Istruzione “Postquam Apostoli”
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO ISTRUZIONE ” POSTQUAM APOSTOLI “
I. PROEMIO
Insegnamento del concilio Vaticano II
1. Dopo che agli apostoli venne affidata da Cristo Signore, prima della sua ascensione al cielo, la missione di essere testimoni “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8), tutte le loro fatiche e sollecitudini non ebbero altro scopo che la fedele esecuzione del mandato di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). La chiesa, come attesta la storia, lungo il corso dei secoli non ha mai cessato di impegnarsi con fedeltà e slancio per l’attuazione pratica di tale mandato. E anche recentemente circa lo stesso mandato, i successori degli apostoli radunati da tutto il mondo nel concilio ecumenico Vaticano II insistettero con queste parole: “(I pastori) si dimostrino solleciti di quelle parti del mondo, dove la parola di Dio non è stata ancora annunziata o dove, specialmente a motivo dello scarso numero di sacerdoti, i fedeli sono in pericolo di allontanarsi dalla pratica della vita cristiana, anzi di perdere la stessa fede”. Per questo motivo i vescovi abbiano cura “di preparare degni sacerdoti e ausiliari sia religiosi che laici, non solo per le missioni, ma anche per le regioni che hanno scarsezza di clero”.(1) Istituzione di una commissione per la distribuzione del clero 235 2. Per dare pratica attuazione a tale intenzione del concilio, il sommo pontefice Paolo VI, con il motuproprio Ecclesiae sanctae, volle che fosse istituita presso la Santa Sede una speciale commissione “con il compito di emanare principi generali per una migliore distribuzione del clero, tenendo conto delle necessità delle varie chiese”.(2) La sede di tale commissione, come ha stabilito la cost. apost. Regimini ecclesiae universae, si trova presso la Congregazione per il clero. (3) Su tale materia questo sacro dicastero ha già consultato le conferenze episcopali e ha celebrato un congresso internazionale a Malta nel 1970. (4) Inoltre dopo aver convocato spesso i suoi membri e udito più volte il parere degli altri organi della curia romana, questo stesso dicastero, ben ponderando l’importanza e l’opportunità della cosa, si è impegnato per la preparazione di norme direttive che ora, con l’approvazione del sommo pontefice, promulga per mezzo del presente documento.
II. NECESSITÀ DI ADEMPIERE IL MANDATO DI CRISTO
Tutta la chiesa È chiamata ad evangelizzare
3. Il mezzo con cui la chiesa deve adempiere il mandato di Cristo è l’evangelizzazione, sull’esempio del suo fondatore, che è stato il primo evangelizzatore. Essa, infatti, ha ritenuto sempre suo specifico e principale compito l’evangelizzazione. Esiste anzi soltanto per questo compito, come ebbero a dichiarare i vescovi nel sinodo del 1974: “Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della chiesa”.(5) Ne segue che nessun battezzato e cresimato nella chiesa può esimersi da tale dovere, come ha ammonito il concilio Vaticano II: “Essendo tutta la chiesa missionaria ed essendo l’opera dell’evangelizzazione dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro concilio invita tutti ad un profondo rinnovamento interiore, affinché abbiano una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del vangelo”.(6) Sebbene ogni cristiano debba collaborare nella missione della chiesa per la parte che gli spetta, considerata tuttavia la diversità dei membri per quanto concerne i compiti da adempiere, (7) diverso sarà il ruolo del vescovo, del presbitero, del religioso, come pure del laico.
Il ruolo del vescovo
4. Il dovere dell’evangelizzazione spetta anzitutto ai vescovi, i quali – “con Pietro e sotto Pietro” (8) – devono non solo curare l’opera dell’evangelizzazione per i fedeli della loro diocesi, ma sentire altresì la responsabilità per la salvezza del mondo intero. Infatti essi “in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, sono tenuti per istituzione e precetto di Cristo (9) ad avere per tutta la chiesa una sollecitudine che, sebbene non esercitata con atti di giurisdizione, tuttavia sommamente contribuisce al bene della chiesa universale”.(10) Compito del vescovo è curare con ogni sforzo che nei fedeli venga istillato sin dalla prima infanzia e mantenuto in vita un autentico senso cattolico, (11) per amare tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente nelle sue membra più povere, sofferenti e perseguitate a causa della giustizia. (12) Egli deve inoltre promuovere lo zelo missionario in mezzo al suo popolo, affinché agli operai del vangelo in terra di missione non vengano a mancare gli aiuti sia spirituali che materiali; deve incoraggiare le vocazioni dei giovani per le missioni, come pure indirizzare l’attenzione dei candidati al sacerdozio alla dimensione universale della loro missione, e quindi alla loro disponibilità a servire anche fuori diocesi. (13) Il dovere dei presbiteri
5. I presbiteri, che insieme con i vescovi agiscono “in nome e nella persona di Cristo capo”,(14) collaborano in modo eminente per la dilatazione del regno di Dio sulla terra con il loro ufficio di pastori di anime, con la predicazione della parola di Dio e con l’amministrazione dei sacramenti della nuova legge. (15) Essi, perciò, per mezzo del loro ministero “rendono visibile nella loro sede la chiesa universale”. (16) D’altra parte la stessa comunità cristiana per sua essenza necessita della presenza dei sacerdoti, perché essa non è formata veramente se non mediante il sacrificio di Cristo che “per le loro mani e in nome di tutta la chiesa viene offerto nell’eucaristia in modo incruento e sacramentale”;(17) e tale azione liturgica costituisce il centro della comunità dei fedeli. (18) Pertanto molto giustamente fu dichiarato dal sinodo dei vescovi nel 1971 a riguardo del sacerdozio ministeriale: “Se venisse a mancare la presenza e l’azione del suo ministero (del sacerdote)… la chiesa non potrebbe avere la piena certezza della sua fedeltà e della sua continuità visibile”.(19) Sennonché tale dono spirituale che i presbiteri ricevono nella sacra ordinazione “non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza fino agli ultimi confini della terra, dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli”.(20) Cosicché tutti i sacerdoti devono alimentare tale disponibilità d’animo nel loro cuore, e se qualcuno ottiene dallo Spirito del Signore una particolare vocazione, con il consenso del suo vescovo, non rifiuterà di recarsi in un’altra diocesi per continuare il suo ministero. Comunque, tutti i sacerdoti devono essere sensibili ai bisogni della chiesa universale, e quindi informarsi sia sullo stato delle missioni, sia su quello delle chiese particolari che si trovano in qualche particolare difficoltà, affinché possano esortare i fedeli a partecipare ai bisogni della chiesa. (21) La partecipazione dei religiosi
