Esortazione Apostolica post sinodale di Giovanni Paolo II sulla Chiesa in Africa
AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI AI RELIGIOSI E ALLE RELIGIOSE E A TUTTI I FEDELI LAICI CIRCA LA CHIESA IN AFRICA E LA SUA MISSIONE EVANGELIZZATRICE VERSO L’ANNO 2000
INTRODUZIONE
Il Concilio
1. La Chiesa che è in Africa ha celebrato con gioia e speranza, durante quattro settimane, la sua fede in Cristo risorto, nel corso di una Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. Vivo ne resta ancora il ricordo nella memoria dell’intera comunità ecclesiale.
Fedeli alla tradizione dei primi secoli del cristianesimo in Africa, i Pastori di questo continente, in comunione con il Successore dell’apostolo Pietro ed i membri del Collegio episcopale venuti da altre regioni del mondo, hanno tenuto un Sinodo che s’è posto come evento di speranza e di risurrezione, nel momento stesso in cui le vicende umane sembravano piuttosto spingere l’Africa allo scoraggiamento e alla disperazione.
I Padri sinodali, assistiti da qualificati rappresentanti del clero, dei religiosi e del laicato, hanno sottoposto ad un esame approfondito e realistico le luci e le ombre, le sfide e le prospettive dell’evangelizzazione in Africa, all’approssimarsi del terzo millennio della fede cristiana.
I membri dell’Assemblea sinodale mi hanno domandato di portare a conoscenza di tutta la Chiesa i frutti delle loro riflessioni e delle loro preghiere, delle loro discussioni e dei loro scambi .
Con letizia e con riconoscenza verso il Signore ho accolto tale richiesta, ed oggi, nel momento stesso in cui, in comunione con i Pastori e i fedeli della Chiesa cattolica in Africa, apro la fase celebrativa dell’Assemblea speciale per l’Africa, rendo noto il testo di questa Esortazione apostolica postsinodale, frutto di un lavoro collegiale intenso e prolungato.
Ma prima di addentrarmi nell’esposizione di quanto è maturato nel corso del Sinodo, ritengo opportuno ripercorrere, seppur velocemente, le varie fasi di un evento di così decisiva importanza per la Chiesa in Africa.
2. Il Concilio Ecumenico Vaticano II può certamente considerarsi, dal punto di vista della storia della salvezza, come la pietra angolare di questo secolo, prossimo ormai a sfociare nel terzo millennio. Nel contesto di quel grande avvenimento, la Chiesa di Dio che è in Africa poté vivere, per parte sua, autentici momenti di grazia. In effetti, l’idea di un incontro, sotto una forma o l’altra, di Vescovi dell’Africa per discutere circa l’evangelizzazione del continente, risale al periodo del Concilio. Quello storico evento fu veramente il crogiuolo della collegialità e un’espressione peculiare della comunione affettiva ed effettiva dell’episcopato mondiale. I Vescovi, in tale occasione, cercarono di individuare gli strumenti adatti per meglio condividere e rendere efficace la loro sollecitudine nei confronti di tutte le Chiese (cfr 2 Cor 11, 28) ed iniziarono a proporre, a tale scopo, le opportune strutture a livello nazionale, regionale e continentale.
Il Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar
3. È in tale clima che i Vescovi dell’Africa e del Madagascar, presenti al Concilio, decisero d’istituire un proprio Segretariato Generale col compito di coordinare i loro interventi, così da presentare in aula, per quanto possibile, un punto di vista comune. Questa iniziale cooperazione tra i Vescovi dell’Africa si istituzionalizzò poi con la creazione a Kampala del Simposio delle Conferenze Episcopali d’Africa e Madagascar (S.C.E.A.M.). Ciò avvenne in occasione della visita del Papa Paolo VI in Uganda nel luglio-agosto del 1969, prima visita in Africa di un Pontefice dei tempi moderni.
La convocazione dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi
4. Le Assemblee generali del Sinodo dei Vescovi, che si susseguirono periodicamente dal 1967 in poi, offrirono alla Chiesa che è in Africa preziose opportunità di far sentire la propria voce nell’ambito universale della Chiesa. Così, nella seconda Assemblea generale ordinaria (1971), i Padri sinodali dell’Africa colsero con gioia l’occasione che loro si presentava per invocare una maggiore giustizia nel mondo. La terza Assemblea generale ordinaria sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo (1974) permise di prendere in esame particolarmente i problemi dell’evangelizzazione in Africa. Fu in tale circostanza che i Vescovi del continente, presenti al Sinodo, pubblicarono un importante messaggio dal titolo «Promozione dell’evangelizzazione nella corresponsabilità» [2]. Poco dopo, durante l’Anno Santo del 1975, lo S.C.E.A.M. convocò la propria Assemblea plenaria a Roma, per approfondire il tema dell’evangelizzazione.
5. In seguito, dal 1977 al 1983, vari Vescovi, sacerdoti, persone consacrate, teologi e laici espressero il desiderio di un Concilio oppure di un Sinodo africano, avente lo scopo di fare il punto sull’evangelizzazione in Africa in ordine alle grandi scelte da compiere per il futuro del continente. Accolsi con favore ed incoraggiai l’idea di una « concertazione nell’una o nell’altra forma » dell’intero episcopato africano, « per esaminare i problemi religiosi comuni a tutto il continente » [3]. Di conseguenza lo S.C.E.A.M. si preoccupò di cercare vie e mezzi per condurre a buon fine il progetto di un simile incontro continentale. Fu organizzata una consultazione delle Conferenze episcopali e di ciascun Vescovo dell’Africa e del Madagascar, in seguito alla quale potei convocare un’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Il 6 Gennaio 1989, nel contesto della solennità dell’Epifania — ricorrenza liturgica nel corso della quale la Chiesa prende rinnovata coscienza dell’universalità della sua missione e del conseguente compito di portare la luce di Cristo a tutti i popoli —, annunciai di aver preso questa « iniziativa di grande importanza per la diffusione del Vangelo ». E precisai di averlo fatto accogliendo l’istanza molte volte e da diverso tempo espressa dai Vescovi dell’Africa, da sacerdoti, teologi ed esponenti del laicato, « perché sia promossa un’organica solidarietà pastorale nell’intero territorio africano ed isole attigue » [4].
Un evento di grazia
6. L’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi è stata un momento storico di grazia: il Signore ha visitato il suo popolo che è in Africa. In effetti, questo continente vive oggi ciò che può definirsi un segno dei tempi, un momento propizio, un giorno di salvezza per l’Africa. Sembra giunta un’« ora dell’Africa », un’ora favorevole che invita con insistenza i messaggeri di Cristo a prendere il largo e a gettare le reti per la pesca (cfr Lc 5, 4). Come agli inizi del cristianesimo l’alto funzionario di Candace, regina d’Etiopia, felice di avere ricevuto la fede mediante il Battesimo, proseguì il suo cammino divenendo testimone di Cristo (cfr At 8, 27-39), così oggi la Chiesa in Africa, piena di gioia e di riconoscenza per la fede ricevuta, deve proseguire la sua missione evangelizzatrice, per attrarre i popoli del continente al Signore, insegnando loro ad osservare quanto Egli ha comandato (cfr Mt 28, 20).
A partire dalla solenne liturgia eucaristica inaugurale che, il 10 Aprile 1994, ho celebrato nella Basilica Vaticana insieme con trentacinque Cardinali, un Patriarca, trentanove Arcivescovi, centoquarantasei Vescovi e novanta sacerdoti, la Chiesa, Famiglia di Dio [5], popolo dei credenti, si è raccolta attorno alla tomba di Pietro. Era presente l’Africa con la varietà dei suoi riti, insieme all’intero popolo di Dio: essa danzava la sua gioia, esprimendo la sua fede nella vita al suono dei tam-tam e di altri strumenti musicali africani. In tale occasione, l’Africa ha sentito di essere, secondo l’espressione di Paolo VI, « nuova patria di Cristo » [6], terra amata dall’eterno Padre [7]. Ecco perché io stesso ho salutato quel momento di grazia con le parole del Salmista: « Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso » (Sal 118 [117], 24).
Destinatari dell’Esortazione
7. Con questa Esortazione apostolica post- sinodale, in comunione con l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, desidero rivolgermi in primo luogo ai Pastori ed ai fedeli cattolici, e poi ai fratelli delle altre Confessioni cristiane, a quanti professano le grandi religioni monoteiste, in particolare i seguaci della religione tradizionale africana, ed a tutti gli uomini di buona volontà che, in un modo o nell’altro, hanno a cuore lo sviluppo spirituale e materiale dell’Africa o tengono nelle loro mani le sorti di questo grande continente.
Innanzitutto il mio pensiero si rivolge naturalmente agli Africani stessi e a tutti coloro che abitano il continente; penso, in particolare, ai figli e alle figlie della Chiesa cattolica: Vescovi, sacerdoti, diaconi, seminaristi, membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, catechisti e tutti coloro che fanno del servizio ai loro fratelli l’ideale della loro esistenza. Desidero confermarli nella fede (cfr Lc 22, 32) ed esortarli a perseverare nella speranza che dona il Cristo risorto, vincendo ogni tentazione di scoraggiamento.
Piano dell’Esortazione
8. L’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha esaminato in profondità il tema che le era stato proposto: « La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000: “Mi sarete testimoni” (At 1, 8) ». Questa Esortazione si sforzerà perciò di seguire da vicino questo stesso itinerario. Prenderà l’avvio dal momento storico, vero kairos, in cui s’è tenuto il Sinodo, esaminandone gli obiettivi, la preparazione, lo svolgimento. Si soffermerà sull’attuale situazione della Chiesa in Africa, ricordando le varie fasi dell’impegno missionario. Affronterà, poi, i vari aspetti della missione evangelizzatrice con cui la Chiesa deve misurarsi nel momento presente: l’evangelizzazione, l’inculturazione, il dialogo, la giustizia e la pace, i mezzi di comunicazione sociale. L’accenno alle urgenze e alle sfide, che interpellano la Chiesa in Africa nell’immediata vigilia dell’anno 2000, consentirà di tratteggiare i compiti del testimone di Cristo in Africa, in ordine ad un più efficace apporto all’edificazione del Regno di Dio. Sarà così possibile delineare, alla fine, gli impegni della Chiesa in Africa come Chiesa missionaria: una Chiesa di missione che diventa essa stessa missionaria: « Mi sarete testimoni […] fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8).
CAPITOLO I
UNO STORICO MOMENTO ECCLESIALE
9. « Questa Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi è un avvenimento provvidenziale, per il quale dobbiamo rendere grazie al Padre onnipotente e misericordioso mediante il Figlio nello Spirito, e glorificarlo » [8]. È con queste parole che i Padri, nel corso della prima Congregazione generale, hanno solennemente aperto la discussione relativa al tema del Sinodo. In una precedente occasione, io stesso avevo già espresso una simile convinzione riconoscendo che « l’Assemblea speciale è un avvenimento ecclesiale di fondamentale importanza per l’Africa, un kairos, un momento di grazia, in cui Dio manifesta la sua salvezza. Tutta la Chiesa è invitata a vivere pienamente questo tempo di grazia, ad accogliere e a diffondere la Buona Novella. Lo sforzo di preparazione al Sinodo recherà beneficio non solo alla celebrazione sinodale stessa, ma si volgerà sin da ora a favore delle Chiese locali pellegrine in Africa, la cui fede e la cui testimonianza si rafforzano, rendendole sempre più mature » [9].
Professione di fede
10. Questo momento di grazia si concretò innanzitutto in una solenne professione di fede. Raccolti intorno alla Tomba di Pietro per l’inaugurazione dell’Assemblea speciale, i Padri del Sinodo proclamarono la loro fede, la fede di Pietro che, rispondendo alla domanda di Cristo: « Forse anche voi volete andarvene? », rispose: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio » (Gv 6, 67-69). I Vescovi dell’Africa, nei quali la Chiesa cattolica trovava in quei giorni una sua particolare espressione presso la Tomba dell’Apostolo, ribadirono di credere fermamente che l’onnipotenza e la misericordia dell’unico Dio si sono manifestate soprattutto nell’Incarnazione redentrice del Figlio di Dio, Figlio che è consostanziale al Padre nell’unità dello Spirito Santo e che, in questa unità trinitaria, riceve in pienezza gloria e onore. Questa — affermarono i Padri — è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, questa è la fede di tutte le Chiese locali che, disseminate sul continente africano, sono in cammino verso la casa di Dio.
Questa fede in Gesù Cristo fu manifestata in modo costante, con forza e unanimità, negli interventi dei Padri del Sinodo lungo l’intero svolgimento dell’Assemblea speciale. Forti di questa fede i Vescovi dell’Africa affidarono il loro continente a Cristo Signore, convinti che lui solo, col suo Vangelo e con la sua Chiesa, può salvare l’Africa dalle attuali difficoltà e guarirla dai suoi numerosi mali [10].
11. Al tempo stesso, in occasione dell’apertura solenne dell’Assemblea speciale, i Vescovi dell’Africa proclamarono pubblicamente la loro fede nell’« unica Chiesa di Cristo, che nel simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica » [11]. Questi attributi indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione. Essa « non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche » [12].
Tutti coloro che hanno avuto il privilegio di assistere alla celebrazione dell’Assemblea speciale per l’Africa si sono rallegrati nel vedere che i cattolici africani vanno assumendo sempre più responsabilità nelle loro Chiese locali e si sforzano di meglio comprendere quel che significa essere cattolici ed insieme africani. La celebrazione dell’Assemblea speciale ha manifestato al mondo intero che le Chiese locali dell’Africa hanno un posto legittimo nella comunione della Chiesa, che esse hanno il diritto di conservare e sviluppare « proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva » [13].
