«La formazione di queste giornate è stata importante perché abbiamo bisogno di rielaborare continuamente il concetto di missione dal Concilio ad oggi. Come Chiesa in confronto con la realtà che ci circonda, abbiamo bisogno di aggiornarle le modalità del ‘fare missione’». Così don Giuseppe Pizzoli, direttore generale di Missio in chiusura delle Giornate di formazione e spiritualità missionaria (27-30 agosto)che si sono svolte ad Assisi presso la Domus Pacis.
Durante la Santa Messa presso il Refettorino di Santa Maria degli Angeli, mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Foligno e presidente della Commissione missionaria umbra, ha sottolineato nell’omelia la diversità delle sfide missionarie di oggi, in una Europa «piena di chiese svuotate di fedeli e diventate monumenti della fede. Anche il nostro Paese è diventato terra di missione, ma questo non vuol dire che non sia necessario continuare ad andare ad gentes per incrementare lo scambio missionario». La Chiesa è tornata alle origini, alla bellezza della ‘prima missione’ degli apostoli, una sfida che deve «incrementare l’energia di chi porta l’annuncio, annunciando anche alle comunità più piccole come fece Paolo, l’apostolo missionario per eccellenza. Dopo 2000 anni di storia cristiana , la missione ha bisogno di ritrovare la dimensione della familiarità, di relazioni dirette e significative tra persone. I progetti di rinnovamento ecclesiale vedono la dimensione della casa, della famiglia , come una nuova unità di misura dell’evangelizzazione. La Chiesa che perde lo stile di famiglia perde anche in missionarietà».
Dopo la celebrazione eucaristica, la consueta lectio del biblista Angelo Fracchia, e le riflessioni conclusive dell’assemblea, commentate da don Pizzoli: «Parliamo della “Chiesa in uscita” ma non semplicemente per abbandonare le pareti delle sagrestie per andare in piazza, ma una Chiesa che sa dialogare veramente con la vita delle persone. E in questo dialogo scopre la presenza di un Dio che cammina con l’uomo nella Storia. Abbiamo riflettuto sul valore di “fare memoria” a partire dal popolo Israele e per la Chiesa stessa, riscoprendo un Dio che continuamente è presente in mezzo a noi, nelle Galilee di oggi. Dobbiamo riconoscere la presenza del Regno di Dio laddove meno che lo aspetteremmo, non solo in mezzo alla comunità che prega, ma anche nel povero, nel disperato, nella persona che ha bisogno di conforto, nel malato, nel migrante. Essere missionari significa lasciarsi sorprendere dalla presenza di Dio e farla brillare».