Nell’estate del 2016 ho trascorso un mese a Pemba, in Mozambico, ospitata dalle Suore Pastorelle, Suore di Gesù Buon Pastore. Durante il periodo passato con loro, ci siamo resi utili nelle varie attività della missione: la Caritas, le visite ai villaggi e l’oratorio. Quest’ultimo è aperto tutti i pomeriggi, a partire dalle 14, per tutti i bambini che voglio parteciparvi; verso le 14.30, quando si chiudono i cancelli, si iniziano una serie di attività e giochi al termine dei quali viene dato loro un panino, che spesso è l’unico pasto della giornata.
Nonostante passassimo con loro tutti i pomeriggi, i bambini erano talmente tanti (dai 150 fino a 400) e differenti da giorno in giorno che era impossibile ricordarsi i volti di tutti. L’ultimo giorno che ero in oratorio, quasi al termine delle attività, stavo andando a prendere la palla e così facendo sono passata davanti al cancello della missione, dietro al quale c’erano molti bambini che non erano arrivati in tempo per l’inizio delle attività; questo avveniva tutti i giorni, ma quel giorno una bambina urlò il mio nome, io non mi ricordavo neanche di averla vista, ma lei si ricordava il mio nome. Mi sono sentita malissimo perché non solo non l’avevo riconosciuta, ma non potevo neanche farla entrare, perché se avessi fatto entrare lei e tutti quelli rimasti fuori non avremmo avuto panini a sufficienza per tutti. Quel volto mi rimarrà sempre impresso e tutte le volte che ci penso mi fa riflettere: chi siamo noi per decidere se quel giorno un bambino deve mangiare o no?
Chiara, Mozambico