Sinodo di risurrezione, Sinodo di speranza
12. Per un singolare disegno della Provvidenza, la solenne inaugurazione dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ebbe luogo la seconda domenica di Pasqua, a conclusione cioè dell’ottava di Pasqua. I Padri sinodali, riuniti quel giorno nella Basilica Vaticana, erano ben consapevoli del fatto che la gioia della loro Chiesa scaturiva dal medesimo evento che aveva colmato di letizia i cuori degli Apostoli nel giorno di Pasqua: la risurrezione del Signore Gesù (cfr Lc 24, 40-41). Essi erano profondamente coscienti della presenza in mezzo a loro del Signore risorto, che diceva loro come agli Apostoli: « Pace a voi! » (Gv 20, 21.26). Essi erano consapevoli della sua promessa di restare con la sua Chiesa per sempre (cfr Mt 28, 20) e, quindi, anche durante l’intero svolgimento dell’Assemblea sinodale. Il clima pasquale in cui l’Assemblea speciale iniziò il suo lavoro, con i suoi componenti uniti nel celebrare la loro fede in Cristo risorto, richiamava spontaneamente al mio spirito le parole rivolte da Gesù all’apostolo Tommaso: « Beati quelli che pur non avendo visto crederanno! » (Gv 20, 29).
13. È stato, in effetti, il Sinodo della risurrezione e della speranza, come hanno dichiarato con gioia ed entusiasmo i Padri sinodali nelle prime frasi del loro Messaggio indirizzato al popolo di Dio. Sono parole che volentieri faccio mie: « Come Maria Maddalena la mattina della Risurrezione, come i discepoli di Emmaus dal cuore ardente e dall’intelligenza illuminata, l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi proclama: Cristo nostra speranza è risuscitato. Ci ha raggiunti, ha camminato con noi. Ha commentato per noi le Scritture ed ecco quello che ci ha detto: “Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1, 17-18) […]. E come san Giovanni a Patmos, in tempi particolarmente difficili, ha ricevuto profezie di speranza per il popolo di Dio, anche noi annunciamo la speranza. In questo stesso momento in cui tanti odi fratricidi, provocati da interessi politici, lacerano i nostri popoli, nel momento in cui il peso del debito internazionale o della svalutazione li schiaccia, noi, Vescovi dell’Africa, assieme a tutti i partecipanti a questo santo Sinodo, uniti al Santo Padre e a tutti i nostri Fratelli nell’episcopato che ci hanno eletti, vogliamo pronunciare una parola di speranza e di conforto nei tuoi confronti, Famiglia di Dio che sei in Africa: nei tuoi confronti, Famiglia di Dio sparsa nel mondo: Cristo nostra speranza è vivo, noi vivremo! » [14].
14. Esorto tutto il popolo di Dio in Africa ad accogliere con animo aperto il messaggio di speranza che gli è stato indirizzato dall’Assembla sinodale. Durante le loro discussioni, i Padri del Sinodo, pienamente consapevoli di esser portatori delle attese non soltanto dei cattolici africani, ma anche di tutti gli uomini e di tutte le donne di quel continente, hanno affrontato con chiarezza i molteplici mali che opprimono l’Africa di oggi. Essi hanno esplorato tutta la complessità e l’estensione di ciò che la Chiesa è chiamata a compiere per favorire l’auspicato cambiamento, ma l’hanno fatto con un atteggiamento libero da pessimismo o da disperazione. Nonostante il panorama prevalentemente negativo che oggi presentano numerose regioni dell’Africa e malgrado le tristi esperienze che non pochi paesi attraversano, la Chiesa ha il dovere di affermare con forza che è possibile superare queste difficoltà. Essa deve rinvigorire in tutti gli Africani la speranza in una vera liberazione. La sua fiducia è fondata, in ultima istanza, sulla consapevolezza della promessa divina, la quale ci assicura che la nostra storia non è chiusa in se stessa, ma è aperta al Regno di Dio. Ecco perché né la disperazione né il pessimismo possono essere giustificati quando si pensa al futuro sia dell’Africa che di ogni altra parte del mondo.
Collegialità affettiva ed effettiva
15. Prima di inoltrarmi nella trattazione dei vari argomenti, vorrei rilevare come il Sinodo dei Vescovi costituisca uno strumento quanto mai propizio per favorire la comunione ecclesiale. Quando, verso la fine del Concilio Vaticano II, il Papa Paolo VI di v.m. istituì il Sinodo, indicò chiaramente che una delle sue finalità essenziali sarebbe stata quella di esprimere e promuovere, sotto la guida del Successore di Pietro, la comunione reciproca dei Vescovi sparsi nel mondo [15]. Il principio soggiacente all’istituzione del Sinodo dei Vescovi è semplice: più è salda la comunione dei Vescovi tra loro, più risulta arricchita la comunione della Chiesa stessa nel suo insieme. La Chiesa in Africa è testimone della verità di queste parole, perché ha fatto l’esperienza dell’entusiasmo e dei concreti risultati che hanno accompagnato i preparativi dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi a lei dedicata.
16. In occasione del mio primo incontro con il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, radunato in vista dell’Assemblea speciale per l’Africa, indicai la ragione per la quale era parso opportuno convocare questa Assemblea: la promozione di « una solidarietà pastorale organica in tutto il territorio africano e nelle isole adiacenti » [16]. Con questa espressione intendevo abbracciare gli scopi e gli obiettivi principali verso i quali detta Assemblea avrebbe dovuto orientarsi. Per meglio chiarire le mie aspettative, aggiunsi che le riflessioni in preparazione dell’Assemblea avrebbero dovuto riguardare « tutti gli aspetti importanti della vita della Chiesa in Africa, comprendendo, in particolare, l’evangelizzazione, l’inculturazione, il dialogo, la cura pastorale in campo sociale e i mezzi di comunicazione sociale » [17].
17. Durante le mie visite pastorali in Africa, mi sono riferito di frequente all’Assemblea speciale per l’Africa ed ai principali obiettivi per i quali essa era stata convocata. Quando ho partecipato, per la prima volta sul suolo africano, ad una riunione del Consiglio del Sinodo, non ho mancato di sottolineare la mia convinzione che un’Assemblea sinodale non può ridursi ad una consultazione su argomenti pratici. La sua vera ragion d’essere sta nel fatto che la Chiesa non può crescere se non rafforzando la comunione tra i suoi membri, a cominciare dai suoi Pastori [18].
Ogni Assemblea sinodale manifesta e sviluppa la solidarietà tra i capi delle Chiese particolari nel compimento della loro missione oltre i confini delle rispettive diocesi. Come ha insegnato il Concilio Vaticano II, « i Vescovi, sia come legittimi successori degli Apostoli sia come membri del collegio episcopale, sappiano essere sempre tra loro uniti e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese; pensando che per divina disposizione e comando del dovere apostolico ognuno di essi, insieme con gli altri Vescovi, è garante della Chiesa » [19].
18. Il tema che ho assegnato all’Assemblea speciale — « La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000: “Mi sarete testimoni” (At 1, 8) » — manifesta il mio desiderio che questa Chiesa viva il tempo fino al Grande Giubileo come un « nuovo Avvento », tempo di attesa e di preparazione. Considero infatti la preparazione all’anno 2000 come una delle chiavi di interpretazione del mio Pontificato [20].
Le Assemblee sinodali che si sono succedute nell’arco di quasi trent’anni — le Assemblee Generali e quelle Speciali continentali, regionali o nazionali — si situano tutte in questa prospettiva di preparazione del Grande Giubileo. Il fatto che l’evangelizzazione sia il tema di tutte queste Assemblee sinodali sta ad indicare quanto viva sia oggi nella Chiesa la coscienza della missione salvifica ricevuta da Cristo. Tale presa di coscienza si manifesta con una particolare evidenza nelle Esortazioni apostoliche post-sinodali dedicate all’evangelizzazione, alla catechesi, alla famiglia, alla penitenza ed alla riconciliazione nella vita della Chiesa e dell’intera umanità, alla vocazione e alla missione dei laici, alla formazione dei presbiteri.
In piena comunione con la Chiesa universale
19. Sin dall’inizio della preparazione dell’Assemblea speciale è stato mio vivo desiderio, pienamente condiviso dal Consiglio della Segreteria Generale, di far sì che questo Sinodo fosse autenticamente africano, senza equivoci. Era al tempo stesso di fondamentale importanza che l’Assemblea speciale fosse celebrata in piena comunione con la Chiesa universale. In effetti, l’Assemblea ha sempre tenuto conto della Chiesa universale. Reciprocamente, quando venne il momento di pubblicare i Lineamenta, non mancai di invitare i miei Fratelli nell’episcopato e tutto il popolo di Dio sparso per il mondo a ricordare nella preghiera l’Assemblea speciale per l’Africa ed a sentirsi coinvolti nelle attività promosse in vista di tale evento.
Questa Assemblea, come ho spesso avuto modo di ribadire, riveste notevole importanza per la Chiesa universale, non solamente a motivo dell’interesse che la sua convocazione ha suscitato dappertutto, ma anche per la natura stessa della comunione ecclesiale che trascende ogni frontiera di tempo e di spazio. Di fatto, l’Assemblea speciale ha ispirato molte preghiere e buone opere, con le quali i singoli fedeli e le comunità della Chiesa negli altri continenti hanno accompagnato lo svolgimento del Sinodo. E come dubitare che, nel mistero della comunione ecclesiale, ad esso siano venute in sostegno anche le preghiere dei santi nel Cielo? Quando ho disposto che la prima fase dei lavori dell’Assemblea speciale si tenesse a Roma, l’ho deciso per sottolineare ancor più eloquentemente la comunione che lega la Chiesa che è in Africa con la Chiesa universale, sì da evidenziare l’impegno di tutti i fedeli in favore dell’Africa.
20. La solenne concelebrazione eucaristica di apertura del Sinodo, che ho presieduto nella Basilica di san Pietro, ha posto in rilievo l’universalità della Chiesa in modo meraviglioso e commovente. Questa universalità, « che non è uniformità ma comunione di differenze compatibili con il Vangelo » [21], è stata vissuta da tutti i Vescovi. Tutti avevano consapevolezza di essere stati consacrati in quanto membri del corpo episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, non solo per una diocesi, ma per la salvezza del mondo intero [22].
Rendo grazie a Dio Onnipotente per l’occasione che ci ha donato di sperimentare, grazie all’Assemblea speciale, ciò che comporta un’autentica cattolicità. « In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa » [23].
Un messaggio pertinente e credibile
21. Secondo i Padri sinodali, la questione principale che la Chiesa in Africa deve affrontare consiste nel descrivere con tutta la chiarezza possibile ciò che essa è e ciò che deve realizzare in pienezza, perché il suo messaggio sia pertinente e credibile [24]. Tutte le discussioni in Assemblea hanno fatto riferimento a tale esigenza veramente essenziale e fondamentale, che è un’autentica sfida per la Chiesa in Africa.
È senz’altro vero « che lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione: è Lui che spinge ad annunciare il Vangelo e che nell’intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza » [25]. Ma, riaffermata questa verità, l’Assemblea speciale ha voluto giustamente aggiungere che l’evangelizzazione è anche una missione che il Signore Gesù ha affidato alla sua Chiesa sotto la guida e la potenza dello Spirito. È necessaria la nostra cooperazione mediante la preghiera fervente, una grande riflessione, adeguati progetti e la mobilitazione delle risorse [26].
Il dibattito sinodale sul tema della pertinenza e della credibilità del messaggio della Chiesa in Africa non poteva non implicare una riflessione sulla credibilità stessa degli annunciatori di tale messaggio. I Padri hanno affrontato la questione in modo diretto, con profonda sincerità, aliena da ogni indulgenza. Di questo s’era già occupato il Papa Paolo VI che, con parole memorabili, aveva ricordato: « Si ripete spesso, oggi, che il nostro secolo ha sete di autenticità. Soprattutto a proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso, e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza. Questi segni dei tempi dovrebbero trovarci all’erta. Tacitamente o con alte grida, ma sempre con forza, ci domandano: Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino ad un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo » [27].
Ecco perché, in riferimento alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel campo della giustizia e della pace, io stesso ho detto: « Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna » [28].
22. Come non richiamare qui che l’ottava Assemblea Plenaria dello S.C.E.A.M., tenutasi a Lagos, in Nigeria, nel 1987, aveva già preso in considerazione con notevole chiarezza la questione della credibilità e della pertinenza del messaggio della Chiesa in Africa? Quella stessa Assemblea aveva dichiarato che la credibilità della Chiesa in Africa dipendeva da Vescovi e sacerdoti capaci di dare, sulle orme di Cristo, la testimonianza di una vita esemplare; da religiosi realmente fedeli, autentici testimoni con il loro modo di vivere i consigli evangelici; da un laicato dinamico, con genitori profondamente credenti, educatori coscienti delle loro responsabilità, dirigenti politici animati da profondo senso morale [29].
Famiglia di Dio in cammino sinodale
23. Rivolgendomi il 23 giugno 1989 ai Membri del Consiglio della Segreteria Generale, insistei molto sulla partecipazione dell’intero popolo di Dio, a tutti i livelli, specialmente in Africa, alla preparazione dell’Assemblea speciale. « Se è ben preparata, dissi, la sessione del Sinodo permetterà di coinvolgere tutti i settori della comunità cristiana: singoli, piccole comunità, parrocchie, diocesi ed istituzioni locali, nazionali ed internazionali » [30].
Tra l’inizio del mio Pontificato e l’inaugurazione dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, ho potuto effettuare dieci Visite pastorali in Africa e in Madagascar, raggiungendo trentasei nazioni. In occasione dei Viaggi apostolici successivi alla convocazione dell’Assemblea speciale, il tema del Sinodo e quello della necessità per tutti i fedeli di prepararsi all’Assemblea sinodale sono sempre stati presenti in maniera preminente nei miei incontri con il popolo di Dio in Africa. Ho anche approfittato delle visite ad limina dei Vescovi di quel continente per sollecitare la collaborazione di tutti alla preparazione dell’Assemblea speciale per l’Africa. In tre occasioni diverse, poi, ho tenuto, insieme al Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo, sessioni di lavoro sul suolo africano: a Yamoussoukro, in Costa d’Avorio (1990), a Luanda, in Angola (1992) e a Kampala, in Uganda (1993), sempre in vista di chiamare gli Africani a prendere parte attiva e corale alla preparazione dell’Assemblea sinodale.