6. I religiosi e le religiose già in virtù della professione dei voti sono intimamente legati al mistero della chiesa, e quindi dall’indole stessa particolare della loro vita segue il dovere di adoperarsi affinché “il regno di Cristo sia radicato e consolidato negli animi e dilatato in ogni parte del mondo”.(22) Di conseguenza il concilio Vaticano II non solo li esorta a mantenere lo spirito missionario, ma invita altresì gli istituti, salvo il loro specifico scopo, ad aggiornarsi per corrispondere alle situazioni odierne, in modo che “l’evangelizzazione nelle missioni diventi sempre più efficace”.(23)
I religiosi e le religiose, poi, che appartengono a istituti missionari, furono e sono tuttora modelli di vita dedita interamente alla causa di Cristo. In essi è da ammirare quella prontezza che scaturisce dalla loro consacrazione a Dio, per cui essi sono disponibili in tutto per servire Dio, la chiesa e i fratelli; infatti “grazie alla loro consacrazione religiosa essi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e andare ad annunziare il vangelo fino ai confini del mondo”.(24) Essendo, infine, lo stato religioso un “dono speciale”, esso è ordinato a favore di tutta la chiesa, la cui missione salvifica in nessun modo può prescindere dalla partecipazione dei religiosi. (25) La chiamata dei laici
7. Tutti i laici, in virtù del battesimo e della cresima, sono chiamati dal Signore ad un effettivo apostolato: “La vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all’apostolato”.(26) L’apostolato dei laici, sebbene si eserciti principalmente nelle parrocchie, dev’essere tuttavia esteso anche a livello interparrocchiale, diocesano, nazionale e internazionale. Essi, anzi, devono avere a cre “le necessità del popolo di Dio in tutta la terra”; il che potrà effettuarsi aiutando le opere missionarie sia con sussidi materiali sia con servizi personali. (27) I laici, inoltre, possono essere chiamati dalla gerarchia a una cooperazione più diretta e immediata all’apostolato. La chiesa, infatti, negli ultimi decenni ha scoperto le ricche possibilità e le vaste risorse che la collaborazione dei laici può offrire alla sua missione di salvezza. L’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, già in base alle recenti esperienze, enumera varie mansioni, come quella di catechista, quella di cristiani dedicati al servizio della parola di Dio o alle opere di carità, quella di capi di piccole comunità, ecc. Tale collaborazione dei laici, utile dovunque, è utile soprattutto in terra di missione per la fondazione, l’animazione e lo sviluppo della chiesa. (28) Tutti i membri della chiesa, adunque, siano essi pastori, laici o religiosi, partecipano, ciascuno a modo suo, alla natura missionaria della chiesa. La diversità dei membri, dovuta alla varietà dei ministeri o dei carismi, come l’apostolo ci insegna, deve essere intesa nel senso che “queste membra non hanno tutte le medesime funzioni”, ma servendo gli uni agli altri, formano un solo corpo di Cristo (Rm 12,4) per poter meglio adempiere il proprio mandato; tutta la chiesa, infatti, è spinta dallo Spirito santo a cooperare affinché si realizzi il piano di Dio. (29)
III. L’ADEMPIMENTO DEL MANDATO DI CRISTO NEL NOSTRO TEMPO
Dati statistici della popolazione mondiale 247
8. Ora, se rivolgiamo la nostra attenzione al mondo da evangelizzare e, più precisamente, alla popolazione non cristiana, non può non colpirci l’insufficienza dei mezzi di cui oggi la chiesa dispone per affrontare l’immenso problema. Infatti, nel 1977, il nostro pianeta contava 4.094.110.000 abitanti, di cui soltanto 739.127.000 cattolici, ossia appena il 18% della popolazione mondiale. (30) Se poi vogliamo considerare il numero dei sacerdoti, paragonandolo con il numero degli abitanti del mondo, abbiamo questo quadro: per ogni 100.000 abitanti si hanno in Asia 2, in Africa 4, in America latina 13, in Oceania 26, nell’America del nord 29, in Europa 37 sacerdoti.
Disuguaglianza delle forze di apostolato nell’interno della chiesa 2
9. Inoltre, se si esamina la distribuzione dei sacri ministri fra gli stessi cattolici, i dati statistici mostrano questo quadro: per ogni 100.000 cattolici nell’America latina si trovano 16 sacerdoti, 33 in Africa del sud e in Estremo Oriente 43, in Europa 93, in Oceania 104, nell’America del nord 120, e 133 nel Medio-Oriente Asiatico. Da quanto si è detto si avverte questa grande sproporzione: mentre in Europa e in America del nord si trova il 45% dei cattolici del mondo, assistiti dal 77, 2% di tutti i sacerdoti della chiesa cattolica, nell’America latina e nelle Isole Filippine, invece, dove pure abita il 45% dei cattolici del mondo, soltanto 12, 62% dei preti prestano la loro assistenza spirituale. In altri termini, la proporzione dei sacerdoti, per lo stesso numero di fedeli, è di 4 a 1, a favore dell’Europa e dell’America del nord in confronto dell’America latina e delle Filippine. È da notare che quasi la stessa disuguaglianza si trova nelle medesime aree geografiche se si considera il numero dei diaconi, dei religiosi laici e delle religiose.
È vero che il problema di una miglior distribuzione del clero non si risolve semplicemente con il metodo numerico, poiché bisogna tener conto dell’evoluzione storica, delle specifiche condizioni delle chiese particolari più sviluppate, le quali, naturalmente, richiedono un maggior numero di ministri. Tuttavia i dati statistici, di cui sopra, conservano il loro peso che fa riflettere e presenta gravi problemi per coloro che hanno a cuore una sana evoluzione della chiesa e, soprattutto, per coloro che hanno autorità nella chiesa, come si dirà più avanti.
Il più grande ostacolo deriva dalla scarsità del clero
10. Per obbedire oggi alla volontà di Cristo in ordine alla evangelizzazione, il più grande ostacolo sembra derivare dalla forte diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose; fenomeno, che negli ultimi decenni affligge molte, anche se non tutte, le regioni di antica tradizione cristiana, o per il numero esiguo dei candidati, o per la dolorosa defezione di alcuni, o per l’età media piuttosto alta dei sacerdoti.
