Da oggi, giovedì 29 settembre, fino a domenica 2 ottobre, Milano è diventata la capitale del mondo. E non per manie di grandezza, ma perché la metropoli lombarda ha chiamato a raccolta tutti coloro che hanno il cuore e gli occhi attenti al mondo e, contemporaneamente, sono innamorati del Vangelo.
Con lo slogan “Vivere per dono”, titolo del Festival, il capoluogo lombardo è diventato in vari spazi megafono di storie di missionari che operano nei cinque continenti, spesso nel nascondimento, senza proclami né pubblicità. E invece qui, da oggi, trovano palchi che li ospitano, microfoni che amplificano le loro voci, orecchi attenti che li ascoltano.
Come accaduto alle Colonne di San Lorenzo, nel cuore di Milano, dove alle 15.30 si è aperto il Festival con l’appuntamento MissioToday.
E’ stato questo il primo dei 29 incontri che formano il programma dell’evento promosso da Missio e dalla Conferenza degli istituti missionari italiani (Cimi) e ospitato dall’arcidiocesi di Milano.
Intervistati da Roberto Zichittella, giornalista di Famiglia Cristiana, i cinque ospiti che hanno avuto l’onore di aprire la kermesse sono entrati subito nel cuore dei temi missionari.
Come l’esigenza di tornare ad abitare la condizione umana. Don Mario Antonelli, oggi vicario episcopale dell’arcidiocesi di Milano per l’educazione e la celebrazione della fede, con un’esperienza missionaria di fidei donum in Brasile dal 2004 al 2010, ha sottolineato l’importanza di «andare ad abitare le ferite dei disperati, le mangiatoie dei piccoli e dei poveri, i margini dove stanno gli scartati e gli esclusi. Altrimenti il rischio di chi si orienta verso una missione ad gentes si ritrova imbrigliato in un apparato ecclesiastico che non consente di portare frutto». E don Antonelli, nella sua esperienza missionaria in Brasile, ha sperimentato in prima persona come abitare la condizione umana scegliendo di vivere in un villaggio di famiglie povere a Castanhal (Stato del Parà).
Anche Maria Soave Buscemi, missionaria laica in Brasile, ha sottolineato l’importanza dello “stare con, stare in mezzo”: «Negli ultimi 30 anni – ha detto riferendosi alla sua esperienza brasiliana – sono state abbandonate le periferie, nelle quali invece precedentemente hanno sempre abitato i presbiteri e i missionari. Dobbiamo di nuovo essere Chiesa di presenza, non di visita», ha concluso.
Il confronto sul palco del Festival è proseguito con l’intervento di padre Giulio Albanese, missionario comboniano, giornalista e scrittore, che ha riportato l’attenzione dei presenti sul fatto che il Nord e il Sud del mondo hanno un destino comune: «Siamo tutti sulla stessa barca, come non si stanca di ripetere papa Francesco. Guardando alla Chiesa italiana, ho l’impressione che il rigurgito dei devozionismi stia prendendo il sopravvento. Ma la spiritualità missionaria è vita secondo lo Spirito. Bisogna che i cattolici comprendano che va messo al primo posto la dottrina sociale della Chiesa, incentrata sulla sacralità della vita umana, sulla solidarietà, sull’umanità, sull’accoglienza».
Anche Mariagrazia Zambon, consacrata dell’Ordo Virginum missionaria in Turchia, ha parlato di convivenza, in particolare quella tra cristiani e musulmani: «Dai nostri fratelli cristiani che si trovano in Medio Oriente potremmo e dovremmo imparare come convivere in una società variegata che insegna a considerare l’ospite come sacro».
L’ultima voce che si è alternata sul palco è stata quella di Aluisi Tosolini, pedagogista e docente, che ha riportato l’attenzione sull’importanza di «costruire il futuro aumentando a livello mondiale le risorse per l’educazione. Non tutti i Paesi sono come l’Italia, dove si parla di inverno demografico», ha commentato pensando ai tanti Paesi del Sud del mondo dove una delle ricchezze più grandi è l’abbondanza dei ragazzi e dei giovani che sono prospettiva e certezza per il futuro.