24. La presentazione, il 25 luglio 1990, dei Lineamenta a Lomé, in Togo, in occasione della nona Assemblea generale dello S.C.E.A.M., è stata senz’altro una tappa nuova e importante dell’iter preparatorio all’Assemblea speciale. Si può ben dire che la pubblicazione dei Lineamenta ha avviato decisamente i preparativi del Sinodo in tutte le Chiese particolari dell’Africa. L’Assemblea dello S.C.E.A.M. a Lomé ha adottato una Preghiera per l’Assemblea speciale ed ha chiesto che fosse recitata, sia in pubblico che in privato, in tutte le parrocchie africane fino alla celebrazione del Sinodo. Questa iniziativa dello S.C.E.A.M. è stata veramente felice e non è passata inosservata nella Chiesa universale.
Per favorire, poi, la diffusione dei Lineamenta, parecchie Conferenze episcopali e diocesi hanno tradotto il documento nella loro lingua, come, per esempio, in swahili, arabo, malgascio ed altri idiomi. « Pubblicazioni, conferenze e simposi sui temi del Sinodo sono stati organizzati da diverse Conferenze episcopali, Istituti di teologia e seminari, Associazioni di Istituti di vita consacrata, diocesi, alcuni importanti giornali e periodici, singoli Vescovi e teologi » [31] .
25. Rendo vivamente grazie a Dio Onnipotente per la cura attenta con cui sono stati redatti i Lineamenta e l’Instrumentum laboris [32] del Sinodo. È stato un impegno affrontato e svolto da africani, Vescovi ed esperti, a cominciare dalla Commissione antepreparatoria del Sinodo, nel gennaio e nel marzo 1989. La Commissione fu poi rilevata dal Consiglio della Segreteria Generale dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, da me istituito il 20 giugno 1989.
Sono profondamente riconoscente, inoltre, al gruppo di lavoro che ha così ben curato le liturgie eucaristiche per l’apertura e la chiusura del Sinodo. Il gruppo, che contava tra i suoi membri teologi, liturgisti ed esperti in canti e strumenti africani d’espressione liturgica, ha voluto far sì, secondo il mio desiderio, che esse fossero segnate da un chiaro carattere africano.
26. Ora devo aggiungere che la risposta degli Africani al mio appello a partecipare alla preparazione del Sinodo è stata veramente ammirevole. L’accoglienza riservata ai Lineamenta, sia all’interno che al di fuori delle comunità ecclesiali africane, ha superato largamente ogni previsione. Molte Chiese locali si sono servite dei Lineamenta per mobilitare i fedeli e, fin d’ora, possiamo senz’altro dire che i frutti del Sinodo cominciano a manifestarsi in un nuovo impegno e in una rinnovata presa di coscienza dei cristiani d’Africa [33]. Lungo le diverse fasi della preparazione dell’Assemblea speciale, numerosi membri della Chiesa in Africa — clero, religiosi, religiose, laici — si sono inseriti in maniera esemplare nell’itinerario sinodale, « camminando insieme », mettendo ciascuno i propri talenti al servizio della Chiesa e pregando insieme con fervore per il successo del Sinodo. Più d’una volta gli stessi Padri del Sinodo hanno segnalato, nel corso dell’Assemblea sinodale, che il loro lavoro veniva facilitato grazie proprio alla « preparazione accurata e minuziosa di questo Sinodo, svoltasi con il coinvolgimento attivo di tutta la Chiesa in Africa ad ogni livello » [34].
Dio vuole salvare l’Africa
27. L’Apostolo dei Gentili ci dice che Dio « vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto per tutti » (1 Tm 2, 4-6). Poiché Dio chiama tutti gli uomini ad un unico e medesimo destino, che è divino, « dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale » [35]. L’amore redentore di Dio abbraccia l’intera umanità, ogni razza, tribù e nazione: abbraccia quindi anche le popolazioni del continente africano. La Provvidenza divina volle che l’Africa fosse presente durante la Passione di Cristo nella persona di Simone di Cirene, costretto dai soldati romani ad aiutare il Signore nel portare la Croce (cfr Mc 15, 21).
28. La liturgia della sesta domenica di Pasqua del 1994, durante la solenne Celebrazione eucaristica per la conclusione della Sessione di lavoro dell’Assemblea speciale, mi offrì l’occasione di sviluppare una riflessione sul disegno salvifico di Dio nei confronti dell’Africa. Una delle letture bibliche, tratta dagli Atti degli Apostoli, rievocava un avvenimento che può essere considerato come il primo passo nella missione della Chiesa verso i pagani: il racconto della visita fatta da Pietro, sotto l’impulso dello Spirito Santo, alla casa di un pagano, il centurione Cornelio. Fino a quel momento il Vangelo era stato proclamato soprattutto tra gli ebrei. Dopo aver esitato non poco, Pietro, illuminato dallo Spirito, decise di recarsi nella casa di un pagano. Arrivato colà, fu gioiosamente sorpreso per il fatto che il centurione attendeva Cristo e il Battesimo. Il libro degli Atti degli Apostoli riferisce: « I fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio » (10, 45-46).
In casa di Cornelio, in un certo senso, si riprodusse il miracolo della Pentecoste. Pietro disse allora: « In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto […]. Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi? » (At 10, 34-35.47).
Cominciò così la missione della Chiesa ad gentes, della quale Paolo di Tarso diventerà il principale araldo. I primi missionari arrivati nel cuore dell’Africa hanno certamente conosciuto una meraviglia simile a quella sperimentata dai cristiani dei tempi apostolici davanti all’effusione dello Spirito Santo.
29. Il disegno di Dio per la salvezza dell’Africa sta all’origine della diffusione della Chiesa nel continente africano. Essendo tuttavia la Chiesa, secondo la volontà di Cristo, per sua natura missionaria, ne segue che la Chiesa in Africa è chiamata ad assumere essa stessa un ruolo attivo al servizio del progetto salvifico di Dio. Per questo ho spesso detto che « la Chiesa in Africa è la Chiesa missionaria e di missione » [36].
L’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha avuto il compito di esaminare gli strumenti mediante i quali gli Africani potranno meglio realizzare il mandato che il Signore risorto ha donato ai suoi discepoli: « Andate, dunque, ed ammaestrate tutte le nazioni » (Mt 28, 19).
CAPITOLO II LA CHIESA IN AFRICA
I.
Breve storia dell’Evangelizzazione nel Continente 30. Il giorno dell’apertura dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, prima assise del genere nella storia, i Padri sinodali hanno ricordato alcune delle meraviglie operate da Dio nel corso dell’evangelizzazione dell’Africa. È una storia che risale all’epoca della nascita stessa della Chiesa. La diffusione del Vangelo in Africa è avvenuta in fasi diverse. I primi secoli del cristianesimo videro l’evangelizzazione dell’Egitto e dell’Africa del Nord. Una seconda fase, riguardante le regioni di quel continente situate al sud del Sahara, ha avuto luogo nei secoli XV e XVI. Una terza fase, caratterizzata da uno sforzo missionario straordinario, è iniziata nel XIX secolo.
Prima fase
31. In un messaggio ai Vescovi e a tutti i popoli dell’Africa in ordine alla promozione del benessere materiale e spirituale del continente, il mio venerato predecessore Paolo VI richiamò con parole memorabili il glorioso splendore del passato cristiano dell’Africa. « Pensiamo alle Chiese cristiane d’Africa, l’origine delle quali risale ai tempi apostolici ed è legata, secondo la tradizione, al nome e all’insegnamento dell’evangelista Marco. Pensiamo alla schiera innumerevole di santi, martiri, confessori, vergini, che ad esse appartengono. In realtà, dal secolo II al secolo IV la vita cristiana nelle regioni settentrionali dell’Africa fu intensissima e all’avanguardia tanto nello studio teologico quanto nella espressione letteraria. Balzano alla memoria i nomi dei grandi dottori e scrittori, come Origene, sant’Atanasio, san Cirillo, luminari della Scuola alessandrina, e, sull’altro lembo della sponda mediterranea africana, Tertulliano, san Cipriano, e soprattutto sant’Agostino, una delle luci più fulgenti della cristianità. Ricorderemo i grandi santi del deserto, Paolo, Antonio, Pacomio, primi fondatori del monachesimo, diffusosi poi, sul loro esempio, in Oriente e in Occidente. E, tra i tanti altri, non vogliamo omettere il nome di san Frumenzio, chiamato Abba Salama, il quale, consacrato vescovo da sant’Atanasio, fu l’apostolo dell’Etiopia » [37]. Durante questi primi secoli della Chiesa in Africa, anche alcune donne hanno reso la loro testimonianza a Cristo. Tra esse è doverosa una menzione particolare delle sante Felicita e Perpetua, di santa Monica e di santa Tecla.
« Questi luminosi esempi, come pure le figure dei santi Papi africani Vittore I, Melchiade e Gelasio I, appartengono al patrimonio comune della Chiesa, e gli scritti degli autori cristiani d’Africa ancor oggi sono fondamentali per approfondire, alla luce della Parola di Dio, la storia della salvezza. Nel ricordo delle antiche glorie dell’Africa cristiana, noi desideriamo esprimere il nostro profondo rispetto per le Chiese con le quali non siamo in piena comunione: la Chiesa greca del Patriarcato di Alessandria, la Chiesa copta dell’Egitto e la Chiesa etiopica, che hanno in comune con la Chiesa cattolica l’origine e l’eredità dottrinale e spirituale dei grandi Padri e Santi, non soltanto della loro terra, ma di tutta la Chiesa antica. Esse hanno molto operato e sofferto per mantenere vivo il nome cristiano in Africa attraverso le vicende dei tempi » [38]. Tali Chiese recano ancora oggi la testimonianza della vitalità cristiana che esse attingono dalle loro radici apostoliche, particolarmente in Egitto e in Etiopia e, fino al XVII secolo, in Nubia. Sul resto del continente cominciava allora un’altra tappa dell’evangelizzazione.
Seconda fase
32. Nei secoli XV e XVI, l’esplorazione della costa africana da parte dei portoghesi fu ben presto accompagnata dall’evangelizzazione delle regioni dell’Africa situate a sud del Sahara. Tale sforzo riguardava, tra altre zone, le regioni dell’attuale Benin, di São Tomé, dell’Angola, del Mozambico e del Madagascar.
Il 7 giugno 1992, domenica di Pentecoste, in occasione della commemorazione dei 500 anni dell’evangelizzazione dell’Angola, a Luanda, ebbi a dire tra l’altro: « Gli Atti degli Apostoli indicano con il loro nome gli abitanti di diversi luoghi che presero direttamente parte alla nascita della Chiesa ad opera del soffio dello Spirito Santo. Ecco ciò che tutti dicevano: “Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” (At 2, 11). Cinquecento anni fa, a questo coro di lingue si sono aggiunti i popoli dell’Angola. In quel momento, nella vostra Patria africana, si è rinnovata la Pentecoste di Gerusalemme. I vostri antenati udirono il messaggio della Buona Novella, che è la lingua dello Spirito. I loro cuori accolsero per la prima volta questa parola ed essi chinarono il capo nell’acqua del fonte battesimale, in cui l’uomo, ad opera dello Spirito Santo, muore insieme a Cristo crocifisso e rinasce a nuova vita nella sua risurrezione […]. Fu certamente lo stesso Spirito a spingere quegli uomini di fede, i primi missionari, che nel 1491 approdarono alla foce del fiume Zaire, a Pinda, dando inizio ad una vera e propria epopea missionaria. Fu ancora lo Spirito Santo, operante a modo suo nel cuore degli uomini, che spinse il grande re del Congo Nzinga-a-Nkuwu a sollecitare la venuta di missionari per annunciare il Vangelo. Fu lo Spirito Santo che sostenne la vita di quei quattro primi cristiani angolani che, di ritorno dall’Europa, testimoniarono il valore della fede cristiana. Dopo i primi missionari, molti altri vennero dal Portogallo e da altri paesi europei per continuare, ampliare e consolidare l’opera iniziata» [39].
Un certo numero di sedi episcopali fu eretto durante tale periodo, e una delle primizie di questo impegno missionario fu la consacrazione a Roma, nel 1518, da parte di Leone X, di Don Enrico, figlio di Don Alfonso I, re del Congo, come vescovo titolare di Utica. Don Enrico diventò così il primo vescovo autoctono dell’Africa nera.
Fu in quel periodo, esattamente nell’anno 1622, che il mio predecessore Gregorio XV eresse stabilmente la Congregazione De Propaganda Fide con lo scopo di meglio organizzare e sviluppare le missioni.
A causa di difficoltà di vario genere, la seconda fase dell’evangelizzazione dell’Africa si concluse nel XVIII secolo con l’estinzione di pressoché tutte le missioni nelle regioni situate a sud del Sahara.
Terza fase
33. La terza fase di evangelizzazione sistematica dell’Africa cominciò nel XIX secolo, periodo caratterizzato da uno sforzo straordinario, promosso dai grandi apostoli e animatori della missione africana. Fu un periodo di rapida crescita, come mostrano chiaramente le statistiche presentate all’Assemblea sinodale dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli [40]. L’Africa ha risposto molto generosamente alla chiamata di Cristo. In questi ultimi decenni numerosi paesi africani hanno celebrato il primo centenario dell’inizio della loro evangelizzazione. Veramente la crescita della Chiesa in Africa, da cent’anni a questa parte, costituisce una meraviglia della grazia di Dio.
La gloria e lo splendore del periodo contemporaneo dell’evangelizzazione in Africa sono illustrati in modo mirabile dai santi che l’Africa moderna ha donato alla Chiesa. Papa Paolo VI ebbe modo di esprimere con eloquenza questa realtà quando canonizzò i martiri dell’Uganda nella Basilica di San Pietro, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale del 1964: « Questi martiri africani aggiungono all’albo dei vittoriosi, qual è il Martirologio, una pagina tragica e magnifica, veramente degna di aggiungersi a quelle meravigliose dell’Africa antica […]. L’Africa, bagnata dal sangue di questi Martiri, primi dell’èra nuova (oh, Dio voglia che siano gli ultimi, tanto il loro olocausto è grande e prezioso!), risorge libera e redenta » [41].
