Il secondo giorno del Convegno nazionale Missio Ragazzi in corso a Roma fino a domani, domenica 3 marzo, ha messo al centro l’essenza della missionarietà, la sua importanza in un cammino di formazione cristiana, le caratteristiche su cui si basa la proposta missionaria per i più piccoli.
Nella mattinata di oggi (sabato 2 marzo 2024), dopo una drammatizzazione che ha portato in scena la nascita dell’Opera dell’Infanzia Missionaria nel 1843, si è parlato di cos’è l’animazione missionaria dei bambini in ambito ecclesiale, tenendo a mente un principio da cui è impossibile prescindere: tutti i cristiani, in quanto battezzati, sono chiamati alla missione.
Da qui, la convinzione-certezza che la passione missionaria non è facoltativa, non è un pallino di alcuni all’interno della Chiesa. In altre parole, non è che le comunità cristiane formano i bambini ad essere cristiani, e che poi l’Infanzia Missionaria, dando per scontata questa formazione cristiana, concentra la sua attenzione sulla missione. No, non è così. Insomma, non ci sono due momenti: prima si è discepoli, poi si diventa missionari; né ci sono due formazioni: una per essere cristiani, un’altra per essere missionari.
La formazione cristiana dei bambini prevede intrinsecamente l’attenzione alla missionarietà, in quanto – in forza del Battesimo – si diventa cristiani e, come tali, missionari.
«E – hanno sottolineato gli interventi di questa mattina, a cura dell’équipe nazionale di Missio Ragazzi – la Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria sta nella Chiesa come il lievito sta nella pasta: l’attenzione alla missione è il lievito, non è un ingrediente a sé, tipo i semi di sesamo, che puoi aggiungere o non aggiungere sulla pasta del pane prima di infornarlo».
Se è vero che tutti i ragazzi cristiani, in quanto battezzati, sono missionari, è anche vero che dobbiamo aiutarli a comprendere cosa significa essere missionari. Lo sanno bene gli incaricati diocesani della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria presenti al convegno, ma anche gli educatori che hanno scelto di partecipare alla tre giorni e sono impegnati nell’educazione alla fede dei ragazzi nelle loro realtà locali.
Alla domanda: “Chi è un Ragazzo Missionario? Cosa fa in concreto?”. La risposta è univoca: “E’ un ragazzo che prega, condivide, annuncia, dialoga”. E si impegna ogni giorno nel mettere in pratica tutto questo. Ecco che le quattro specifiche dimensioni – preghiera, condivisione, annuncio, fraternità – diventano i pilastri portanti di tutta l’animazione missionaria.
E’ proprio partendo da queste quattro parole chiave che i partecipanti hanno elaborato, nei laboratori di gruppo, proposte di attività, giochi, celebrazioni, per far vivere a bambini e preadolescenti queste quattro dimensioni fondative del ragazzo missionario.
Nel pomeriggio, l’intervento del professore Alessandro Ricci, docente di Psicologia dell’educazione all’Università Pontificia Salesiana di Roma, per fornire strumenti per approcciare al meglio la realtà giovanile, con il linguaggio e le caratteristiche dei bambini e preadolescenti di oggi.