE 6/1307ss.
(6): Litt. enc. Ad Petri cathedram: AAS 51(1959), p. 497ss; EE 7/1-80.
(7): Cf. AAS 11(1919), p. 440ss; EE 4/app.
(8): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 507; EE 6/773.
(9): Cf. Pms XII, Nuntius radiophonicus die Natali D.N.LCh. habitus: AAS 38(1946), p. 20.
(10): Pius XII, Epist. ad Em.mum Card. Adeodatum Piazza: AAS 47(1955), p. 542.
(11): AAS 11(1919), p. 445; EE 4/app.
(12): AAS 11(1919), p. 445; EE 4/app.
(13): PIUS XII, Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 677; EE 6/app.
(14): Pius XII, Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 686; EE 6/app.
(15): Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 686; EE 6/app.
(16): Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 687; EE 6/app.
(17): Epist. apost. Maximum illud: AAS (1919), p. 445; EE 4/app.
(18): Cf. Adhort. apost. Menti Nostrae: AAS 42(1950), p. 686; EE 6/app.
(19): Cf. Epist. apost. Maximum illud: AAS 11(1919), p. 448; EE 4/app.
(20): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 500; EE 6/757.
(21): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 522; EE 6/809.
(22): Cf. Allocut. iis qui interfuerunt Conventui II «des Écrivains et Artistes Noirs»: AAS 51(1959), p. 260.
(23): Pius XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 77; EE S/178.
(24): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 233; EE 6/1317.
(25): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 233; EE 6/1317.
(26): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 231; EE 6/1315.
(27): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 238; EE 6/1323.
(28): Hom. 11 in 11 Cor.: PG 61, 398.
(29): In Ep. loan. ad Parthos, tr. 10, c. 5: PL 35, 2060.
(30): Epist. apost. Maximum illud: AAS 11(1919), p. 446; EE 4/app.
(31): Epist. apost. Maximum illud: AAS 11(1919), p. 445; EE 4/app.
(32): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 510ss; EE 6/781ss.
(33): Cf. Pms XII, Litt. enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), pp. 200-201; EE 6/167; Pius XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 78; EE 5/180.
(34): S. THOMAS AQ., Summa theol., II-II, q. 3, a. 2, ad 2.
(35): S. IOANNES CHRYSOSTOMUS, Hom. X fIl 1 Tim.: PG 62, 551.
(36): F.X. Funk, Patres Apostolici, vol. I, p. 201.
(37): Litt. enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), p. 200; EE 6/165.
(38): Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 237; EE 6/1323.
(39): PIUS XII, Litt. enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), p. 201; EE 6/168.
(40): Cf. Pius XI, Litt. enc. Rerum Ecclesiae: AAS 18(1926), p. 78; EE 5/180.
(41): Cf. Pius XII, Sermo anno 1957 habitum ad eos, qui alteri interfuerunt Conventui catholicorum ex universo orbe pro laicorum Apostolatu: AAS 49 (1957), p. 937.
(42): Cf. Litt. enc. Ad Petri cathedram: AAS 51(1959), p. 523; EE 7/60.
(43): Ibid.
(44): Litt. enc. Evangelii praecones: AAS 43(1951), p. 513; EE 6/788.
(45): Cf. Pius XII, Ep. de Actione Catholica, 11 oct. 1946: AAS 38(1946), p. 422; Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio XII, VIII, p. 468.
(46): Litt. enc. Ad Petri cathedram: AAS 51(1959), p. 524; EE 7/62.
(47): Pius XII, Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 229; EE 6/1312.
(48): Ep. 288: PG 32, 855.
(49): Cf. Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 245; EE 6/1335.