34. La lista dei santi che l’Africa dona alla Chiesa, lista che è il suo più grande titolo di onore, continua ad allungarsi. Come potremmo non menzionare, tra i più recenti, Clementina Anwarite, vergine e martire dello Zaire, che ho beatificato in terra africana nel 1985, Vittoria Rasoamanarivo, del Madagascar e Giuseppina Bakhita, del Sudan, beatificate anch’esse durante il mio Pontificato? E come non ricordare il beato Isidoro Bakanja, martire dello Zaire, che ho avuto il privilegio di elevare all’onore degli altari durante l’Assemblea speciale per l’Africa? « Altre cause stanno maturando. La Chiesa in Africa deve provvedere a redigere il suo proprio Martirologio, aggiungendo alle magnifiche figure dei primi secoli […] i martiri e i santi degli ultimi tempi » [42].
Di fronte alla formidabile crescita della Chiesa in Africa durante gli ultimi cent’anni, di fronte ai frutti di santità che sono stati ottenuti, non vi è che un’unica spiegazione possibile: tutto ciò è dono di Dio, poiché nessuno sforzo umano avrebbe potuto compiere una simile opera in un periodo relativamente così breve. Tuttavia, non c’è posto per un trionfalismo umano. Facendo memoria dello splendore glorioso della Chiesa in Africa, i Padri sinodali hanno voluto soltanto celebrare le meraviglie compiute da Dio per la liberazione e la salvezza dell’Africa.
« Ecco l’opera del Signore, una meraviglia ai nostri occhi » (Sal 118 [117], 23).
« Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome » (Lc 1, 49).
Omaggio ai missionari
35. La splendida crescita e le realizzazioni della Chiesa in Africa sono dovute in gran parte all’eroica e disinteressata dedizione di generazioni di missionari. Ciò è da tutti riconosciuto. La terra benedetta dell’Africa è, in effetti, disseminata di tombe di valorosi araldi del Vangelo.
Quando i Vescovi dell’Africa si sono incontrati a Roma per l’Assemblea speciale, erano ben consapevoli del debito di riconoscenza che il loro continente ha verso i suoi antenati nella fede.
Nel discorso rivolto alla prima Assemblea dello S.C.E.A.M. a Kampala, il 31 luglio 1969, Papa Paolo VI fece riferimento a questo debito di riconoscenza: « Voi Africani siete oramai i missionari di voi stessi. La Chiesa di Cristo è davvero piantata in questa terra benedetta (cfr Decr. Ad gentes, 6). Un dovere dobbiamo noi compiere: noi dobbiamo ricordare coloro che hanno in Africa, prima di voi ed ancora oggi con voi, predicato il Vangelo, come ci ammonisce la Sacra Scrittura: “Ricordatevi dei vostri predecessori, che vi hanno annunciato la parola di Dio, e considerando la fine della loro vita, imitate la loro fede” (Eb 13, 7). È una storia che non dobbiamo dimenticare. Essa conferisce alla Chiesa locale la nota della sua autenticità e della sua nobiltà, la nota “apostolica”; essa è un dramma di carità, di eroismo, di sacrificio, che fa grande e santa, fin dall’origine, la Chiesa africana » [43].
36. L’Assemblea speciale ha degnamente assolto questo debito di riconoscenza in occasione della sua prima Congregazione generale, quando ha dichiarato: « È il caso qui di rendere un vibrante omaggio ai missionari, uomini e donne di tutti gli Istituti religiosi e secolari, e a tutti i paesi che, nel corso dei 2000 anni circa di evangelizzazione del continente africano […] si sono dedicati intensamente a trasmettere la fiamma della fede cristiana […]. Ecco perché noi, felici eredi di questa meravigliosa avventura, vogliamo rendere grazie a Dio in questa solenne circostanza » [44].
Nel Messaggio al popolo di Dio i Padri sinodali hanno rinnovato con vigore l’omaggio ai missionari, ma non hanno dimenticato di rendere omaggio ai figli ed alle figlie dell’Africa, specialmente ai catechisti ed agli interpreti, che hanno collaborato con loro [45].
37. È grazie alla grande epopea missionaria, di cui il continente africano è stato teatro particolarmente durante gli ultimi due secoli, che abbiamo potuto incontrarci a Roma per celebrare l’Assemblea speciale per l’Africa. Il seme a suo tempo sparso ha recato frutti abbondanti. I miei Fratelli nell’episcopato, figli dei popoli dell’Africa, ne sono eloquenti testimoni. Insieme con i loro presbiteri, essi portano ormai sulle spalle gran parte del lavoro dell’evangelizzazione. L’attestano anche i numerosi figli e figlie dell’Africa che aderiscono alle antiche Congregazioni missionarie o che entrano nei nuovi Istituti nati in terra africana, raccogliendo nelle loro mani la fiaccola della consacrazione totale al servizio di Dio e del Vangelo.
Radicamento e crescita della Chiesa
38. Il fatto che nell’arco di quasi due secoli il numero dei cattolici in Africa sia rapidamente cresciuto costituisce di per sé un risultato notevole sotto ogni punto di vista. Confermano, in particolare, il consolidamento della Chiesa nel continente elementi quali il sensibile e rapido aumento del numero delle circoscrizioni ecclesiastiche, la crescita del clero autoctono, dei seminaristi e dei candidati negli Istituti di vita consacrata, la progressiva estensione della rete dei catechisti, il cui contributo alla diffusione del Vangelo fra le popolazioni africane è a tutti ben noto. Di fondamentale rilievo è, infine, l’alta percentuale di Vescovi nativi, che compongono ormai la Gerarchia nel continente.
I Padri sinodali hanno preso atto di numerosi passi assai significativi compiuti dalla Chiesa in Africa nei campi dell’inculturazione e del dialogo ecumenico [46]. Le notevoli e meritorie realizzazioni nel campo dell’educazione sono universalmente riconosciute.
Anche se i cattolici costituiscono solo il quattordici per cento della popolazione africana, le istituzioni cattoliche nel campo della sanità rappresentano il diciassette per cento dell’insieme delle strutture sanitarie di tutto il continente.
Le iniziative intraprese con coraggio dalle giovani Chiese dell’Africa per portare il Vangelo « fino agli estremi confini della terra » (At 1, 8) sono sicuramente degne di nota. Gli Istituti missionari sorti in Africa si sono numericamente accresciuti ed hanno iniziato a fornire missionari non solo per i paesi del continente, ma anche per altre regioni della terra. Sacerdoti diocesani d’Africa, il cui numero sta lentamente crescendo, cominciano a rendersi disponibili, per periodi limitati, come presbiteri fidei donum, in altre diocesi, povere di personale, nella loro nazione o altrove. Le province africane degli Istituti religiosi di diritto pontificio, sia maschili che femminili, hanno anch’esse visto aumentare i loro membri. In tal modo la Chiesa si pone al servizio dei popoli africani; essa accetta inoltre di essere coinvolta nello « scambio di doni » con altre Chiese particolari nell’ambito dell’intero popolo di Dio. Tutto questo manifesta, in modo tangibile, la maturità raggiunta dalla Chiesa in Africa: è questo che ha reso possibile la celebrazione dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi.
Che cosa è diventata l’Africa?
39. Poco meno di trent’anni fa, non pochi paesi africani si rendevano indipendenti rispetto alle potenze coloniali. Questo ha suscitato grandi attese per quanto riguarda lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale dei popoli africani. Benché « in alcuni paesi la situazione interna, purtroppo, non si sia ancora consolidata, e la violenza abbia avuto o abbia ancora talvolta il sopravvento, ciò non può dar luogo ad una condanna generale che coinvolga tutto un popolo o tutta una nazione o, peggio ancora, tutto un continente » [47].
40. Ma qual è la situazione reale d’insieme del continente africano oggi, specialmente dal punto di vista della missione evangelizzatrice della Chiesa? I Padri sinodali, in proposito, si sono posti innanzitutto una domanda: « In un continente saturo di cattive notizie, in che modo il messaggio cristiano costituisce una “buona novella” per il nostro popolo? In mezzo ad una disperazione che invade ogni cosa, dove sono la speranza e l’ottimismo che il Vangelo reca con sé? L’evangelizzazione promuove molti di quei valori essenziali che tanto mancano al nostro continente: speranza, pace, gioia, armonia, amore e unità » [48].
Dopo aver sottolineato, giustamente, che l’Africa è un immenso continente con situazioni molto diverse e che occorre per questo evitare di generalizzare sia nel valutare problemi che nel suggerire soluzioni, l’Assemblea sinodale ha dovuto con dolore rilevare: « Una situazione comune è, senza dubbio, il fatto che l’Africa sia piena di problemi: in quasi tutte le nostre nazioni c’è una miseria spaventosa, cattiva amministrazione delle scarse risorse disponibili, instabilità politica e disorientamento sociale. Il risultato è sotto i nostri occhi: squallore, guerre, disperazione. In un mondo controllato dalle nazioni ricche e potenti, l’Africa è praticamente divenuta un’appendice senza importanza, spesso dimenticata e trascurata da tutti » [49].
41. Per molti Padri sinodali l’Africa di oggi può essere paragonata a quell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico; egli cadde nelle mani dei briganti che lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto (cfr Lc 10, 30-37). L’Africa è un continente in cui innumerevoli esseri umani — uomini e donne, bambini e giovani — sono distesi, in qualche modo, sul bordo della strada, malati, feriti, impotenti, emarginati e abbandonati. Essi hanno un bisogno estremo di buoni Samaritani che vengano loro in aiuto.
Da parte mia, auspico che la Chiesa continui pazientemente ed instancabilmente la sua opera di buon Samaritano. In effetti per un lungo periodo regimi, oggi scomparsi, hanno posto a dura prova gli Africani ed hanno indebolito la loro capacità di reazione: l’uomo ferito deve ritrovare tutte le risorse della propria umanità. I figli e le figlie dell’Africa hanno bisogno di presenza comprensiva e di sollecitudine pastorale. Occorre aiutarli a raccogliere le proprie energie, per porle al servizio del bene comune.
Valori positivi della cultura africana
42. L’Africa, malgrado le sue grandi ricchezze naturali, permane in una situazione economica di povertà. Essa possiede, tuttavia, una molteplice varietà di valori culturali e di inestimabili qualità umane, che può offrire alle Chiese e all’intera umanità. I Padri sinodali hanno posto in evidenza alcuni di tali valori culturali, che certamente costituiscono una preparazione provvidenziale alla trasmissione del Vangelo; sono valori che possono favorire un’evoluzione positiva della drammatica situazione del continente, ed avviare quella ripresa globale da cui dipende l’auspicato sviluppo delle singole nazioni.
Gli Africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio creatore e di un mondo spirituale. La realtà del peccato nelle sue forme individuali e sociali è assai presente alla coscienza di quei popoli, e sentito è pure il bisogno di riti di purificazione e di espiazione.
43. Nella cultura e nella tradizione africane, il ruolo della famiglia è universalmente considerato come fondamentale. Aperto a questo senso della famiglia, dell’amore e del rispetto della vita, l’Africano ama i figli, che sono accolti gioiosamente come un dono di Dio. «I figli e le figlie dell’Africa amano la vita». È proprio l’amore per la vita a comandare loro di attribuire così grande importanza alla venerazione degli avi. Credono istintivamente che quei morti continuino a vivere e rimangono in comunione con loro. Non è questa, in qualche modo, una preparazione alla fede nella comunione dei santi? I popoli dell’Africa rispettano la vita che viene concepita e nasce. Gioiscono di questa vita. Rifiutano l’idea che possa essere annientata, anche quando a ciò vorrebbero indurli le cosiddette “civiltà progressiste”. E le pratiche ostili alla vita vengono loro imposte per mezzo di sistemi economici al servizio dell’egoismo dei ricchi » [50]. Gli Africani manifestano rispetto per la vita fino al suo termine naturale e riservano in seno alla famiglia un posto agli anziani e ai parenti.
Le culture africane hanno un senso acuto della solidarietà e della vita comunitaria. Non si concepisce in Africa una festa che non venga condivisa con l’intero villaggio. Di fatto, la vita comunitaria nelle società africane è espressione della famiglia allargata. Con ardente desiderio prego e chiedo di pregare perché l’Africa conservi sempre tale preziosa eredità culturale e perché mai soccomba alla tentazione dell’individualismo, così estraneo alle sue migliori tradizioni.
Alcune opzioni dei popoli africani
44. Anche se non vanno affatto minimizzati gli aspetti tragici della situazione africana più sopra evocati, vale la pena di ricordare qui talune realizzazioni positive dei popoli del continente che meritano di essere lodate e incoraggiate. I Padri sinodali nel loro Messaggio al popolo di Dio hanno, ad esempio, ricordato con gioia l’avvio del processo democratico in tanti paesi africani, ed hanno auspicato che esso si consolidi e siano prontamente rimossi gli ostacoli e le resistenze allo Stato di diritto, grazie alla collaborazione di tutti i protagonisti ed al loro senso del bene comune [51]. I « venti di cambiamento » soffiano con vigore in molti luoghi del continente, e il popolo chiede con sempre maggiore insistenza il riconoscimento e la promozione dei diritti e delle libertà dell’uomo. Al riguardo, rilevo con soddisfazione che la Chiesa in Africa, fedele alla sua vocazione, si colloca con decisione al fianco degli oppressi, dei popoli senza voce ed emarginati. L’incoraggio fermamente a continuare nel rendere tale testimonianza. L’opzione preferenziale per i poveri è « una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la tradizione della Chiesa […]. La preoccupazione stimolante verso i poveri — i quali, secondo la significativa formula, sono i « poveri del Signore » — deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti e giungere con decisione a una serie di necessarie riforme » [52].
45. Nonostante la povertà e i pochi mezzi a disposizione, la Chiesa in Africa riveste un ruolo di primo piano in ciò che concerne lo sviluppo umano integrale; le sue notevoli realizzazioni in questo campo sono spesso riconosciute dai governi e dagli esperti internazionali.