Ma non bisogna dimenticare che tale penuria, se si guarda alle condizioni delle diocesi che si trovano in stato di maggior bisogno, è molto relativa, come si è visto nel numero precedente. In realtà la scarsezza del clero in sé non dovrebbe ostacolare la generosità. “Le diocesi che soffrono la scarsezza del clero – come già Pio XII ammoniva – non dovrebbero rifiutare di ascoltare le istanze supplichevoli provenienti dalle missioni che chiedono aiuto. L’obolo della vedova, secondo la parola del Signore, sia un esempio da seguire: se una diocesi povera soccorre un’altra povera, non potrà seguire un suo maggior impoverimento, poiché non si può mai vincere il Signore in generosità”. (31) Ogni chiesa particolare dovrebbe meditare la profezia messianica: “Saranno evangelizzati i poveri” (Lc 7,28), affinché la prudenza troppo umana o terrestre non soffochi quei sentimenti di generosità che spingono ad offrire il dono della fede a tutti coloro che oggi potrebbero essere in qualche modo chiamati “poveri”. Dobbiamo, pertanto, convincerci che il mandato di Cristo non potrà mai essere adempiuto, se una chiesa particolare volesse offrire alle chiese più povere soltanto il superfluo delle sue forze.
Il piano di Dio e l’esiguità delle forze umane
11. Se confrontiamo il numero dei cattolici con quello dei non cattolici, e nello stesso tempo riflettiamo sulla missione affidata oggi alla chiesa per l’adempimento del mandato di Cristo, facilmente potremmo essere presi dallo scoraggiamento, tanto più sapendo che tale sproporzione forse peggiorerà nel prossimo futuro, e che l’indifferentismo di moltissimi cattolici va aumentando, anche in conseguenza di altri mali, come il secolarismo, il naturalismo, il materialismo, ecc., che hanno invaso il tenore di vita nei paesi di antica tradizione cristiana.
Non dobbiamo però dimenticare che la chiesa – qualora si considerino i soli mezzi umani – mai si è trovata alla pari della grandezza della sua vocazione nel mondo. Anzi tale insufficienza fu prevista dallo stesso suo Fondatore, il quale designando i discepoli, diceva ad essi: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi”; ed aggiungeva: “Pregate adunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Lc 10,2), volendo con ciò inculcare nella mente dei discepoli che il mezzo più efficace per superare gli ostacoli è la preghiera, giacché qui non si tratta di un tentativo o impresa sul piano umano, ma della realizzazione di un disegno divino. Con la preghiera, infatti, per mezzo della quale ci riconosciamo bisognosi dell’aiuto di Dio, non solo assumiamo le nostre responsabilità nell’esecuzione del disegno divino e ci rendiamo così disponibili ad essere “inviati”, ma, quel che più conta, esercitiamo altresì un influsso diretto sull’aumento stesso delle vocazioni, poiché il Signore ci ha espressamente avvertito che il numero degli operai dipende dalla preghiera.
Ci è stato bensì rivelato il disegno divino di salvezza per tutti gli uomini, ma rimane oscuro e misterioso quando il regno messianico giungerà alla sua pienezza: “Non sta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato in suo potere” (At 1,7). Con tali parole pare si dica anche che il mandato di Cristo, per potere essere realizzato, necessita del tempo. Invero la storia della chiesa ci dimostra che col passare dei secoli si verificarono momenti di grazia, quando moltitudini di popoli ricevevano il seme della parola di Dio; ma bisogna riconoscere che vi furono, ed anche ora vi sono tempi meno favorevoli, particolarmente per certe popolazioni. (32) Scoprire i momenti e l’ora della grazia, e stabilire quali siano i popoli maturi per il vangelo, è compito di coloro che, illuminati dalla luce di Cristo, sono in grado di leggere i segni dei tempi, e soprattutto di coloro che lo Spirito santo ha posto a reggere la sua chiesa (At 20,28). Al riguardo, piace riferire l’esempio di papa Pio XII, che nell’enciclica “Fidei donum”, aveva raccomandato a tutti i figli della chiesa la terra d’Africa, come continente già maturo per l’evangelizzazione. (33) Testimonianza della chiesa primitiva
12. Quanto si è affermato concorda perfettamente con la storia della chiesa primitiva. Gli Atti degli apostoli dimostrano con evidenza (34) che i nostri antenati nella fede pensavano in questo modo. Il loro metodo apostolico era proprio questo: inviare i messaggeri del vangelo in altre regioni, senza preoccuparsi che la comunità locale fosse, nella sua totalità, convertita alla fede di Cristo. In questa maniera gli apostoli e i loro collaboratori obbedivano al comando di Cristo: “Andate e insegnate a tutte le genti” (Mt 28,19), riponendo tutta la loro fiducia nella volontà di Dio che vuole “che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). Il concilio Vaticano II raccomanda lo stesso metodo: “È assai conveniente che le giovani chiese partecipino quanto prima, di fatto, alla missione universale della chiesa, inviando anch’esse missionari a predicare dappertutto il vangelo, anche se soffrono per la scarsezza del clero”. E ne dà la ragione: “La comunione con la chiesa universale raggiungerà in un certo modo la sua perfezione solo quando anch’esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni”. (35) IV. COMPITI E DOVERI DELLE CHIESE PARTICOLARI La chiesa particolare come comunità 258 13. La diocesi, come chiesa particolare, è una porzione del popolo di Dio che è affidata al vescovo con la collaborazione del presbiterio, per essere governata, e santificata. (36) Ma perché si formi una vera e viva comunità diocesana, è necessario che le strutture di base, e specialmente le parrocchie, coltivino il senso della diocesi e si sentano come cellule vive in essa, e così si inseriscano nella chiesa universale. (37) Perciò il concilio esorta i parroci a svolgere la loro funzione in modo che “i fedeli e le comunità parrocchiali si sentano realmente membri non solo della diocesi, ma anche della chiesa universale”.(38) In questa chiesa particolare “è veramente presente e agisce la chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”.(39) Ne segue che la diocesi deve riprodurre alla perfezione la chiesa universale nell’ambiente concreto; e bisogna che diventi un segno tale da poter additare Cristo a tutti coloro che con lei hanno un qualche rapporto. (40) La chiesa particolare in rapporto con le altre chiese
