Credo che la parola che rappresenti meglio questa mia esperienza sia l’incontro con una realtà nuova e totalmente differente dalla mia ma anche con ragazzi, bambini e adulti che hanno saputo donarmi davvero tanto.
È impossibile raccontare in poche righe tutta le emozioni che ho vissuto e tutto ciò che mi porto a casa, ma se dovessi dire cosa mi rimane di più nel cuore dopo queste tre settimane sono proprio le persone che ho incontrato, i loro volti con i loro sorrisi ma anche con le lacrime. Proprio queste ultime hanno reso ancora più difficile lasciare i luoghi dove sono stata come Karen: passare quella settimana dai bambini malati di AIDS è stato davvero un colpo al cuore e sono sincera quando dico che avrei davvero voluto “rapire” qualche bimbo per portarlo in Italia con me!
Sono partita con l’idea di guardarmi intorno e di conoscere, ma inaspettatamente mi sono ritrovata a far parte di una comunità come fossi vissuta lì da sempre, a dare una mano pur avendo paura di non poter essere così utile, invece la riconoscenza che mi è stata dimostrata dopo sembra dire tutto il contrario! Ovviamente non ho cambiato il mondo, ma ho capito come davvero nel mio piccolo possa aver cambiato qualcosa in loro e soprattutto quanto loro abbiano cambiato me.
Ho potuto osservare una cosa che sotto molti aspetti a noi manca: un AIUTO RECIPROCO. Sia a Tassia che a Karen e a Nyahururu ho visto come le comunità si diano una mano; sicuramente hanno anche i loro aspetti negativi, ma nel momento del bisogno si creava una rete di persone pronte a collaborare .
Se dovessi esprimere questo concetto lo direi con due semplici parole: “BELLEZZA COLLATERALE“.
Infatti, nonostante tutta la povertà e tutte le situazioni di disagio, ho notato come riuscissero a vedere il lato positivo, il bello che nonostante tutto primeggia sulle avversità, che lì davvero si possono toccare con le dita, ma quelle stesse dita, al posto di stare lì ferme, si mettono in movimento e le persone si donano reciprocamente.
Di esempi ne ho a bizzeffe e potrei andar avanti all’infinito: a Karen le Mame e le infermiere si sacrificavano davvero per quei bambini che erano gli ultimi degli ultimi e, senza la struttura del Cottolengo, sicuramente molti di loro non sarebbero vivi; a Nyahururu i volontari sono davvero il cuore vivo del Saint Martin e senza di loro tutte quelle famiglie non avrebbero un aiuto.
Questo dimostra davvero quanto ognuna di quelle persone si trasformi in amore e aiuti il prossimo, molto più di quanto potremmo far noi dando solo degli aiuti economici.
Infine, la bellezza collaterale c’è anche quando un ragazzo, alla domanda se sia dura vivere lì con quei disagi, risponde normalmente “ma quali disagi?”.
Sono però questi incontri, con queste persone, che mi fanno capire ancor di più quanto sia importante aiutarsi a vicenda, esserci per l’altro anche solo con un sorriso, lo stesso che loro là hanno rivolto a noi muzungu; mi fanno capire anche quanto sia importante non fare solo belle parole, ma tirarsi su le maniche e fare qualcosa di concreto soprattutto là dove davvero c’è bisogno di aiuto.
Ci sarebbero davvero tante domande da porsi dopo essere stati là, perché credo che un po’ a tutti sia inspiegabile l’ingiustizia che c’è. Però credo che forse ciò che mi domando di più sia come io possa continuare anche qua a vivere l’esperienza, come possa aiutare il mio prossimo e creare come loro una rete di persone disposte ad aiutarsi a vicenda, un aiuto però universale e non verso solo il proprio colore della pelle.
So che non tutte le persone possono avere l’opportunità di un’esperienza del genere ma sarebbe davvero importante far conoscere la dura realtà in cui vivono molte persone nel mondo; sono certa che tante cose non si direbbero né si farebbero più, anche perché, alla fine, siamo sempre lo straniero di qualcun altro.
Chiara, Kenya