L’Assemblea speciale per l’Africa ha espresso profonda riconoscenza verso « tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà che lavorano nel campo dell’assistenza e della promozione umana con la nostra Caritas o con le nostre organizzazioni per lo sviluppo » [53]. L’assistenza che essi, come buoni Samaritani, danno alle vittime africane delle guerre e delle catastrofi, ai rifugiati ed ai profughi, merita ammirazione, riconoscenza e sostegno da parte di tutti.
Ritengo doveroso manifestare un vivo ringraziamento alla Chiesa in Africa per il ruolo che essa ha svolto, nel corso degli anni, a favore della pace e della riconciliazione in non poche situazioni di conflitto, di sconvolgimento politico o di guerra civile.
II. Problemi attuali della Chiesa in Africa
46. I Vescovi d’Africa si trovano di fronte a due quesiti di fondo: come deve la Chiesa portare avanti la sua missione evangelizzatrice all’approssimarsi dell’anno 2000? Come i cristiani africani potranno divenire testimoni sempre più fedeli del Signore Gesù? Per offrire a tali quesiti adeguate risposte i Vescovi, prima e durante l’Assemblea speciale, hanno passato in rassegna le principali sfide alle quali la comunità ecclesiale africana deve oggi far fronte.
Evangelizzazione in profondità
47. Il primo, fondamentale dato rilevato dai Padri sinodali è la sete di Dio dei popoli africani. Per non mandare delusa una simile attesa, i membri della Chiesa devono anzitutto approfondire la loro fede [54]. In effetti, proprio perché evangelizzatrice, la Chiesa deve cominciare « con l’evangelizzare se stessa » [55]. Occorre che essa raccolga la sfida contenuta in « questo tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità » [56].
Il Sinodo ha preso atto dell’urgenza di proclamare in Africa la Buona Novella a milioni di persone non ancora evangelizzate. La Chiesa sicuramente rispetta e stima le religioni non cristiane professate da numerosissime persone sul continente africano, perché esse costituiscono l’espressione vivente dell’anima di larghi settori della popolazione, tuttavia « né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità dei problemi sollevati costituiscono per la Chiesa un invito a tacere l’annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani. Al contrario, essa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo (cfr Ef 3, 8), nella quale noi crediamo che tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità » [57].
48. I Padri sinodali affermano con ragione che « un interesse profondo per un’inculturazione vera ed equilibrata del Vangelo si rivela necessario per evitare la confusione e l’alienazione nella nostra società, sottoposta ad una rapida evoluzione » [58]. Visitando il Malawi, io stesso ebbi modo di dire: « Io vi lancio una sfida oggi, una sfida che consiste nel rigettare un modo di vivere che non corrisponde al meglio delle vostre tradizioni locali e della fede cristiana. Molte persone in Africa guardano al di là dell’Africa, verso la cosiddetta “libertà del modo di vivere moderno”. Oggi io vi raccomando caldamente di guardare in voi stessi. Guardate alle ricchezze delle vostre tradizioni, guardate alla fede che abbiamo celebrato in questa assemblea. Là voi troverete la vera libertà, là troverete il Cristo che vi condurrà alla verità » [59].
Superamento delle divisioni
49. Un’altra sfida evidenziata dai Padri sinodali riguarda le diverse forme di divisione che occorre comporre grazie ad una sincera pratica del dialogo [60]. È stato a ragione rilevato che, all’interno delle frontiere ereditate dalle potenze coloniali, la coesistenza di gruppi etnici, di tradizioni, di lingue ed anche di religioni diverse incontra spesso ostacoli dovuti a gravi ostilità reciproche. « Le opposizioni tribali mettono a volte in pericolo se non la pace, almeno il perseguimento del bene comune della società nel suo insieme, e creano anche difficoltà alla vita delle Chiese e all’accoglienza dei Pastori di altre etnie » [61]. Ecco perché la Chiesa in Africa si sente interpellata dal preciso compito di ridurre tali fratture. Anche da questo punto di vista l’Assemblea speciale ha sottolineato l’importanza del dialogo ecumenico con le altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure del dialogo con la religione tradizionale africana e con l’Islam. I Padri si sono domandati, inoltre, con quali mezzi si possa raggiungere tale meta.
Matrimonio e vocazioni
50. Una sfida importante, sottolineata quasi unanimemente dalle Conferenze episcopali d’Africa nelle risposte ai Lineamenta, concerne il Matrimonio cristiano e la vita familiare [62]. La posta in gioco è altissima: infatti « il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia » [63].
Un altro fondamentale compito che l’Assemblea speciale ha posto in evidenza è costituito dalla cura delle vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata: occorre discernerle con saggezza, farle accompagnare da formatori capaci, controllare la qualità della formazione di fatto offerta. Dalla sollecitudine posta nella soluzione di questo problema dipende l’avverarsi della speranza di una fioritura di vocazioni missionarie africane, quale è richiesta dall’annunzio del Vangelo in ogni parte del continente ed anche oltre i suoi confini.
Difficoltà socio-politiche
51. « In Africa, la necessità di applicare il Vangelo alla vita concreta è fortemente sentita. Come si potrebbe annunciare Cristo in quell’immenso continente, dimenticando che esso coincide con una delle aree più povere del mondo? Come non tener conto della storia intrisa di sofferenze di una terra dove molte nazioni sono tuttora alle prese con la fame, la guerra, le tensioni razziali e tribali, l’instabilità politica e la violazione dei diritti umani? Tutto ciò costituisce una sfida all’evangelizzazione » [64].
Tutti i documenti preparatori, come anche le discussioni durante lo svolgimento dell’Assemblea, hanno messo ampiamente in evidenza il fatto che questioni come la povertà crescente in Africa, l’urbanizzazione, il debito internazionale, il commercio delle armi, il problema dei rifugiati e dei profughi, i problemi demografici e le minacce che pesano sulla famiglia, l’emancipazione delle donne, la propagazione dell’AIDS, la sopravvivenza in alcuni luoghi della pratica della schiavitù, l’etnocentrismo e le opposizioni tribali, fanno parte delle sfide fondamentali esaminate dal Sinodo.
Invadenza dei mass-media
52. Infine, l’Assemblea speciale si è preoccupata dei mezzi di comunicazione sociale, questione di enorme importanza poiché si tratta, al tempo stesso, di strumenti di evangelizzazione e di mezzi di diffusione di una nuova cultura che ha bisogno di essere evangelizzata [65]. I Padri sinodali sono stati, così, messi di fronte al triste fatto che « i paesi in via di sviluppo, più che trasformarsi in nazioni autonome, preoccupate del proprio cammino verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a tutti, diventano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si verifica spesso anche nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali, essendo per lo più gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non tengono sempre nella dovuta considerazione le priorità e i problemi propri di questi paesi né rispettano la loro fisionomia culturale, ma anzi, non di rado, essi impongono una visione distorta della vita e dell’uomo, e così non rispondono alle esigenze del vero sviluppo » [66].
III. Formazione degli operatori dell’Evangelizzazione
53. Con quali risorse la Chiesa in Africa riuscirà a rilevare le sfide appena menzionate? « La più importante, dopo la grazia di Cristo, è evidentemente quella del popolo. Il popolo di Dio — inteso nel senso teologico della Lumen gentium, questo popolo che comprende i membri del Corpo di Cristo nella sua totalità — ha ricevuto il mandato, che è allo stesso tempo un onore e un dovere, di proclamare il messaggio evangelico […]. La comunità intera ha bisogno di essere preparata, motivata e rafforzata per l’evangelizzazione, ognuno secondo il proprio ruolo specifico all’interno della Chiesa » [67]. Per questo il Sinodo ha messo fortemente l’accento sulla formazione degli operatori dell’evangelizzazione in Africa. Ho già ricordato la necessità di una formazione appropriata dei candidati al sacerdozio e di quelli che sono chiamati alla vita consacrata. L’Assemblea ha ugualmente prestato dovuta attenzione alla formazione dei fedeli laici, ben riconoscendone il ruolo insostituibile nell’evangelizzazione dell’Africa. In particolare, si è messo l’accento, giustamente, sulla formazione dei catechisti laici.
54. Un’ultima domanda s’impone: la Chiesa in Africa ha formato sufficientemente i laici ad assumere con competenza le loro responsabilità civili ed a considerare i problemi d’ordine socio-politico alla luce del Vangelo e della fede in Dio? È questo sicuramente un compito che interpella i cristiani; esercitare sul tessuto sociale un influsso volto a trasformare non soltanto le mentalità, ma le stesse strutture della società in modo che vi si rispecchino meglio i disegni di Dio sulla famiglia umana. Proprio per questo ho auspicato per i laici una formazione completa che li aiuti a condurre una vita pienamente coerente. La fede, la speranza e la carità non possono non orientare il comportamento dell’autentico discepolo di Cristo in ogni sua attività, situazione e responsabilità. Giacché « evangelizzare per la Chiesa è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa » [68], i cristiani devono essere formati a vivere le implicazioni sociali del Vangelo in modo che la loro testimonianza divenga una sfida profetica nei confronti di tutto ciò che nuoce al vero bene degli uomini e delle donne dell’Africa, come di ogni altro continente.
CAPITOLO III
EVANGELIZZAZIONE E INCULTURAZIONE
Missione della Chiesa
55. « Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16, 15). Tale è il mandato che, prima di salire al Padre, Cristo risorto lasciò agli Apostoli: « Allora essi partirono e predicarono dappertutto » (Mc 16, 20).
« Il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa […]. Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare » [69]. Nata dall’azione evangelizzatrice di Gesù e dei Dodici, essa è a sua volta inviata, « depositaria della Buona Novella che si deve annunziare […]. La Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa ». In seguito, « la Chiesa, a sua volta, invia gli evangelizzatori. Mette nella loro bocca la parola che salva » [70]. Come l’Apostolo dei Gentili, la Chiesa può dire: « Predicare il Vangelo è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9, 16).
La Chiesa annuncia la Buona Novella non solamente attraverso la proclamazione della parola che ha ricevuto dal Signore, ma anche mediante la testimonianza della vita, grazie alla quale i discepoli di Cristo rendono ragione della fede, della speranza e dell’amore che sono in essi (cfr 1 Pt 3, 15).
Questa testimonianza che il cristiano rende a Cristo e al Vangelo può condurre fino al sacrificio supremo: il martirio (cfr Mc 8, 35). La Chiesa e il cristiano, infatti, annunciano Colui che è « segno di contraddizione » (Lc 2, 34). Proclamano « un Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani » (1 Cor 1, 23). Come ho avuto modo di dire più sopra, oltre agli illustri martiri dei primi secoli, l’Africa può gloriarsi dei suoi martiri e santi dell’epoca moderna.
L’evangelizzazione ha per scopo di « trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa » [71]. Nell’unico Figlio e attraverso di Lui, saranno rinnovati i rapporti degli uomini con Dio, con gli altri uomini, con la creazione tutta intera. Per questo l’annuncio del Vangelo può contribuire all’interiore trasformazione di tutte le persone di buona volontà che hanno il cuore aperto all’azione dello Spirito Santo.
56. Testimoniare il Vangelo con le parole e con gli atti: ecco la consegna che l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha ricevuto e che trasmette ora alla Chiesa del continente. « Mi sarete testimoni » (At 1, 8): questa è la posta in gioco, questi dovranno essere in Africa i frutti del Sinodo in ogni ambito della vita umana.
Nata dalla predicazione di coraggiosi Vescovi e sacerdoti missionari, efficacemente aiutati dai catechisti — « degna di lode è anche quella schiera tanto benemerita dell’opera missionaria tra le genti »[72] —, la Chiesa in Africa, terra divenuta « nuova Patria di Cristo » [73], è ormai responsabile della missione nel continente e nel mondo: « Africani, voi siete ormai missionari di voi stessi », diceva a Kampala il mio predecessore Paolo VI [74]. Poiché la grande maggioranza degli abitanti del continente africano non ha ancora ricevuto l’annuncio della Buona Novella della salvezza, il Sinodo raccomanda che siano incoraggiate le vocazioni missionarie e domanda che sia favorita e attivamente sostenuta l’offerta di preghiere, di sacrifici e di aiuti concreti in favore del lavoro missionario della Chiesa [75].
Annuncio
57. « Il Sinodo ricorda che evangelizzare è annunciare attraverso la parola e la vita la Buona Novella di Gesù Cristo, crocifisso, morto e risuscitato, via, verità e vita » [76]. All’Africa, pressata d’ogni parte da germi d’odio e di violenza, da conflitti e da guerre, gli evangelizzatori devono proclamare la speranza della vita radicata nel mistero pasquale. È proprio quando, umanamente parlando, la sua vita sembrava destinata alla sconfitta, che Gesù instituì l’Eucaristia, « pegno dell’eterna gloria » [77], per perpetuare nel tempo e nello spazio la sua vittoria sulla morte. Ecco perché l’Assemblea speciale per l’Africa, in questo periodo in cui il continente africano per certi aspetti versa in condizioni critiche, ha voluto presentarsi come « Sinodo della risurrezione, Sinodo della speranza […]. Cristo, nostra Speranza, è vivo, noi vivremo! » [78]. L’Africa non è votata alla morte, ma alla vita! È dunque necessario « che la nuova evangelizzazione sia centrata sull’incontro con la persona vivente di Cristo » [79]. « Il primo annuncio deve mirare a far fare questa esperienza sconvolgente ed entusiasmante di Gesù Cristo che chiama e trascina al suo seguito in un’avventura di fede » [80]. Compito, questo, singolarmente facilitato dal fatto che « l’Africano crede in Dio creatore a partire dalla sua vita e dalla sua religione tradizionale. È dunque aperto anche alla piena e definitiva rivelazione di Dio in Gesù Cristo, Dio con noi, Verbo fatto carne. Gesù, la Buona Novella, è Dio che salva l’Africano […] dall’oppressione e dalla schiavitù » [81].
L’evangelizzazione deve raggiungere « l’uomo e la società a tutti i livelli della loro esistenza. Essa si manifesta in attività diverse, in particolare in quelle specificamente prese in considerazione dal Sinodo: annuncio, inculturazione, dialogo, giustizia e pace, mezzi di comunicazione sociale » [82].