14. Siccome la chiesa particolare è stata formata “secondo l’immagine della chiesa universale”, (41) nel suo seno si rispecchia la speranza e l’angoscia, la gioia e la tristezza di tutta la chiesa. È vero che la chiesa particolare deve innanzitutto evangelizzare la porzione del popolo di Dio a lei affidata, ossia quelli che hanno perduto la fede oppure non la praticano più; (42) ad essa, tuttavia, incombe anche il sacrosanto dovere di “promuovere tutta l’attività che è comune alla chiesa universale”.(43) Ne segue che la chiesa particolare non può chiudersi in se stessa, ma, come parte viva della chiesa universale, deve aprirsi alle necessità delle altre chiese. Pertanto la sua partecipazione alla missione evangelizzatrice universale non è lasciata al suo arbitrio, anche se generoso, ma deve considerarsi come una fondamentale legge di vita; diminuirebbe, infatti, il suo slancio vitale, se essa, concentrandosi unicamente sui propri problemi, si chiudesse alle necessità delle altre chiese. Riprende invece nuovo vigore, tutte le volte che si allargano i suoi orizzonti verso gli altri. Tale dovere della chiesa particolare è chiaramente sottolineato dal concilio Vaticano II, in quanto afferma che il rinnovamento, anzi la sana riforma della chiesa particolare, dipende dal grado di carità ecclesiale con cui essa si sforza di portare il dono della fede alle altre chiese: “La grazia del rinnovamento non può crescere nelle comunità, se ciascuna di esse non allarga gli spazi della carità sino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono suoi membri”.(44) Il significato della collaborazione reciproca
15. La chiesa universale conseguirà un grande profitto, se le comunità diocesane si sforzeranno di sviluppare reciproci rapporti, scambiandosi aiuti e beni; sorgerà così quella comunione e cooperazione delle chiese fra di loro che oggi è quanto mai necessaria perché possa felicemente proseguire il lavoro della evangelizzazione. (45) Parlando di questo argomento, si usano sovente espressioni, come quelle di “diocesi ricche” o “diocesi povere”; espressioni che potrebbero indurre in errore, come se una chiesa dia soltanto aiuto, e l’altra soltanto lo riceva. Invece la questione sta in altri termini: si tratta, infatti, di una scambievole collaborazione, perché esiste una vera reciprocità fra le due chiese, in quanto la povertà di una chiesa che riceve aiuto, rende più ricca la chiesa che si priva nel donare, e lo fa sia rendendo più vigoroso lo zelo apostolico della comunità più ricca, sia soprattutto comunicando le sue esperienze pastorali, che spesso sono utilissime e possono riguardare un metodo più semplice ma più efficace di lavoro pastorale, o gli ausiliari laici nell’apostolato, o le piccole comunità, ecc.
Gli artefici di questa comune collaborazione saranno gli stessi ministri, scelti dal vescovo, i quali si sentiranno come messaggeri della propria comunità, fungendo da ambasciatori di Cristo presso l’altra comunità. Per rendere, poi, più intenso e vivo questo reciproco scambio di esperienze pastorali, la diocesi, oppure anche una grande comunità parrocchiale, potrà fare un gemellaggio con un’altra comunità povera, alla quale oltre i sussidi materiali potrà inviare anche sacri ministri come collaboratori. Tale genere di cooperazione reciproca, come dimostra l’esperienza, potrà giovare moltissimo ad ambedue le comunità. (46) Necessità di ascoltare le grida di aiuto
16. Stando così le cose, le chiese particolari devono sempre più prendere coscienza della loro comune responsabilità, e facendosi sensibili alle grida di aiuto, si dimostrino pronte ad aiutare coloro che ne hanno bisogno. Fra queste, sono anzitutto meritevoli di aiuto le chiese novelle che soffrono per la grave scarsezza di sacerdoti e per la mancanza di mezzi materiali; ma bisogna porgere aiuto anche a quelle chiese che, pur esistendo da antica data, per diverse circostanze si trovano in uno stato di grande debolezza. (47) 264 È chiaro che le chiese più bisognose possono essere grandemente aiutate con l’invio di sacerdoti e altri collaboratori. Lo scopo di tale aiuto non sarà, come è ovvio, di coprire semplicemente le lacune esistenti, ma piuttosto quello di inviare ministri tali che, una volta inseriti fra le forze dell’apostolato locale, diventino, a guisa di pedagoghi, veri educatori nella fede; di modo che le chiese locali, conservando il loro carattere autoctono, siano messe in condizione di diventare gradatamente più sviluppate e forti, onde provvedere in seguito con i propri mezzi alle loro necessità. Ciò spiega perché i vescovi e gli altri superiori sono pregati di inviare per questo genere di evangelizzazione “alcuni tra i loro migliori sacerdoti”. (48) Necessità di riformare le strutture ecclesiastiche
17. Perché una chiesa particolare possa più adeguatamente svolgere il suo compito di portare aiuto alle altre che si trovano in stato di bisogno, si richiede anzitutto che anche nel seno della stessa chiesa particolare si proceda ad una nuova revisione delle forze e ad una ristrutturazione dei quadri tradizionali. La ragione sta nel fatto che nelle regioni tradizionalmente cristiane si sono verificati fenomeni sociali che già di per sé hanno trasformato le strutture della società; quindi anche le strutture ecclesiastiche dovrebbero essere adattate alla nuova realtà. Basti qui citare fra i fenomeni nuovi: la trasmigrazione della gente nelle regioni industriali; l’urbanesimo con il conseguente spopolamento di altre zone; il problema generale degli emigrati sia per scopo di lavoro, sia per motivi politici; (49) il fenomeno così diffuso del turismo per periodi più o meno lunghi (ad esempio, in occasione delle ferie o di fine settimana). (50) Tali fenomeni richiedono una nuova presenza dei sacerdoti i quali in queste mutate circostanze di vita dovranno affrontare una cura d’anime specializzata.