Perché questa missione riesca pienamente, occorre fare in modo che « nell’evangelizzazione il ricorso allo Spirito Santo sia insistente, così che si realizzi una continua Pentecoste, nella quale Maria, come già nella prima, avrà il suo posto » [83]. In effetti, la forza dello Spirito Santo guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13) e le dona di andare incontro al mondo per testimoniare Cristo con fiduciosa sicurezza.
58. La parola che esce dalla bocca di Dio è viva ed efficace, e non ritorna mai a Lui senza effetto (cfr Is 55, 11; Eb 4, 12-13). Bisogna dunque proclamarla senza sosta, insistere « in ogni occasione opportuna e non opportuna […] con ogni magnanimità e dottrina » (2 Tm 4, 2). Affidata in primo luogo alla Chiesa, la parola di Dio scritta « non va soggetta a privata spiegazione » (2 Pt 1, 20); spetta alla Chiesa di offrirne l’autentica interpretazione [84].
Per far sì che la parola di Dio sia conosciuta, amata, meditata e serbata nel cuore dei fedeli (cfr Lc 2, 19.51) è necessario intensificare gli sforzi per facilitare l’accesso alla Sacra Scrittura, specialmente mediante traduzioni integrali o parziali della Bibbia, fatte per quanto possibile in collaborazione con le altre Chiese e Comunità ecclesiali e accompagnate da guide di lettura per la preghiera, lo studio in famiglia o in comunità. Occorre inoltre promuovere la formazione biblica per i membri del clero, per i religiosi, per i catechisti e per gli stessi laici in generale; predisporre adeguate celebrazioni della Parola; favorire l’apostolato biblico con l’aiuto del Centro Biblico per l’Africa e il Madagascar e di altre strutture simili, da incoraggiare ad ogni livello. In breve, si dovrà cercare di porre la Sacra Scrittura nelle mani di tutti i fedeli sin dall’infanzia [85].
Urgenza e necessità dell’inculturazione
59. I Padri sinodali hanno a più riprese sottolineato l’importanza particolare che riveste per l’evangelizzazione l’inculturazione, quel processo cioè mediante il quale la « catechesi “s’incarna” nelle differenti culture » [86]. L’inculturazione comprende una duplice dimensione: da una parte, « l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo » e, dall’altra, « il radicamento del cristianesimo nelle varie culture » [87]. Il Sinodo considera l’inculturazione come una priorità e un’urgenza nella vita delle Chiese particolari per un reale radicamento del Vangelo in Africa [88], « un’esigenza dell’evangelizzazione » [89], « un cammino verso una piena evangelizzazione »,[90] una delle maggiori sfide per la Chiesa nel continente all’approssimarsi del terzo millennio [91].
Fondamenti teologici
60. « Ma quando venne la pienezza del tempo » (Gal 4, 4), il Verbo, seconda Persona della Santissima Trinità, Figlio unico di Dio, « si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo » [92]. È il sublime mistero dell’Incarnazione del Verbo, un mistero che ha avuto luogo nella storia: in circostanze di tempo e di luogo ben definite, in mezzo ad un popolo con una sua propria cultura, che Dio aveva eletto ed accompagnato lungo l’intera storia della salvezza allo scopo di mostrare, mediante quanto operava in esso, ciò che intendeva fare per tutto il genere umano.
Dimostrazione evidente dell’amore di Dio per gli uomini (cfr Rm 5, 8), Gesù Cristo, con la sua vita, con la Buona Novella annunciata ai poveri, con la passione, la morte e la gloriosa risurrezione, ha operato la remissione dei nostri peccati e la nostra riconciliazione con Dio, suo Padre e, grazie a Lui, nostro Padre. La Parola che la Chiesa annuncia è precisamente il Verbo di Dio fatto uomo, soggetto e oggetto Egli stesso di tale Parola. La Buona Novella è Gesù Cristo.
Come « il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1, 14), così la Buona Novella, la parola di Gesù Cristo annunciata alle nazioni, deve calarsi dentro l’ambiente di vita dei suoi ascoltatori. L’inculturazione è precisamente questo inserimento del messaggio evangelico nelle culture [93]. In effetti, l’Incarnazione del Figlio di Dio, proprio perché integrale e concreta [94], è stata anche incarnazione in una specifica cultura.
61. Data la stretta e organica relazione che esiste tra Gesù Cristo e la parola che annuncia la Chiesa, l’inculturazione del messaggio rivelato non potrà non seguire la « logica » propria del mistero della Redenzione. L’Incarnazione del Verbo, in effetti, non costituisce un momento isolato, ma tende verso « l’Ora » di Gesù e il mistero pasquale: « Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto » (Gv 12, 24). « Io, dice Gesù, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me » (Gv 12, 32). Questo annientamento di sé, questa kenosi necessaria all’esaltazione, itinerario di Gesù e di ciascuno dei suoi discepoli (cfr Fil 2, 6-9), è illuminante per l’incontro delle culture con Cristo e il suo Vangelo. « Ogni cultura ha bisogno di essere trasformata dai valori del Vangelo alla luce del mistero pasquale » [95].
È guardando al mistero dell’Incarnazione e della Redenzione che si deve operare il discernimento dei valori e degli anti-valori delle culture. Come il Verbo di Dio è divenuto in tutto simile a noi, ad eccezione del peccato, così l’inculturazione della Buona Novella assume tutti gli autentici valori umani purificandoli dal peccato e restituendoli al loro pieno significato.
L’inculturazione ha profondi legami anche con il mistero della Pentecoste. Grazie all’effusione e all’azione dello Spirito, che unifica doni e talenti, tutti i popoli della terra, entrando nella Chiesa, vivono una nuova Pentecoste, professano nella loro lingua l’unica fede in Gesù Cristo e proclamano le meraviglie che il Signore ha operato per loro. Lo Spirito, che sul piano naturale è sorgente originaria della saggezza dei popoli, conduce con un’illuminazione soprannaturale la Chiesa alla conoscenza della Verità tutta intera. A sua volta la Chiesa, assumendo i valori delle diverse culture, diviene la « sponsa ornata monilibus suis », la « sposa che si adorna dei suoi gioielli » (cfr Is 61, 10).
Criteri e ambiti dell’inculturazione
62. È un compito difficile e delicato, poiché pone in questione la fedeltà della Chiesa al Vangelo e alla Tradizione apostolica nell’evoluzione costante delle culture. Giustamente, quindi, i Padri sinodali hanno osservato: « Circa i rapidi cambiamenti culturali, sociali, economici e politici, le nostre Chiese locali dovranno lavorare ad un processo d’inculturazione sempre rinnovato, rispettando i due criteri seguenti: la compatibilità con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa universale […]. In ogni caso si avrà cura di evitare ogni sincretismo » [96].
« Come cammino verso una piena evangelizzazione, l’inculturazione mira a porre l’uomo in condizione di accogliere Gesù Cristo nell’integralità del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio Padre, e di una vita santa mediante l’azione dello Spirito Santo » [97].
Nel rendere grazie a Dio per i frutti che gli sforzi dell’inculturazione hanno già portato alla vita delle Chiese del continente, particolarmente alle antiche Chiese orientali d’Africa, il Sinodo ha raccomandato « ai Vescovi e alle Conferenze episcopali di tenere conto che l’inculturazione ingloba tutti gli ambiti della vita della Chiesa e dell’evangelizzazione: teologia, liturgia, vita e struttura della Chiesa. Tutto ciò sottolinea il bisogno di una ricerca nell’ambito delle culture africane in tutta la loro complessità ». Proprio per questo il Sinodo ha invitato i Pastori « a sfruttare al massimo le molteplici possibilità che la disciplina attuale della Chiesa già accorda al riguardo » [98].
Chiesa come Famiglia di Dio
63. Non solo il Sinodo ha parlato dell’inculturazione, ma l’ha anche concretamente applicata, assumendo come idea-guida per l’evangelizzazione dell’Africa quella di Chiesa come Famiglia di Dio [99]. In essa i Padri sinodali hanno riconosciuto una espressione della natura della Chiesa particolarmente adatta per l’Africa. L’immagine pone, in effetti, l’accento sulla premura per l’altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni, sull’accoglienza, il dialogo e la fiducia [100]. La nuova evangelizzazione tenderà dunque ad edificare la Chiesa come famiglia, escludendo ogni etnocentrismo e ogni particolarismo eccessivo, cercando invece di promuovere la riconciliazione e una vera comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le Chiese particolari, senza indebite considerazioni di ordine etnico [101]. « È vivamente auspicabile che i teologi elaborino la teologia della Chiesa-Famiglia in tutta la ricchezza insita in tale concetto, sviluppandone la complementarietà mediante altre immagini della Chiesa » [102].
Ciò suppone una riflessione approfondita sul patrimonio biblico e tradizionale che il Concilio Vaticano II ha raccolto nella Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il mirabile testo espone la dottrina sulla Chiesa ricorrendo ad immagini, tratte dalla Sacra Scrittura, quali Corpo mistico, popolo di Dio, tempio dello Spirito, gregge ed ovile, casa in cui Dio dimora con gli uomini. Secondo il Concilio, la Chiesa è sposa di Cristo ed è madre nostra, città santa e primizia del Regno venturo. Di queste suggestive immagini occorrerà tener conto nello sviluppare, secondo il suggerimento del Sinodo, una ecclesiologia centrata sul concetto di Chiesa-famiglia di Dio [103]. Si potrà allora apprezzare in tutta la sua ricchezza e densità l’affermazione da cui prende le mosse la Costituzione conciliare: « La Chiesa è in Cristo come il sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano » [104].
Campi di applicazione
64. Nella pratica, senza alcun pregiudizio per le tradizioni proprie di ciascuna Chiesa, latina o orientale, « dovrà essere perseguita l’inculturazione della liturgia, avendo cura che nulla cambi quanto agli elementi essenziali, affinché il popolo fedele possa meglio comprendere e vivere le celebrazioni liturgiche » [105].
Il Sinodo ha inoltre riaffermato che, anche quando la dottrina è difficilmente assimilabile nonostante un lungo periodo di evangelizzazione, o, ancora, quando la sua pratica pone seri problemi pastorali, soprattutto nella vita sacramentale, occorre restare fedeli all’insegnamento della Chiesa e, al tempo stesso, rispettare le persone nella giustizia e con vera carità pastorale. Ciò presupposto, il Sinodo ha espresso l’auspicio che le Conferenze episcopali, in collaborazione con le Università e gli Istituti cattolici, creino delle commissioni di studio, specialmente per quanto riguarda il Matrimonio, la venerazione degli antenati e il mondo degli spiriti, al fine di esaminare a fondo tutti gli aspetti culturali dei problemi posti dal punto di vista teologico, sacramentale, rituale e canonico [106].
Dialogo
65. « L’atteggiamento di dialogo è il modo d’essere del cristiano all’interno della sua comunità, come nei confronti degli altri credenti e degli uomini e donne di buona volontà » [107]. Il dialogo anzitutto va praticato all’interno della Chiesa-Famiglia, a tutti i livelli: tra Vescovi, Conferenze episcopali o Assemblee della Gerarchia e Sede Apostolica, fra le Conferenze o Assemblee episcopali delle varie nazioni dello stesso continente e quelle degli altri continenti e, in ciascuna Chiesa particolare, tra il Vescovo, il presbiterio, le persone consacrate, gli operatori pastorali ed i fedeli laici; come pure tra i differenti riti all’interno della stessa Chiesa. Sarà cura dello S.C.E.A.M. dotarsi « di strutture e di mezzi che garantiscano l’esercizio di questo dialogo » [108], in particolare per favorire una solidarietà pastorale organica.
« Uniti a Cristo nella loro testimonianza in Africa, i cattolici sono invitati a sviluppare un dialogo ecumenico con tutti i fratelli battezzati delle altre Confessioni cristiane, affinché si realizzi l’unità per la quale Cristo ha pregato ed in tal modo il loro servizio alle popolazioni del continente renda il Vangelo più credibile agli occhi di quanti e di quante cercano Dio » [109]. Tale dialogo potrà concretizzarsi in iniziative come la traduzione ecumenica della Bibbia, l’approfondimento teologico dell’uno o dell’altro aspetto della fede cristiana, o ancora offrendo insieme una testimonianza evangelica a favore della giustizia, della pace e del rispetto della dignità umana. Ci si preoccuperà per questo di creare commissioni nazionali e diocesane per l’ecumenismo [110]. Insieme, i cristiani sono responsabili della testimonianza da rendere al Vangelo nel continente. I progressi dell’ecumenismo hanno anche come scopo quello di dare maggiore efficacia a questa testimonianza.
66. « L’impegno del dialogo deve abbracciare pure i musulmani di buona volontà. I cristiani non possono dimenticare che molti musulmani intendono imitare la fede di Abramo e vivere le esigenze del Decalogo » [111]. A questo riguardo, il Messaggio del Sinodo sottolinea che il Dio vivo, Creatore del cielo e della terra e Signore della storia, è il Padre della grande famiglia umana che noi formiamo. Come tale, Egli vuole che gli rendiamo testimonianza nel rispetto dei valori e delle tradizioni religiose proprie di ognuno, lavorando insieme per la promozione umana e lo sviluppo a tutti i livelli. Lungi dal desiderare di essere colui in nome del quale si uccidono altri uomini, Egli impegna i credenti a mettersi insieme al servizio della vita nella giustizia e nella pace [112]. Si farà dunque particolare attenzione a che il dialogo islamico-cristiano rispetti da una parte e dall’altra l’esercizio della libertà religiosa, con tutto ciò che questo comporta, comprese anche le manifestazioni esteriori e pubbliche della fede [113]. Cristiani e musulmani sono chiamati ad impegnarsi nel promuovere un dialogo immune dai rischi derivanti da un irenismo di cattiva lega o da un fondamentalismo militante, e nel levare la loro voce contro politiche e pratiche sleali, così come contro ogni mancanza di reciprocità in fatto di libertà religiosa [114].
67. Quanto alla religione tradizionale africana, un dialogo sereno e prudente potrà, da una parte, garantire da influssi negativi che condizionano il modo di vivere di molti cattolici e, dall’altra, assicurare l’assimilazione di valori positivi quali la credenza in un Essere Supremo, Eterno, Creatore, Provvidente e giusto Giudice che ben s’armonizzano col contenuto della fede. Essi possono anzi essere visti come una preparazione al Vangelo, poiché contengono preziosi semina Verbi in grado di condurre, come già è avvenuto nel passato, un grande numero di persone ad « aprirsi alla pienezza della Rivelazione in Gesù Cristo attraverso la proclamazione del Vangelo » [115].
Occorre, pertanto, trattare con molto rispetto e stima quanti aderiscono alla religione tradizionale, evitando ogni linguaggio inadeguato ed irrispettoso. A tal fine, nelle case di formazione sacerdotali e religiose verranno date opportune istruzioni sulla religione tradizionale [116].
Sviluppo umano integrale
68. Lo sviluppo umano integrale — sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo, specialmente di chi è più povero ed emarginato nella comunità — si pone nel cuore stesso dell’evangelizzazione. « Tra evangelizzazione e promozione umana — sviluppo e liberazione — ci sono infatti dei legami profondi. Legami d’ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, autentica crescita dell’uomo? » [117].
Così, quando inaugurò il ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret, il Signore Gesù scelse, per illustrare la sua missione, il testo messianico del libro di Isaia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio; per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore » (Lc 4, 18-19; cfr Is 61, 1-2).
Il Signore si considera, dunque, come inviato per alleviare la miseria degli uomini e combattere ogni forma di emarginazione. È venuto a liberare l’uomo; è venuto a prendere le nostre infermità e a caricarsi delle nostre malattie: « Di fatto tutto il ministero di Gesù è legato all’attenzione di quanti, attorno a lui, erano toccati dalla sofferenza: persone nel dolore, paralitici, lebbrosi, ciechi, sordi, muti (cfr Mt 8, 17) » [118]. « È impossibile accettare che nell’evangelizzazione si possa o si debba trascurare l’importanza dei problemi, oggi così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace del mondo »: [119] la liberazione che l’evangelizzazione annuncia « non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all’uomo intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso l’assoluto, anche l’Assoluto che è Dio » [120].
Giustamente afferma il Concilio Vaticano II: « La Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all’uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia » [121]. La Chiesa annuncia e comincia ad attuare il Regno di Dio sulle orme di Gesù, poiché « la natura del Regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio » [122]. Così « il Regno è fonte di liberazione piena e di salvezza totale per gli uomini: con questi la Chiesa cammina e vive, realmente e intimamente solidale con la loro storia » [123].
69. La storia degli uomini assume il proprio autentico senso nell’Incarnazione del Verbo di Dio che è il fondamento della ripristinata dignità umana. È mediante Cristo, « immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura » (Col 1, 15), che l’uomo è stato redento; anzi, « con l’Incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo » [124]. Come non gridare con san Leone Magno: « Cristiano, prendi coscienza della tua dignità »? [125].
Annunciare Cristo è dunque rivelare all’uomo la sua dignità inalienabile, che Dio ha riscattato mediante l’incarnazione del suo unico Figlio. Il Concilio Vaticano II così prosegue: « Poiché la Chiesa ha ricevuto l’incarico di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo personale dell’uomo, essa al tempo stesso svela all’uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull’uomo » [126].
Dotato di tale incomparabile dignità, l’uomo non può vivere in condizioni di vita sociale, economica, culturale e politica infra-umane. Ecco il fondamento teologico della lotta per la difesa della dignità personale, per la giustizia e la pace sociale, per la promozione umana, la liberazione e lo sviluppo integrale dell’uomo e di ogni uomo. Ecco anche perché, tenendo conto di questa dignità, lo sviluppo dei popoli — all’interno di ciascuna nazione e nelle relazioni internazionali — deve realizzarsi in maniera solidale, come osservava in modo quanto mai appropriato il mio predecessore Paolo VI [127]. È precisamente in questa prospettiva che egli poteva affermare: « Lo sviluppo è il nuovo nome della pace » [128]. Si può, dunque, a giusto titolo dire che « lo sviluppo integrale suppone il rispetto della dignità umana, la quale non può realizzarsi che nella giustizia e nella pace » [129].
Farsi voce di chi non ha voce
70. Forti della fede e della speranza nella potenza salvifica di Gesù, i Padri del Sinodo hanno concluso i lavori rinnovando l’impegno ad accettare la sfida di essere strumenti della salvezza in ogni differente ambito della vita dei popoli africani. « La Chiesa — hanno dichiarato — deve continuare ad esercitare il suo ruolo profetico ed essere la voce di coloro che non hanno voce » [130], affinché ovunque la dignità umana sia riconosciuta ad ogni persona, e l’uomo sia sempre al centro di ogni programma dei governi. Il Sinodo « interpella la coscienza dei capi di Stato e dei responsabili della cosa pubblica, perché garantiscano sempre più la liberazione e lo sviluppo delle loro popolazioni » [131]. Solo a questo prezzo si costruisce la pace tra le nazioni.
L’evangelizzazione deve promuovere quelle iniziative che contribuiscono a sviluppare e a nobilitare l’uomo nella sua esistenza spirituale e materiale. Si tratta dello sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo, preso non soltanto in modo isolato, ma anche e specialmente nel quadro di uno sviluppo solidale ed armonioso di tutti i membri di una nazione e di tutti i popoli della terra [132].
Infine, l’evangelizzazione deve denunciare e combattere quanto avvilisce e distrugge l’uomo. « All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l’annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta » [133].
Mezzi di comunicazione sociale
71. « Da sempre Dio si caratterizza per la sua volontà di comunicare. Egli lo compie in modi differenti. A tutte le creature animate o inanimate egli dona l’essere. Con l’uomo particolarmente egli intreccia delle relazioni privilegiate. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2) » [134]. Il Verbo di Dio è, per sua natura, parola, dialogo e comunicazione. Egli è venuto a restaurare, da una parte, la comunicazione e la relazione fra Dio e gli uomini, e, dall’altra, quella degli uomini tra di loro.
I mass-media hanno attirato l’attenzione del Sinodo sotto due aspetti importanti e complementari: come universo culturale nuovo ed emergente e come un insieme di mezzi al servizio della comunicazione. Essi costituiscono dall’inizio una cultura nuova che ha il suo linguaggio proprio e soprattutto i suoi valori e controvalori specifici. A questo titolo hanno bisogno, come tutte le culture, di essere evangelizzati [135] In effetti, ai nostri giorni i mass-media costituiscono non solamente un mondo, ma una cultura e una civiltà. Ed è anche a questo mondo che la Chiesa è inviata a portare la Buona Novella della salvezza. Gli araldi del Vangelo devono dunque entrarvi per lasciarsi permeare da tale nuova civiltà e cultura, al fine però di sapersene opportunamente servire. « Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità rendendola — come si suol dire — “un villaggio globale”. I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari e sociali » [136].
La formazione all’uso dei mass-media è dunque una necessità, non soltanto per chi annuncia il Vangelo, il quale deve, tra l’altro, possedere lo stile della comunicazione, ma anche per il lettore, il recettore ed il telespettatore che, formati alla comprensione del tipo di comunicazione, devono saperne cogliere gli apporti con discernimento e spirito critico.
In Africa, dove la trasmissione orale è una delle caratteristiche della cultura, tale formazione riveste una capitale importanza. Questo stesso tipo di comunicazione deve ricordare ai Pastori, specialmente ai Vescovi ed ai sacerdoti, che la Chiesa è inviata per parlare, per predicare il Vangelo mediante la parola ed i gesti. Essa non può dunque tacere, col rischio di venir meno alla sua missione; a meno che, in certe circostanze, il silenzio non sia esso stesso un modo di parlare e di testimoniare. Noi dobbiamo dunque sempre annunciare in ogni occasione opportuna e non opportuna (cfr 2 Tm 4, 2), allo scopo di edificare nella carità e nella verità.
CAPITOLO IV
NELLA PROSPETTIVA DEL TERZO MILLENNIO CRISTIANO
I. Le sfide attuali
72. L’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi è stata convocata per dare modo alla Chiesa di Dio, diffusa sul continente, di riflettere sulla sua missione evangelizzatrice in vista del terzo millennio, e di predisporre, come ebbi a ricordare, « un’organica solidarietà pastorale nell’intero territorio africano e nelle isole attigue » [137]. Tale missione comporta, come già s’è rilevato, urgenze e sfide dovute ai profondi e rapidi mutamenti delle società africane ed agli effetti derivanti dall’affermarsi di una civiltà planetaria.
La necessità del Battesimo
73. La prima urgenza è naturalmente l’evangelizzazione stessa. Da un lato, la Chiesa deve assimilare e vivere sempre meglio il messaggio di cui il Signore l’ha costituita depositaria. Dall’altro, essa deve testimoniare ed annunciare questo messaggio a quanti ancora non conoscono Gesù Cristo. È infatti per loro che il Signore ha detto agli Apostoli: « Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni » (Mt 28, 19).
Come nella Pentecoste, la predicazione del kérigma ha come scopo naturale di condurre chi ascolta alla metànoia e al Battesimo: « L’annuncio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all’adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede » [138]. La conversione a Cristo, peraltro, « è connessa col Battesimo: lo è non solo per la prassi della Chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato la sua Chiesa a far discepole tutte le genti e a battezzarle (cfr Mt 28, 19); lo è anche per l’intrinseca esigenza di ricevere la pienezza della vita in Lui: “In verità, in verità ti dico — Gesù insegna a Nicodemo — se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio” (Gv 3, 5). Il Battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito Santo: esso non è un semplice suggello della conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e la attesti, bensì è sacramento che significa e opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura vincoli reali e inscindibili con la Trinità, rende membri del Corpo di Cristo, che è la Chiesa » [139]. Pertanto, un itinerario di conversione che non giungesse al Battesimo si fermerebbe a metà strada.
In verità, gli uomini di buona volontà che, senza alcuna loro colpa, non sono raggiunti dall’annuncio evangelico, ma vivono in armonia con la loro coscienza secondo la legge di Dio, saranno salvati da Cristo e in Cristo. Per ogni essere umano, infatti, c’è sempre in atto la chiamata di Dio, che attende di essere riconosciuta ed accolta (cfr 1 Tm 2, 4). È proprio per facilitare questo riconoscimento e questa accoglienza che ai discepoli di Cristo è richiesto di non darsi pace finché a tutti non sia portato il lieto annuncio della salvezza.
Urgenza dell’evangelizzazione
74. Il Nome di Gesù Cristo, infatti, è il solo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (cfr At 4, 12). Poiché vi sono in Africa milioni di persone non ancora evangelizzate, la Chiesa si trova di fronte al compito, necessario ed urgente, di proclamare la Buona Novella a tutti, e di condurre coloro che ascoltano al Battesimo e alla vita cristiana. « L’urgenza dell’attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all’uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo » [140]. Questa vita nuova nell’originalità radicale del Vangelo comporta anche delle rotture rispetto ai costumi ed alla cultura di qualunque popolo della terra, poiché il Vangelo non è mai un prodotto interno di un determinato paese, ma viene sempre « da fuori », viene dall’Alto. Per i battezzati la grande sfida sarà sempre costituita dalla coerenza di un’esistenza cristiana conforme agli impegni del Battesimo, che significa morte al peccato e risurrezione quotidiana ad una vita nuova (cfr Rm 6, 4-5). Senza tale coerenza, i discepoli di Cristo difficilmente potranno essere « sale della terra » e « luce del mondo » (Mt 5, 13.14). Se la Chiesa in Africa s’impegna con vigore e senza esitazioni su questa via, la Croce potrà essere piantata in ogni parte del continente per la salvezza dei popoli che non hanno paura di aprire le porte al Redentore.
Importanza della formazione
75. In tutti i settori della vita ecclesiale la formazione è di capitale importanza. Nessuno, infatti, può realmente conoscere le verità di fede che non ha mai avuto modo di apprendere, né è in grado di porre atti ai quali non è mai stato iniziato. Ecco perché « la comunità intera ha bisogno di essere preparata, motivata e rafforzata per l’evangelizzazione, ognuno secondo il proprio ruolo specifico all’interno della Chiesa » [141]. Questo concerne pure i Vescovi, i presbiteri, i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, quelli degli Istituti secolari e tutti i fedeli laici.
La formazione missionaria non può non occupare un posto privilegiato. Essa è « opera della Chiesa locale con l’aiuto dei missionari e dei loro Istituti, nonché del personale delle giovani Chiese. Questo lavoro deve essere inteso non come marginale, ma come centrale nella vita cristiana » [142]. Il programma di formazione includerà, in modo particolare, la formazione dei laici a svolgere appieno il loro ruolo di animazione cristiana dell’ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale), che è impegno caratteristico della vocazione secolare del laicato. Non si mancherà, a questo proposito, di incoraggiare laici competenti e motivati ad impegnarsi nell’azione politica [143], nella quale, mediante un degno esercizio delle cariche pubbliche, potranno « provvedere al bene comune e al tempo stesso aprire la via al Vangelo » [144].
Approfondire la fede
76. La Chiesa in Africa, per essere evangelizzatrice, deve « cominciare con l’evangelizzare se stessa […]. Essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare le grandi opere di Dio »[145].
Oggi in Africa, « la formazione alla fede […] è rimasta troppo spesso allo stadio elementare, e le sètte traggono facilmente vantaggio da questa ignoranza » [146]. È perciò urgente un serio approfondimento della fede, perché la rapida evoluzione della società ha fatto sorgere nuove sfide, legate in particolare ai fenomeni di sradicamento familiare, di urbanizzazione, di disoccupazione, come pure alle molteplici seduzioni materialiste, ad una certa secolarizzazione e a quella sorta di trauma intellettuale che provoca la valanga di idee insufficientemente vagliate, diffuse dai media [147].