Perciò s’impone il problema se e come rinnovare le strutture che una volta soddisfacevano bene al bisogno spirituale del popolo di Dio. Certamente tale revisione non è facile e richiede molta prudenza e circospezione. Il vescovo, con l’aiuto dei consigli sia presbiterale che pastorale, dovrebbe elaborare un progetto organico per un miglior impiego di coloro che partecipano effettivamente nella cura di anime. Rinviare tale problema non pare più possibile senza che la chiesa non abbia a soffrire danni. Infatti, non è raro il fatto che, nonostante la lamentata scarsezza del clero, vi siano sacerdoti i quali si sentono frustrati per un impegno che non riempie le loro giornate, e per conseguenza giustamente desidererebbero di lavorare più intensamente.
l vescovo nell’intento di provvedere meglio alle necessità crescenti della cura di anime, ha il dovere di interessare i sacerdoti religiosi che, del resto, “sono da considerarsi in certo qual senso, come appartenenti al clero diocesano”; come pure tutti gli altri religiosi, uomini e donne, anche se esenti, i quali vivono e operano nel seno del popolo di Dio, perché anch’essi “sotto un particolare aspetto appartengono alla famiglia diocesana”; in ambedue i casi è da tener conto dell’indole propria di ciascun istituto religioso. (51) A questo proposito, la Congregazione per i vescovi, unitamente a quella per i religiosi e gli istituti secolari hanno pubblicato recentemente sapienti norme per una cordiale collaborazione sul piano formativo, operativo, e organizzativo. (52)
Negli ultimi tempi i pastori chiamano sempre più frequentemente laici al servizio delle comunità ecclesiali; ed essi, volentieri accettando varie mansioni, dedicano le loro energie al servizio della chiesa a tempo pieno o parziale. Così ai tempi, di oggi si riprende la prassi della chiesa dei primi tempi, quando i laici si impegnavano nei diversi servizi secondo le loro inclinazioni e carismi, e secondo i bisogni e l’utilità del popolo di Dio “per la cita e la vitalità della comunità ecclesiale”.(53) V. GLI ORGANI DELLA COLLABORAZIONE FRA LE CHIESE PARTICOLARI Le conferenze episcopali
18. Il ruolo principale e indispensabile per una più efficace collaborazione fra le chiese particolari spetta alle conferenze episcopali, le quali hanno come scopo specifico quello di coordinare la pastorale d’insieme. Al riguardo, il sommo pontefice Paolo VI così ha disposto nel motuproprio “Ecclesiae sanctae”: “Spetterà ai sinodi patriarcali e alle conferenze episcopali, tenendo presente quanto prescritto dalla sede apostolica, stabilire ordinanze ed emettere norme per i vescovi, per ottenere un’opportuna distribuzione del clero sia del proprio territorio, sia di quello che provenga da altre regioni; con tale distribuzione si provveda alle necessità di tutte le diocesi del proprio territorio, e si pensi anche al bene delle chiese in terra di missione e nelle nazioni che soffrono per scarsezza del clero”.(54) 270 Adunque, oltre a provvedere ai bisogni della cura pastorale nel proprio territorio, altre due necessità vengono raccomandate alle conferenze episcopali, e cioè il primo annuncio del vangelo in terra di missione e l’aiuto alle chiese più deboli in genere. Ambedue i compiti gravano su ciascuna chiesa particolare; tuttavia, affinché la cosa sia ben regolata, si richiede la collaborazione di tutti i vescovi della stessa nazione o del medesimo territorio. Per provvedere a queste necessità ciascuna conferenza episcopale deve costituire due commissioni: una per la miglior distribuzione del clero e un’altra per le missioni. (55) Poiché l’istituzione di quest’ultima intende promuovere lo zelo missionario ed ambedue hanno, in certo qual modo, uno scopo simile, pare sia necessaria la collaborazione fra le due commissioni, anzi, in qualche caso sembra più conveniente l’unificazione delle medesime.
Sollecitudine per i territori di missione
19. Per quanto riguarda il primo annuncio del vangelo, cioè le missioni, la direzione suprema delle relative questioni spetta alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che “ha competenza sulle cose che riguardano tutte le missioni istituite per diffondere dappertutto il regno di Cristo, e perciò sulla costituzione e sul cambiamento dei ministri necessari e delle circoscrizioni ecclesiastiche; nel proporre le persone che le reggano; nel promuovere in modo più efficiente il clero autoctono, al quale gradualmente vengano affidati più alti incarichi e il governo; nel dirigere e coordinare tutta l’attività missionaria in ogni parte della terra, riguardo sia ai missionari stessi, sia alla cooperazione missionaria dei fedeli”. (56) 272 In questo contesto, spetta alle conferenze episcopali promuovere la fattiva partecipazione del clero diocesano all’apostolato nelle missioni; stabilire un determinato contributo in danaro per le opere missionarie; intensificare sempre più i rapporti con gli istituti missionari e collaborare affinché siano eretti o aiutati i seminari che servono alle missioni. (57) Sempre in ordine alle opere missionarie, la commissione episcopale, costituita presso ogni conferenza episcopale, deve incrementare l’attività missionaria e la conveniente collaborazione fra le diocesi; perciò dovrà tenere rapporti con le altre conferenze e adoperarsi affinché nella ripartizione degli aiuti alle missioni, per quanto è possibile, sia mantenuta una giusta proporzione. (58) Sollecitudine per le chiese particolari più bisognose
20. Come è stato detto sopra, ogni conferenza episcopale deve istituire un’altra commissione episcopale che abbia per compito “di indagare sulle necessità delle varie diocesi del suo territorio e sulle loro possibilità di offrire ad altre chiese alcuni elementi del proprio clero, e di fare eseguire le decisioni stabilite e approvate dalla conferenza, che interessano la distribuzione del clero, riferendole ai vescovi di quei territori”.(59) Il compito, pertanto, di tale commissione è duplice. Anzitutto quello di rimuovere gli eventuali squilibri nel proprio territorio. Non di rado, infatti, si nota una grande sproporzione circa il numero dei sacerdoti, essendovi alcune diocesi con abbondanza di clero e altre invece dove la scarsità di sacerdoti mette in pericolo la conservazione stessa della fede.
L’altro compito riguarda la sollecitudine verso le chiese particolari che si trovano fuori del proprio territorio, per aiutarle in forza di quel vincolo di comunione che esiste fra le chiese particolari stesse, di cui sopra si è parlato. Tale lavoro deve svolgersi con l’indagare anzitutto sulle necessità delle diocesi, tenendo conto della proporzione fra il numero dei fedeli e quello dei pastori; in seguito, si presenti alla conferenza episcopale un esposto sulle necessità più urgenti e sulle possibilità di aiutare le chiese più bisognose. Per quanto riguarda questo secondo compito della commissione, già sono state intraprese lodevoli iniziative che in questo campo producono lieti frutti. (60) Collaborazione con i consigli dei superiori maggiori
21. Per il coordinamento delle attività di ministero e delle opere di apostolato nel territorio della medesima conferenza episcopale, si richiede una più stretta collaborazione fra il clero diocesano e gli istituti religiosi. La promozione di questo lavoro in comune spetta alla conferenza episcopale. Ma poiché una proficua cooperazione dipende molto da un atteggiamento che, mettendo in secondo ordine gli interessi particolari, mira unicamente al bene generale della chiesa, conviene che i vescovi e i superiori religiosi tengano delle riunioni, in tempi stabiliti, per esaminare il da farsi in comune nei rispettivi territori. (61) Per questo motivo il motuproprio “Ecclesiae sanctae” prescrive che si formi una commissione mista fra la conferenza episcopale e il consiglio nazionale dei superiori maggiori per le questioni che concernono l’una e l’altra parte. (62) L’argomento principale delle sedute di tale commissione mista dovrà riguardare proprio una migliore e più conveniente distribuzione delle forze di apostolato, determinando le priorità e le opzioni nel comune sforzo di promuovere un apostolato d’insieme. (63) Le deliberazioni di tale commissione dovranno essere poi sottoposte per competenza al giudizio della conferenza episcopale e del consiglio dei superiori religiosi. (64) L’animazione dei fedeli
22. Non si può abbastanza sottolineare il primo e principale compito che incombe ad ambedue le commissioni, che è quello di tenere continuamente bene informata l’opinione pubblica dei fedeli sia sulle necessità delle missioni, sia sulla situazione delle chiese particolari che si trovano in difficoltà. Esse, perciò, devono utilizzare tutti i mezzi di comunicazione sociale, devono aiutare e diffondere riviste e altre pubblicazioni del genere, come pure intervenire nella preparazione ed esecuzione di programmi ben precisi, in modo da tenere in evidenza i problemi relativi. Scopo di tutto questo, oltre a una buona e rapida informazione, è quello di rendere sempre più coscienti i fedeli delle loro responsabilità e sviluppare in essi il senso della cattolicità attraverso una matura e fattiva collaborazione delle chiese particolari. (65) VI. MINISTRI SACRI INVIATI IN ALTRE DIOCESI Necessità di una vocazione speciale
23. Benché tutti i fedeli a modo loro debbano partecipare all’opera di evangelizzazione, tuttavia chi desidera esplicare il sacro ministero in un’altra diocesi, necessita di una vocazione speciale. In realtà, tutta la comunità, sotto la guida del vescovo, è tenuta con preghiere e opere di penitenza ad impetrare dallo Spirito santo il dono delle vocazioni, onde siano disponibili sacerdoti, religiosi e laici i quali, lasciata la patria, vadano ad espletare in un altro campo il mandato di Cristo. (66) Per quanto concerne la preparazione degli animi giovanili, sin dalla prima età è necessario inculcare nei medesimi una mentalità veramente cattolica; per quel che riguarda poi i candidati al sacerdozio, durante la loro formazione occorre far sì che essi, oltre a coltivare l’amore verso la diocesi per il cui servizio sono ordinati, abbiano anche ad interessarsi di tutta la chiesa. (67) Idoneità dei ministri
24. Questa speciale vocazione presuppone, tuttavia, una indole adatta e doti naturali particolari. Tra le qualità psichiche, si ritengono necessari fortezza d’animo e sincero spirito di servizio. Pertanto, nella direzione delle anime i superiori usino grande diligenza per trovare atti e idonei candidati. E poiché è da augurarsi che i vescovi destinino per quest’opera ottimi sacerdoti, questi non solo debbono essere abbondantemente forniti di una sicura dottrina sacra, ma devono anche distinguersi per fede robusta, speranza incrollabile e zelo per le anime, (68) affinché, per quanto sta in loro, possano veramente generare negli altri la fede.
La necessaria preparazione
25. Tutti i ministri che vanno in un’altra diocesi, hanno bisogno di un’adeguata preparazione per ciò che riguarda la formazione umana, l’ortodossia della dottrina e lo stile di vita apostolico. Coloro poi che si recheranno in una diocesi di altra nazione per annunciare il vangelo, devono ricevere una formazione speciale, debbono cioè conoscere la cultura e la religione di quel popolo; fare gran conto della lingua e dei costumi; acquisire pratica della lingua insieme alla comprensione delle condizioni sociali, degli usi e delle consuetudini; esaminare infine con cura l’ordinamento morale e le intime convinzioni che quel popolo, secondo le sue sacre tradizioni, si è formato su Dio, sul mondo e sull’uomo. (69) Convenzione richiesta per il passaggio
26. Il passaggio dei ministri, soprattutto se sacerdoti, da una diocesi all’altra, bisogna che avvenga ordinatamente. L’ordinario “a quo” fornisca all’ordinario “ad quem” notizie esatte e chiare su coloro che devono essere inviati, specialmente se i motivi del trasferimento diano adito a sospetti. È assolutamente necessario che i diritti e i doveri dei sacerdoti che spontaneamente si offrono a tale passaggio, vengano accuratamente definiti in una convenzione scritta tra il vescovo a quo e il vescovo “ad quem”; (70) detta convenzione, stilata anche con l’intervento del sacerdote, affinché abbia valore normativo, deve essere accettata e sottoscritta dal sacerdote stesso; copia della convenzione, poi, venga conservata presso il sacerdote e presso le due curie. Simile convenzione si faccia anche con gli ausiliari laici; per i religiosi, occorre osservare le costituzioni dell’istituto di provenienza. Il medesimo principio, fatta la proporzione, vale anche per i numeri seguenti.
Oggetto della convenzione
27. In questa convenzione bisogna definire: a) la durata del servizio; b) le mansioni del sacerdote e il luogo del ministero e dell’abitazione, tenuto conto delle condizioni di vita nella regione dove il sacerdote si reca; c) gli aiuti di vario genere e chi deve prestarli; d) le assicurazioni sociali in caso di malattia, di inabilità e di vecchiaia. Se sarà il caso, si potrà utilmente contemplare anche la possibilità di rivedere la patria dopo un certo periodo di tempo. Detta convenzione non può essere mutata, se non vi sia il consenso degli interessati. Rimane fermo il diritto del vescovo “ad quem” di rimandare il sacerdote nella propria diocesi, preavvisato il vescovo “a quo” e osservata l’equità naturale e canonica, qualora il suo ministero sia divenuto nocivo.