La forza della testimonianza
77. La formazione deve mirare a dare ai cristiani non soltanto un’abilità tecnica per trasmettere meglio i contenuti della fede, ma anche una convinzione personale profonda per testimoniarli efficacemente nella vita. Tutti coloro che sono chiamati a proclamare il Vangelo cercheranno dunque di agire con totale docilità allo Spirito, il quale « oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da Lui » [148]. « Le tecniche dell’evangelizzazione sono buone, ma neppure le più perfette tra di esse potrebbero sostituire l’azione discreta dello Spirito. Anche la preparazione più raffinata dell’evangelizzatore, non opera nulla senza di Lui. Senza di Lui la dialettica più convincente è impotente sullo spirito degli uomini. Senza di Lui, i più elaborati schemi a base sociologica o psicologica si rivelano vuoti e privi di valore » [149].
Una vera testimonianza da parte dei credenti è oggi essenziale in Africa per proclamare in maniera autentica la fede. In particolare, è necessario che essi offrano la testimonianza di un sincero amore reciproco. « La vita eterna è che “conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 3). Scopo ultimo della missione è di far partecipare alla comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l’unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda (cfr Gv 17, 21-23). È, questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è missionari anzitutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità nell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa » [150].
Inculturare la fede
78. A motivo della profonda convinzione che « la sintesi tra cultura e fede non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede », perché « una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta » [151], l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha ritenuto l’inculturazione una priorità ed un’urgenza nella vita delle Chiese particolari in Africa: solo così il Vangelo può porre salde radici nelle comunità cristiane del continente. Sulla scia del Concilio Vaticano II [152], i Padri sinodali hanno interpretato l’inculturazione come un processo comprendente tutta l’estensione della vita cristiana — teologia, liturgia, consuetudini, strutture della Chiesa —, senza ovviamente intaccare il diritto divino e la grande disciplina della Chiesa, avvalorata nel corso dei secoli da straordinari frutti di virtù e di eroismo [153].
La sfida dell’inculturazione in Africa consiste nel far sì che i discepoli di Cristo possano assimilare sempre meglio il messaggio evangelico, pur restando fedeli a tutti i valori africani autentici. Inculturare la fede in tutti i settori della vita cristiana ed umana si pone quindi come compito arduo, per il cui assolvimento è necessaria l’assistenza dello Spirito del Signore che conduce la Chiesa alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13).
Una comunità riconciliata
79. La sfida del dialogo è, in fondo, la sfida della trasformazione delle relazioni tra gli uomini, tra le nazioni e tra i popoli nella vita religiosa, politica, economica, sociale e culturale. È la sfida dell’amore di Cristo per tutti gli uomini, amore che il discepolo deve riprodurre nella sua vita: « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (Gv 13, 35).
« L’evangelizzazione continua il dialogo di Dio con l’umanità, un dialogo che tocca il suo vertice nella persona di Gesù Cristo » [154]. Per mezzo della Croce, Egli ha distrutto in se stesso l’inimicizia (cfr Ef 2, 16) che divide ed allontana gli uomini gli uni dagli altri.
Ora, nonostante la civiltà contemporanea del « villaggio globale », in Africa come altrove nel mondo lo spirito di dialogo, di pace e di riconciliazione è lungi dall’abitare il cuore di tutti gli uomini. Le guerre, i conflitti, gli atteggiamenti razzisti e xenofobi dominano ancora troppo il mondo delle relazioni umane.
La Chiesa in Africa avverte l’esigenza di diventare per tutti, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione. Così, perdonati e riconciliati vicendevolmente, essi potranno recare al mondo il perdono e la riconciliazione che Cristo, nostra pace (cfr Ef 2, 14), offre all’umanità mediante la sua Chiesa. Altrimenti il mondo assomiglierà sempre più ad un campo di battaglia, dove contano solo gli interessi egoistici e dove regna la legge della forza, che allontana fatalmente l’umanità dall’auspicata civiltà dell’amore.
II. La famiglia
Evangelizzare la famiglia
80. « Il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia » [155]. In effetti, non solamente la famiglia è la prima cellula della comunità ecclesiale viva, ma lo è anche della società. In Africa, in particolare, la famiglia rappresenta il pilastro su cui è costruito l’edificio della società. Ecco perché il Sinodo considera l’evangelizzazione della famiglia africana come una delle priorità maggiori, se si vuole che essa assuma, a sua volta, il ruolo di soggetto attivo nella prospettiva dell’evangelizzazione delle famiglie mediante le famiglie.
Dal punto di vista pastorale, ciò costituisce una vera sfida, date le difficoltà d’ordine politico, economico, sociale e culturale alle quali i nuclei familiari in Africa devono far fronte nel contesto dei grandi mutamenti della società contemporanea. Pur adottando i valori positivi della modernità, la famiglia africana dovrà pertanto salvaguardare i propri valori essenziali.
La Santa Famiglia come modello 81. A questo proposito la Santa Famiglia che, secondo il Vangelo (cfr Mt 2, 14-15), ha vissuto per qualche tempo in Africa, è « prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane » [156], modello e sorgente spirituale per ogni famiglia cristiana [157].
Per riprendere le parole di Papa Paolo VI, pellegrino in Terra Santa, « Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù: la scuola del Vangelo […]. Qui, a questa scuola si comprende la necessità di avere una disciplina spirituale, se si vuole […] diventare discepoli di Cristo » [158].
Nella sua profonda meditazione sul mistero di Nazaret, Paolo VI invita a raccogliere una triplice lezione: di silenzio, di vita familiare, di lavoro. Nella casa di Nazaret ciascuno vive la propria missione in perfetta armonia con gli altri membri della Santa Famiglia.
Dignità e ruolo dell’uomo e della donna
82. La dignità dell’uomo e della donna deriva dal fatto che, quando Dio creò l’uomo, « a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gn 1, 27). Sia l’uomo che la donna sono creati « ad immagine di Dio », dotati cioè d’intelligenza e di volontà e, conseguentemente, di libertà. Lo dimostra il racconto relativo al peccato dei progenitori (cfr Gn 3). Il Salmista canta così la dignità incomparabile dell’uomo: « Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi » (Sal 8, 6-7).
Creati l’uno e l’altro ad immagine di Dio, l’uomo e la donna, pur differenti, sono essenzialmente uguali dal punto di vista dell’umanità. « Ambedue sin dall’inizio sono persone, a differenza degli altri esseri viventi del mondo che li circonda. La donna è un altro “io” nella loro comune umanità » [159], e ciascuno costituisce un aiuto per l’altro (cfr Gn 2, 18-25).
« Creando l’uomo “maschio e femmina”, Dio dona la dignità personale in eguale modo all’uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana » [160]. Il Sinodo ha deplorato quei costumi africani e quelle pratiche « che privano le donne dei loro diritti e del rispetto che è loro dovuto » [161] e ha chiesto che la Chiesa nel continente si sforzi di promuovere la salvaguardia di tali diritti.
Dignità e ruolo del Matrimonio
83. Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è Amore (cfr 1 Gv 4, 8). « La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo definitivo compimento in Gesù Cristo, lo sposo che ama e si dona come Salvatore dell’umanità, unendola a sé come suo proprio corpo. Egli rivela la verità originaria del Matrimonio, la verità del “principio” e, liberando l’uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d’amore che il Verbo di Dio fa all’umanità assumendo la natura umana e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla croce per la sua Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna fin dalla loro creazione (cfr Ef 5, 32-33); il Matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo » [162].
L’amore reciproco fra gli sposi battezzati manifesta l’amore di Cristo e della Chiesa. Segno dell’amore di Cristo, il Matrimonio è un sacramento della Nuova Alleanza: « Gli sposi sono per la Chiesa il richiamo permanente di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altro, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il Matrimonio, come ogni sacramento, è memoriale, attualizzazione e profezia » [163].
Esso dunque è uno stato di vita, una via di santità cristiana, una vocazione che deve condurre alla risurrezione gloriosa ed al Regno, dove « non si prende né moglie né marito » (Mt 22, 30). Per questo, il Matrimonio esige un amore indissolubile; grazie a questa sua stabilità può contribuire efficacemente a realizzare appieno la vocazione battesimale degli sposi.
Salvare la famiglia africana
84. Molti sono stati gli interventi nell’aula del Sinodo che hanno evidenziato le minacce attualmente incombenti sulla famiglia africana. Le preoccupazioni dei Padri sinodali erano tanto più giustificate in quanto il documento preparatorio di una Conferenza delle Nazioni Unite, tenutasi nel settembre del 1994 al Cairo, in terra africana, sembrava con tutta evidenza voler adottare risoluzioni in contrasto con non pochi valori familiari africani. Facendo proprie le preoccupazioni da me precedentemente manifestate alla Conferenza ed ai Capi di Stato del mondo intero [164], essi hanno lanciato un pressante appello perché sia salvaguardata la famiglia: « Non lasciate — essi hanno gridato — che la famiglia africana venga umiliata proprio sulla sua terra! Non permettete che l’Anno Internazionale della Famiglia divenga l’anno della distruzione della famiglia! » [165].
La famiglia aperta alla società
85. Il matrimonio, per sua natura, trascende la coppia, avendo la speciale missione di perpetuare l’umanità. Allo stesso modo, per natura, la famiglia va oltre i limiti del focolare domestico: essa è orientata verso la società. « La famiglia possiede vincoli vitali ed organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l’alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali, che sono l’anima della vita e lo sviluppo della società stessa. Così in forza della sua natura e vocazione, lungi dal rinchiudersi in se stessa, la famiglia si apre alle altre famiglie e alla società, assumendo il suo compito sociale » [166].
In tale linea, l’Assemblea speciale per l’Africa afferma che fine dell’evangelizzazione è edificare la Chiesa, come Famiglia di Dio, anticipazione, anche se imperfetta, del Regno sulla terra. Le famiglie cristiane dell’Africa diventeranno in questo modo vere « chiese domestiche », contribuendo al progresso della società verso una vita più fraterna. È così che si opererà la trasformazione delle società africane mediante il Vangelo! CAPITOLO V « MI SARETE TESTIMONI » IN AFRICA Testimonianza e santità 86. Le sfide segnalate mostrano quanto opportuna sia stata l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi: il compito della Chiesa nel continente è immenso; per affrontarlo è necessaria la collaborazione di tutti. La testimonianza ne costituisce l’elemento centrale. Cristo interpella i suoi discepoli in Africa ed affida loro il mandato che diede agli Apostoli il giorno dell’Ascensione: « Mi sarete testimoni » (At 1, 8) in Africa.
87. L’annuncio della Buona Novella con la parola e le opere apre il cuore delle persone al desiderio della santità, della configurazione a Cristo. San Paolo, nella prima Lettera ai Corinti, si rivolge « a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo » (1, 2). La predicazione del Vangelo ha pure come scopo la costruzione della Chiesa di Dio, nella prospettiva dell’avvento del Regno, che Cristo consegnerà al Padre alla fine dei tempi (cfr 1 Cor 15, 24).
« L’entrata nel Regno di Dio domanda una trasformazione di mentalità (metanoia) e di comportamento e una vita di testimonianza in parole e opere, nutrita in seno alla Chiesa dalla partecipazione ai sacramenti, particolarmente all’Eucarestia, sacramento della salvezza » [167].
Costituisce una via alla santità anche l’inculturazione, mediante la quale la fede penetra nella vita delle persone e delle loro comunità originarie. Come nell’Incarnazione Cristo ha assunto la natura umana con esclusione solo del peccato, analogamente mediante l?inculturazione il messaggio cristiano assimila i valori della società alla quale è annunciato, scartando quanto è segnato dal peccato. Nella misura in cui la comunità ecclesiale sa integrare i valori positivi di una determinata cultura, diventa strumento della sua apertura alle dimensioni della santità cristiana. Una inculturazione condotta con saggezza purifica ed eleva le culture dei vari popoli.
Un ruolo importante, da questo punto di vista, è chiamata a svolgere la liturgia. In quanto modo efficace di proclamare e di vivere i misteri della salvezza, essa può validamente contribuire ad elevare ed arricchire specifiche manifestazioni della cultura di un certo popolo. Sarà pertanto compito dell’autorità competente curare l’inculturazione, secondo modelli artisticamente pregevoli, di quegli elementi liturgici che, alla luce delle norme vigenti, possono essere modificati [168].
I. Operatori dell’Evangelizzazione
88. L’evangelizzazione ha bisogno di operatori. Infatti, « come potranno invocarlo [il Signore] senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? » (Rm 10, 14-15). L’annuncio del Vangelo può realizzarsi pienamente solo con il contributo di tutti i credenti, ad ogni livello della Chiesa sia universale che locale.
Spetta in particolare a quest’ultima, la Chiesa locale posta sotto la responsabilità del Vescovo, di coordinare l’impegno dell’evangelizzazione, raccogliendo i fedeli, confermandoli nella fede mediante l’opera dei presbiteri e dei catechisti, sostenendoli nell’adempimento delle rispettive missioni. A questo scopo, la diocesi provvederà ad istituire le necessarie strutture di incontro, di dialogo, di programmazione. Valendosi di esse, il Vescovo potrà orientare opportunamente il lavoro di sacerdoti, religiosi e laici, accogliendo doni e carismi di ciascuno per metterli al servizio di una pastorale aggiornata ed incisiva. Di grande utilità saranno in tal senso i vari Consigli previsti dalle vigenti norme del Diritto Canonico.
Comunità ecclesiali vive
89. I Padri sinodali hanno subito riconosciuto che la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane. Le caratteristiche di tali comunità sono state così sintetizzate dall’Assemblea: esse dovranno essere luoghi in cui provvedere innanzitutto alla propria evangelizzazione per poi portare la Buona Novella agli altri; dovranno perciò essere luoghi di preghiera e di ascolto della Parola di Dio; di responsabilizzazione dei membri stessi; di apprendistato di vita ecclesiale; di riflessione sui vari problemi umani, alla luce del Vangelo. Soprattutto, in esse ci si impegnerà a vivere l’amore universale di Cristo, che trascende le barriere delle solidarietà naturali dei clan, delle tribù o di altri gruppi d’interesse [169].