I doveri del vescovo “a quo” e “ad quem” verso i sacerdoti
28. Il vescovo “a quo” abbia, per quanto possibile, una speciale sollecitudine verso i sacerdoti che esercitano il sacro ministero fuori della propria diocesi, e li consideri come membri della sua comunità che operano lontano; e faccia ciò sia per lettera, sia visitandoli personalmente o tramite altri, sia aiutandoli secondo il tenore della convenzione. Il vescovo “ad quem” poi, il quale si avvantaggia dell’aiuto di questi sacerdoti, rimane il garante della loro vita sia materiale che spirituale, sempre secondo la convenzione.
I sacerdoti membri del presbiterio dell’altra diocesi
29. In regioni che differiscono notevolmente per lingua, costumi, condizioni sociali, salvo urgente necessità, non si inviino ordinariamente singoli sacerdoti, ma piuttosto in gruppo, affinché si prestino vicendevolmente aiuto. (71) Detto gruppo nondimeno si sforzi di inserirsi talmente in seno al clero locale da non arrecare minimamente pregiudizio ad una fraterna collaborazione.
I sacerdoti arrivati nell’altra diocesi riveriscano il vescovo del luogo e gli prestino obbedienza secondo la convenzione. Per quanto attiene al sistema di vita, si adattino alle condizioni dei sacerdoti autoctoni e si sforzino di coltivarne l’amicizia, poiché tutti formano un solo presbiterio sotto l’autorità del vescovo. (72) Perciò devono inserirsi nella comunità locale come se fossero membri nativi di quella chiesa particolare; il che esige una disponibilità di animo non comune e un profondo spirito di servizio. Essendo ministri aggregati ad una nuova famiglia, si astengano dall’esprimere giudizi e critiche sulla chiesa locale, lasciando il compito di svolgere tale ufficio profetico al vescovo, al quale spetta la piena responsabilità del governo della chiesa particolare.
Ritorno dei sacerdoti in patria
30. I sacerdoti che desiderano ritornare nella propria diocesi allo scadere del tempo stabilito nella convenzione, siano accolti volentieri; tale ritorno, allo stesso modo della missione, richiede una preparazione. Essi abbiano a godere di tutti i diritti nella diocesi di origine, cui rimasero incardinati, come se vi fossero stati impegnati senza interruzione nel sacro ministero. (73) Con le varie esperienze acquisite, i medesimi possono arrecare non lieve vantaggio spirituale alla propria diocesi. Inoltre, a quelli che ritornano, per assumere nuovi incarichi, sia concesso un periodo di tempo sufficiente, in modo da potere adattarsi alle mutate situazioni che fossero avvenute nel frattempo.
Incardinazione nella diocesi ospite
31. Circa l’incardinazione dei sacerdoti in altre diocesi, rimangono ancora in vigore le prescrizioni del Codice di diritto canonico. Tuttavia, per il conseguimento della medesima in forza della legge il motuproprio “Ecclesiae sanctae” ha emanato una nuova norma con la quale si tiene conto del servizio prestato: “Il chierico che passa legittimamente dalla propria diocesi ad un’altra, trascorsi cinque anni, sarà incardinato di diritto a quest’ultima diocesi se avrà manifestato per iscritto tale volontà sia all’ordinario della diocesi ospite, sia all’ordinario proprio, né entro quattro mesi abbia ricevuto da nessuno dei due un parere contrario”.(74) CONCLUSIONE
L’odierna situazione della chiesa, soprattutto per quanto riguarda l’insufficienza del clero per i bisogni più urgenti dell’evangelizzazione, potrebbe indurre molti ad una visione pessimistica delle cose e creare così un certo senso di scoraggiamento circa il futuro della chiesa. Un tal modo di pensare non è da cristiani, né tanto meno si addice a pastori d’anime. Questo, infatti, non è che un aspetto, non tutta la realtà ecclesiale, se la guardiamo non in maniera esteriore e superficiale, ma cristianamente, cioè con l’occhio della fede, la cui luce soprannaturale ci fa scorgere, attraverso l’intreccio degli avvenimenti umani, la presenza viva e operante dello Spirito santo che anima la chiesa e la conduce infallibilmente verso quel disegno di salvezza che Dio ha concepito per l’uomo e che realizza nonostante le violentissime opposizioni con cui si cerca di ostacolare il cammino della chiesa.
Pertanto, come sappiamo che lungo tutto il corso della storia della chiesa l’agente principale dell’evangelizzazione è lo Spirito santo, che opera sia muovendo i cristiani a far progredire il regno di Dio, sia aprendo i cuori degli uomini alla parola divina, così pure dobbiamo credere che sotto la direzione dello stesso Spirito è posto l’avvenire della chiesa. Nel frattempo, dovere di noi tutti è di pregarlo insistentemente e lasciarci fiduciosamente guidare da lui, adoperandoci con tutte le nostre forze affinché tra i fedeli permanga viva la convinzione della natura missionaria della chiesa, e cresca sempre più la consapevolezza della responsabilità che i singoli cristiani e soprattutto i pastori d’anime hanno verso la chiesa universale. Tale sforzo cerchiamo di compierlo e vivificarlo guidati e animati sempre dalla speranza cristiana “che non delude” (Rm 5,5), perché fondata sulle parole di Cristo, che in procinto di lasciare i suoi discepoli tra le insidie e le forze ostili di questo mondo, promise: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28,20), “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).
Roma, palazzo della Congregazione per il clero, 25 marzo 1980, solennità dell’annunciazione del Signore.
SILVIO card. ODDI, prefetto.
MAXIMINO ROMERO DE LEMA, arcivescovo tit. di Cittanova, segretario.
Note:
1 Decr. Christus Dominus, n. 6 (LE 3332).
2 Mp. Ecclesiae Sanctae, I, 1, in AAS 58 (1966), p. 757 Sq. (LE 3457).
3 N. 68, par. 2, AAS 59 (1967), p. 885 sq. (LE 5388).
4 Atti del 1° Congresso “pro meliori cleri distributione in mundo”, Il mondo è la mia parrocchia, Roma 1971.
5 Declarationes Patrum Synodalium, n. 4 “L’Osservatore Romano” (27 octobris 1974, p. 6) (LE 4323). Cf. Adhortatio Ap. Evangelii Nuntiandi nn. 6-15, AAS 68 (1976), p. 5 sq. (LE 4422).
6 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 35 (LE 3364).
7 Const. Lumen Gentium, n. 13 (LE 3232).
8 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 38 (LE 3364).
9 Cf. Litt. Enc. Fidei Donum, Pii Pp. XII, AAS 49 (1957), p. 237 (LE 2650).
10 Const. Lumen Gentium, n. 23 (LE 3232) 11 Cf. S. Congregatio pro Episcopis, Directorium de pastorali ministerio Episcoporum, 1973, n. 43, Romae (LE 4174).
12 Const. Lumen Gentium n. 23 (LE 3232).
13 Cf. Decr. Christus Dominus, n. 6 (LE 3332); Decr. Ad Gentes divinitus, n. 38 (LE 3364).
14 Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 2 (LE 3365).
15 Ibidem, nn. 4, 5, 6.
16 Const. Lumen Gentium, n. 28 (LE 3232).
17 Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 2 (LE 3365).
18 Ibidem, n. 5 (LE 3365).
19 I. n. 4 AAS 63 (1971), p. 898 sq. (LE 4015).
20 Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10 (LE 3365).
21 Cf. Epistula Apostolica Graves et Increscentes, AAS 58 (1966), p. 750 sq. (LE 3868).
22 Const. Lumen Gentium, n. 44 (LE 3232).
23 Decr. Perfectae Caritatis, n. 20 (LE 3333). Cf. Decr. Ad Gentes divinitus, n. 40 (LE 3364).
24 Adhortatio Apostolica Evangelii Nuntiandi, n. 69 (LE 4422).
25 Const. Lumen Gentium, n. 43 (LE 3232). Cf. SS. Congregatio pro Religiosis et Institutis Saecularibus, et pro Episcopis: Notae directivae pro mutuis relationibus inter Episcopos et Religiosos in Ecclesia, AAS 70 (1978), p. 373 sq (LE 4569).
26 Decr. Apostolicam Actuositatem,n. 2 (LE 3346).
27 Ibidem, n. 10 (LE 3346).
28 N. 73; cf. Const. Lumen Gentium n. 33.
29 Const. Lumen Gentium, n. 17 (LE 3232).
30 Cf. Annuarium Statisticum Ecclesiae, 1977, p. 44.
31 Litt. Enc. Fidei Donum, AAS 49 (1957), p. 244 (LE 2650).
32 Cf. Adhortatio Ap. Evangelii Nuntiandi, n. 50 (LE 4422).
33 AAS 49 (1957), pp. 225 sq. (LE 4422).
34 Cf. 8, 14; 11, 22; 13, 3 etc.
35 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 20 (LE 3364).
36 Decr. Christus Dominus, n. 11 (LE 3332).
37 Decr. Apostolicom Actuositatem, n. 10 (LE 3346).
38 Decr. Christus Dominus, n. 30 (LE 3332).
39 Ibidem, n. 11 (LE 3332).
40 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 20 (LE 3364).
41 Const. Lumen Gentium, n. 23 (LE 3232).
42 Cf. Exhortatio Ap. Evangelii Nuntiandi, nn. 55, 56 (LE 4422).
43 Const. Lumen Gentium, n. 23 (LE 3232).
44 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 37 (LE 3364).
45 Ibidem, n. 38 (LE 3364).
46 Cf. Instructio S. Congregationis pro Gentium Evangelizatione Quo aptius, AAS 61 (1969), p. 276 sq. (LE 3720).
47 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 19 (LE 3364).
48 Ibidem, n. 38 (LE 3364).
49 Mp. Pastoralis Migratorum cura, AAS 61 (1969), p. 601 (LE 3778). et Instructio S. Congregationis pro Episcopis, ibidem, p. 614 sq, (LE 3781). Mp. Litterae Circulares P. Commissionis de spirituali migratorum atque itinerantium cura: Chiesa e Mobilità umana, AAS 70 (1978), p. 357 sq. (LE 4571).
50 Cf. Directorium Generale pro Ministerio Pastorali quoad “Turismum” S. Congregationis pro Clericis, in AAS 61 (l969), p. 361 sq. (LE 3745).
51 Decr. Christus Dominus, nn. 34, 35 (LE 3332). Cf. Ecclesiae Sanctae, I, n. 36 (LE 3457).
52 AAS 70 (1978), p. 473 sq. (LE 4569).
53 Exhortatio Ap. Evangelii Nuntiandi, n. 73 (LE 4422).
54 I, 2.
55 Mp. Ecclesiae Sanctae, I, 2, III, 9 (LE 3457) 56 Const. Ap. Regimini Ecclesiae Universae, n. 82, AAS 59 (1967), p. 885 sq. (LE 3588).
57 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 38 (LE 3364).
58 Mp. Ecclesiae Sanctae, III, 9 (LE 3457).
59 Mp. Ecclesiae Sanctae, I, 2 (LE 3457).
60 Ad fovendas relationes cum dioecesibus Americae Latinae exstant sequentes Commissiones Episcopales: in Belgio COPAL, in Gallia CEFAL, in Italia CEIAL, in Hispania CECADE-OCSHA, in Germania Foederata “Adveniat”, in Statibus Foederatis Americae Septentrionalis NCCB-LAB, in Canada OCCAL, etc.; hae omnes cooperantur cum Commissione Pontificia pro America Latina (CAL), quae intimam consuetudinem habet cum Consilio Episcopali Latino-Americano (CELAM). Habetur insuper Consilium Generale Pontificiae Commissionis Americae Latinae (COGECAL) ad quod constituendum concurrunt CAL, CELAM, praesides Commissionum Episcopalium Nationalium supra memoratarum, necnon praesides Unionis Internationalis Superiorum Generalium et praeses Confoederationis Religiosorum Americae Latinae.
61 Decr Christus Dominus, n. 35, 5°, 6° (LE 3332).
62 II 43. Cf. SS. Congr pro Religiosis et Institutis Saecularibus et pro Episcopis, Notae directivae, nn. 60-65, AAS 70 (1978), p. 503 sq. (LE 4569).
63 Decr. Perfectae Caritatis, n. 23 (LE 3333).
64 Notae directivae, n. 63, AAS 70 (1978), p 504 (LE 4569).
65 Decr Ad Gentes divinitus, n. 36 (LE 3364).
66 Ibidem, n. 23. Cf. Decr. Optatam totius, n. 2 (LE 3334).
67 Decr. Optatam totius, n. 20 (LE 3334).
68 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 25 (LE 3364).
69 Ibidem, n. 26 (LE 3364).
70 Mp. Ecclesiae Sanctae, I, 3, par. 2 (LE 3457).
71 Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10 (LE 3365).
72 Decr. Ad Gentes divinitus, n. 20 (LE 3364).
73 Mp. Ecclesiae Sanctae, I, 3 par. 4. (LE 3457).
74 Ibidem, I, 2 par. 5 (LE 3457).